Karl Popper, etica, tecnica e le allenze internazionali del Politecnico
C’è un profondo significato etico e culturale, nella tecnica. Nella scienza che apre nuovi orizzonti. E nelle innovazioni che continuano a trasformare la società in cui viviamo, rendendola migliore, liberandola dalle insicurezze che riguardano la salute, l’ambiente, la qualità della vita ma anche dalle oppressioni e dall’angoscia della “pena del lavoro”. La lezioni d’ottimismo critico e responsabile viene da uno dei migliori filosofi della scienza e della libertà del Novecento, Karl Popper (l’editore Rubbettino ha appena pubblicato il suo vecchio saggio su “Tecnologia ed etica”). E rileggerla, in tempi di crisi e di ricerca di nuove dimensioni del sapere scientifico e delle sue ricadute sul contesto sociale e ambientale, aiuta i politici intelligenti, gli uomini d’impresa, gli educatori e gli scienziati stessi a capire come costruire migliori equilibri sostenibili.
Scienza e innovazione, dunque, nell’orizzonte stesso dell’Europa che prova a uscire dalle secche ideologiche d’un pensiero politico da “contabili” e da tutori dei piccoli egoismi nazionali (trascurando il fatto che il necessario equilibrio dei conti pubblici e la cautela contro l’inflazione sono strumenti d’un percorso virtuoso di crescita ma non valori in sé, assoluti) e a mettere invece in campo scelte strategiche di sviluppo. D’altronde, senza creare lavoro per le nuove generazioni e strutture di inclusione sociale, senza rinnovare le sue radici in un patto sociale e politico che ne aveva contraddistinto la nascita, subito dopo i disastri della guerra, che Europa sarebbe?
Ha ragione Giulio Giorello, sapiente filosofo della scienza, quando, sul Corriere della Sera (1 dicembre), rileva la fine del modello dell’”Europa degli Stati nazione” e auspica invece un modello che si ispiri al Cern di Ginevra, luogo cardine della ricerca con il contributo di scienziati di diversi paesi (i nostri scienziati italiani vi occupano posizioni di assoluto rilievo) capaci di coniugare fisica teorica e sperimentale, l’attitudine alla libertà della ricerca e la consapevolezza del buon uso delle risorse, finanziarie e personali, per raggiungere risultati d’eccellenza. Cern, come luogo in cui l’Europa non è una sigla burocratica e in cui la competitività con il resto del mondo è fondata su ottimi risultati concreti.
E’ a questo tipo d’Europa che guarda, per esempio, il Politecnico di Milano quando rievoca la storia dei suoi 150 anni (il primo anno accademico fu inaugurato il 29 novembre del 1863, appena due anni dopo l’unificazione italiana, in una Milano attiva, intraprendente, aperta) e traccia ambiziosi programmi futuri, annunciando l’accordo con la Technische Universität di Berlino e l’Ecole Centrale di Parigi per creare una università di respiro continentale: un passo avanti al di là degli accordi parziali già in essere, l’idea forte di uno spazio di cultura, formazione, ricerca, scienza, diffusione dell’innovazione in grado di potenziare la competitività sul mercato internazionale. Attrazione di talenti (in linea con la sfida europea dell’”economia della conoscenza”). E dunque sinergia con le imprese più dinamiche, che vanno a investire là dove c’è capitale umano d’alta qualità.
Le alleanze europee del Politecnico sono una sfida importante anche per Milano, come metropoli d’avanguardia e locomotiva dello sviluppo italiano. “Crescere talenti per lo sviluppo del territorio”, indica come obiettivo il Rettore Giovanni Azzone, qualificando appunto il Politecnico come pilastro “per rendere più competitivo un ecosistema che ha per baricentro Milano e per confini Torino, Trieste e Bologna, l’unica macro-area in grado di confrontarsi con successo con le altre reti internazionali”. Milano è già (lo hanno ribadito ricerche recenti) una delle prime 25 città “universitarie globali”, grazie ai buoni risultati in ricerca, formazione e relazioni con il tessuto economico dei suoi atenei, pubblici e privati. E il Politecnico continua a investire (10 milioni di euro all’anno) “per attrarre i migliori studenti italiani e stranieri” e per stimolare la collaborazione con docenti e ricercatori di livello internazionale. Ci muoviamo “con l’ottimismo di chi crea innovazione e sviluppo”, dice il Rettore Azzone. E con la responsabilità, storica e contemporanea, di chi sa di avere un grande ruolo nel rafforzamento del sistema Italia, della sua scuola, delle sue imprese. Volendo, anche questa è “etica della tecnica”, per tornare a Popper.
