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Inclusione sociale come cardine di sviluppo e competitività delle imprese

L’inclusione sociale è un cardine fondamentale per lo sviluppo sostenibile, non solo ambientale ma anche e soprattutto sociale, un impegno per le imprese che ne devono fare uno strumento non solo di responsabilità ma anche di competitività. Sta in questo assunto uno degli elementi che hanno caratterizzato la “Settimana della cultura d’impresa” di Confindustria che s’è appena conclusa: nove readings di letteratura industriale in altrettanti grandi teatri di città italiane (Milano, Roma, Napoli, etc.), dibattiti, ricostruzioni storiche, fabbriche aperte al pubblico, iniziative di fondazioni e musei d’impresa e, appunto, un convegno organizzato da Anima e Sodalitas (le due organizzazioni che a Roma e a Milano si occupano di responsabilità sociale) sui temi dell’inclusione.

Il punto di partenza è stato individuato in una considerazione di Gary Becker, premio Nobel per l’economia: escludere non è solo immorale, poco etico, socialmente sbagliato, ma anche non conveniente, perché priva l’impresa delle intelligenze, delle competenze, della passione, della qualità del lavoro delle persone escluse per motivi di genere, razza, religione, sesso, cultura, etc.

Ne hanno parlato, oltre ai responsabili del Gruppo Cultura di Confindustria, di Anima (la presidente Sabrina Florio) e di Sodalitas (il consigliere delegato Carlo Antonio Pescetti), anche Enrico Giovannini, economista, ex ministro del Lavoro ed ex presidente dell’Istat, monsignor Enrico Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia e tre rappresentanti di imprese che fanno molto per la responsabilità sociale, Massimiliano Monanni (Fondazione Poste), Fabrizio Torella (Ferrovie dello Stato) e Marina Migliorato (Enel, una delle imprese più all’avanguardia: la responsabilità sociale e le relazioni con gli stakeholders sono strettamente collegate all’innovazione: un’idea a tutto tondo della responsabilità stessa).

Ci sono gli obiettivi internazionali dell’ONU sullo sviluppo sostenibile, all’orizzonte. E gli intrecci sempre più stretti tra economia, società, ambiente e istituzioni. Le nuove idee di creazione di valore basate su un sistema di valori di cui l’impresa deve saper essere protagonista: la qualità, la sicurezza, il legame positivo con i territori degli insediamenti industriali, il premio al merito delle persone che si impegnano, la partecipazione. Un vero e proprio “umanesimo industriale” come nuova forma della responsabilità sociale e della cultura d’impresa, di cui proprio l’Italia nella sua storia ha fornito e spesso fornisce ancora ottimi esempi (l’Olivetti di Adriano, ma anche la Pirelli è una serie di imprese anche medie e piccole). E c’è da rispettare l’articolo 3 della recente Costituzione Europea, che parla di sostenibilità e responsabilità istituzionale.

Giovannini propone di legare le nuove leve sullo sviluppo al rispetto del Bes, l’indice sul Benessere Equo e Sostenibile, elaborato dell’Istat è da considerare anche prima del Pil, del Prodotto interno lordo, per privilegiare la qualità dello sviluppo e non solo la quantità della crescita. Idea molto interessante. Cui proprio le imprese migliori possono ispirarsi nei progetti di espansione. La competitività italiana sui mercati internazionali si gioca appunto sulla qualità, sulle nicchie a maggior valore aggiunto, su prodotti e produzioni caratterizzate dalla cultura del “bello e ben fatto“. E si può essere competitivi solo puntando sulle persone, sulle loro migliori attitudini. Includendo responsabilmente, dunque (ecco l’attualità della lezione di Becker). E guardando insospettiva a un’economia più equilibrata, più giusta. La responsabilità sociale, in altri termini, è una positiva cultura economica e sociale. E conviene.

L’inclusione sociale è un cardine fondamentale per lo sviluppo sostenibile, non solo ambientale ma anche e soprattutto sociale, un impegno per le imprese che ne devono fare uno strumento non solo di responsabilità ma anche di competitività. Sta in questo assunto uno degli elementi che hanno caratterizzato la “Settimana della cultura d’impresa” di Confindustria che s’è appena conclusa: nove readings di letteratura industriale in altrettanti grandi teatri di città italiane (Milano, Roma, Napoli, etc.), dibattiti, ricostruzioni storiche, fabbriche aperte al pubblico, iniziative di fondazioni e musei d’impresa e, appunto, un convegno organizzato da Anima e Sodalitas (le due organizzazioni che a Roma e a Milano si occupano di responsabilità sociale) sui temi dell’inclusione.

Il punto di partenza è stato individuato in una considerazione di Gary Becker, premio Nobel per l’economia: escludere non è solo immorale, poco etico, socialmente sbagliato, ma anche non conveniente, perché priva l’impresa delle intelligenze, delle competenze, della passione, della qualità del lavoro delle persone escluse per motivi di genere, razza, religione, sesso, cultura, etc.

Ne hanno parlato, oltre ai responsabili del Gruppo Cultura di Confindustria, di Anima (la presidente Sabrina Florio) e di Sodalitas (il consigliere delegato Carlo Antonio Pescetti), anche Enrico Giovannini, economista, ex ministro del Lavoro ed ex presidente dell’Istat, monsignor Enrico Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia e tre rappresentanti di imprese che fanno molto per la responsabilità sociale, Massimiliano Monanni (Fondazione Poste), Fabrizio Torella (Ferrovie dello Stato) e Marina Migliorato (Enel, una delle imprese più all’avanguardia: la responsabilità sociale e le relazioni con gli stakeholders sono strettamente collegate all’innovazione: un’idea a tutto tondo della responsabilità stessa).

Ci sono gli obiettivi internazionali dell’ONU sullo sviluppo sostenibile, all’orizzonte. E gli intrecci sempre più stretti tra economia, società, ambiente e istituzioni. Le nuove idee di creazione di valore basate su un sistema di valori di cui l’impresa deve saper essere protagonista: la qualità, la sicurezza, il legame positivo con i territori degli insediamenti industriali, il premio al merito delle persone che si impegnano, la partecipazione. Un vero e proprio “umanesimo industriale” come nuova forma della responsabilità sociale e della cultura d’impresa, di cui proprio l’Italia nella sua storia ha fornito e spesso fornisce ancora ottimi esempi (l’Olivetti di Adriano, ma anche la Pirelli è una serie di imprese anche medie e piccole). E c’è da rispettare l’articolo 3 della recente Costituzione Europea, che parla di sostenibilità e responsabilità istituzionale.

Giovannini propone di legare le nuove leve sullo sviluppo al rispetto del Bes, l’indice sul Benessere Equo e Sostenibile, elaborato dell’Istat è da considerare anche prima del Pil, del Prodotto interno lordo, per privilegiare la qualità dello sviluppo e non solo la quantità della crescita. Idea molto interessante. Cui proprio le imprese migliori possono ispirarsi nei progetti di espansione. La competitività italiana sui mercati internazionali si gioca appunto sulla qualità, sulle nicchie a maggior valore aggiunto, su prodotti e produzioni caratterizzate dalla cultura del “bello e ben fatto“. E si può essere competitivi solo puntando sulle persone, sulle loro migliori attitudini. Includendo responsabilmente, dunque (ecco l’attualità della lezione di Becker). E guardando insospettiva a un’economia più equilibrata, più giusta. La responsabilità sociale, in altri termini, è una positiva cultura economica e sociale. E conviene.

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