La cultura dell’impresa culturale
Un intervento appena pubblicato studia le differenze di regole fra l’ordinamento italiano e quello europeo, indicando un’evoluzione diversa
Si fa impresa anche facendo cultura. Anzi, è la stessa attività d’impresa a costituire un elemento culturale se, occorre sottolinearlo, questa è ben gestita e soprattutto ha un occhio attento al ruolo dell’uomo nella produzione ed a quello del territorio. Cultura come impresa dunque, con una sua precisa dimensione economica che va compresa e tutelata. E’ attorno a questi argomenti che ruota il lavoro di Alessia Ottavia Cozzi pubblicato da poche settimane.
“La dimensione economica del patrimonio culturale. Dimensione economica e dimensione culturale europea” ha proprio l’obiettivo di confrontare il significato di “dimensione economica” del patrimonio culturale nel quadro giuridico italiano e europeo. Operazione di non poco conto, perché è proprio dalle regole che passa buona parte della possibilità di fare impresa anche con la cultura.
A.O. Cozzi spiega come nel quadro italiano la dimensione economica riguardi principalmente le interazioni pubblico-privato per fornire servizi relativi ai beni culturali. Nel quadro europeo, invece, a causa della crisi economica negli ultimi anni, le politiche dell’UE nel campo della cultura si spostano dalla diversità culturale e dal dialogo interculturale all’industria e agli investimenti. La cultura è stata quindi percepita come un fattore chiave per la crescita e la creazione di posti di lavoro. Per incoraggiare lo sviluppo economico, l’UE ricorre quindi ad una varietà di strumenti di finanziamento e strumenti di soft law, come il metodo di coordinamento culturale aperto. Ed è qui che Cozzi lancia l’allarme: la logica degli strumenti di intervento europei potrebbe minare gli obiettivi costituzionali italiani non economici e sociali per la protezione del patrimonio culturale. Non si tratta, precisa l’autrice, di regole contro quelle italiane ma di regole costruite in modo tale da sostituire quelle de Paese.
L’intervento di Alessia Ottavia Cozzi propone così una cultura dell’impresa culturale che si diversifica a seconda del tipo di regole seguite, perché queste influenzano il tipo di organizzazione della produzione culturale che viene costruito. L’articolo di A.C. Cozzi non è sempre facilissimo da leggere, ma rappresenta una buona strada per conoscere un’interpretazione diversa dell’intendere la cultura d’impresa.
La dimensione economica del patrimonio culturale. Dimensione economica e dimensione culturale europea
Alessia Ottavia Cozzi
Aedon, Fascicolo 2, maggio-agosto 2018
Un intervento appena pubblicato studia le differenze di regole fra l’ordinamento italiano e quello europeo, indicando un’evoluzione diversa
Si fa impresa anche facendo cultura. Anzi, è la stessa attività d’impresa a costituire un elemento culturale se, occorre sottolinearlo, questa è ben gestita e soprattutto ha un occhio attento al ruolo dell’uomo nella produzione ed a quello del territorio. Cultura come impresa dunque, con una sua precisa dimensione economica che va compresa e tutelata. E’ attorno a questi argomenti che ruota il lavoro di Alessia Ottavia Cozzi pubblicato da poche settimane.
“La dimensione economica del patrimonio culturale. Dimensione economica e dimensione culturale europea” ha proprio l’obiettivo di confrontare il significato di “dimensione economica” del patrimonio culturale nel quadro giuridico italiano e europeo. Operazione di non poco conto, perché è proprio dalle regole che passa buona parte della possibilità di fare impresa anche con la cultura.
A.O. Cozzi spiega come nel quadro italiano la dimensione economica riguardi principalmente le interazioni pubblico-privato per fornire servizi relativi ai beni culturali. Nel quadro europeo, invece, a causa della crisi economica negli ultimi anni, le politiche dell’UE nel campo della cultura si spostano dalla diversità culturale e dal dialogo interculturale all’industria e agli investimenti. La cultura è stata quindi percepita come un fattore chiave per la crescita e la creazione di posti di lavoro. Per incoraggiare lo sviluppo economico, l’UE ricorre quindi ad una varietà di strumenti di finanziamento e strumenti di soft law, come il metodo di coordinamento culturale aperto. Ed è qui che Cozzi lancia l’allarme: la logica degli strumenti di intervento europei potrebbe minare gli obiettivi costituzionali italiani non economici e sociali per la protezione del patrimonio culturale. Non si tratta, precisa l’autrice, di regole contro quelle italiane ma di regole costruite in modo tale da sostituire quelle de Paese.
L’intervento di Alessia Ottavia Cozzi propone così una cultura dell’impresa culturale che si diversifica a seconda del tipo di regole seguite, perché queste influenzano il tipo di organizzazione della produzione culturale che viene costruito. L’articolo di A.C. Cozzi non è sempre facilissimo da leggere, ma rappresenta una buona strada per conoscere un’interpretazione diversa dell’intendere la cultura d’impresa.
La dimensione economica del patrimonio culturale. Dimensione economica e dimensione culturale europea
Alessia Ottavia Cozzi
Aedon, Fascicolo 2, maggio-agosto 2018