C’è un profondo significato etico e culturale, nella tecnica. Nella scienza che apre nuovi orizzonti. E nelle innovazioni che continuano a trasformare la società in cui viviamo, rendendola migliore, liberandola dalle insicurezze che riguardano la salute, l’ambiente, la qualità della vita ma anche dalle oppressioni e dall’angoscia della “pena del lavoro”. La lezioni d’ottimismo critico e responsabile viene da uno dei migliori filosofi della scienza e della libertà del Novecento, Karl Popper (l’editore Rubbettino ha appena pubblicato il suo vecchio saggio su “Tecnologia ed etica”). E rileggerla, in tempi di crisi e di ricerca di nuove dimensioni del sapere scientifico e delle sue ricadute sul contesto sociale e ambientale, aiuta i politici intelligenti, gli uomini d’impresa, gli educatori e gli scienziati stessi a capire come costruire migliori equilibri sostenibili.
Scienza e innovazione, dunque, nell’orizzonte stesso dell’Europa che prova a uscire dalle secche ideologiche d’un pensiero politico da “contabili” e da tutori dei piccoli egoismi nazionali (trascurando il fatto che il necessario equilibrio dei conti pubblici e la cautela contro l’inflazione sono strumenti d’un percorso virtuoso di crescita ma non valori in sé, assoluti) e a mettere invece in campo scelte strategiche di sviluppo. D’altronde, senza creare lavoro per le nuove generazioni e strutture di inclusione sociale, senza rinnovare le sue radici in un patto sociale e politico che ne aveva contraddistinto la nascita, subito dopo i disastri della guerra, che Europa sarebbe?
Ha ragione Giulio Giorello, sapiente filosofo della scienza, quando, sul Corriere della Sera (1 dicembre), rileva la fine del modello dell’”Europa degli Stati nazione” e auspica invece un modello che si ispiri al Cern di Ginevra, luogo cardine della ricerca con il contributo di scienziati di diversi paesi (i nostri scienziati italiani vi occupano posizioni di assoluto rilievo) capaci di coniugare fisica teorica e sperimentale, l’attitudine alla libertà della ricerca e la consapevolezza del buon uso delle risorse, finanziarie e personali, per raggiungere risultati d’eccellenza. Cern, come luogo in cui l’Europa non è una sigla burocratica e in cui la competitività con il resto del mondo è fondata su ottimi risultati concreti.
E’ a questo tipo d’Europa che guarda, per esempio, il Politecnico di Milano quando rievoca la storia dei suoi 150 anni (il primo anno accademico fu inaugurato il 29 novembre del 1863, appena due anni dopo l’unificazione italiana, in una Milano attiva, intraprendente, aperta) e traccia ambiziosi programmi futuri, annunciando l’accordo con la Technische Universität di Berlino e l’Ecole Centrale di Parigi per creare una università di respiro continentale: un passo avanti al di là degli accordi parziali già in essere, l’idea forte di uno spazio di cultura, formazione, ricerca, scienza, diffusione dell’innovazione in grado di potenziare la competitività sul mercato internazionale. Attrazione di talenti (in linea con la sfida europea dell’”economia della conoscenza”). E dunque sinergia con le imprese più dinamiche, che vanno a investire là dove c’è capitale umano d’alta qualità.
Le alleanze europee del Politecnico sono una sfida importante anche per Milano, come metropoli d’avanguardia e locomotiva dello sviluppo italiano. “Crescere talenti per lo sviluppo del territorio”, indica come obiettivo il Rettore Giovanni Azzone, qualificando appunto il Politecnico come pilastro “per rendere più competitivo un ecosistema che ha per baricentro Milano e per confini Torino, Trieste e Bologna, l’unica macro-area in grado di confrontarsi con successo con le altre reti internazionali”. Milano è già (lo hanno ribadito ricerche recenti) una delle prime 25 città “universitarie globali”, grazie ai buoni risultati in ricerca, formazione e relazioni con il tessuto economico dei suoi atenei, pubblici e privati. E il Politecnico continua a investire (10 milioni di euro all’anno) “per attrarre i migliori studenti italiani e stranieri” e per stimolare la collaborazione con docenti e ricercatori di livello internazionale. Ci muoviamo “con l’ottimismo di chi crea innovazione e sviluppo”, dice il Rettore Azzone. E con la responsabilità, storica e contemporanea, di chi sa di avere un grande ruolo nel rafforzamento del sistema Italia, della sua scuola, delle sue imprese. Volendo, anche questa è “etica della tecnica”, per tornare a Popper.