Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli.

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione e l’accessiblità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o scrivere a visite@fondazionepirelli.org

La cultura d’impresa e i racconti digitali liberano l’Angelus Novus, tra storia e futuro

C’è un’immagine dalla straordinaria forza simbolica che connota il lungo e drammatico Novecento: l’Angelus Novus, dipinto da Paul Klee, con lo sguardo rivolto all’indietro, verso le macerie della Storia. Walter Benjamin, intelligenza inquieta e visionaria, critica e profondamente malinconica, ha scritto pagine intense, che vale la pena rileggere, per riflettere su come legare la conoscenza storica alla necessità di progettare il futuro, cioè su come rimemorare e, contemporaneamente, costruire migliori equilibri civili, sociali, economici. Scrive Benjamin: nel quadro di Klee c’è “un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Oggi, sotto la spinta dei drammatici eventi contemporanei (la Grande Crisi finanziaria del 2008, l’aggravarsi dei problemi legati al Climate Change, la pandemia da Covid19 e la grave recessione mondiale conseguente), ci tocca insistere sull’urgenza del “cambio di paradigma” dello sviluppo economico e sociale e, dunque, rileggere criticamente l’idea di “progresso” (lo fa, per esempio, con grande efficacia, Aldo Schiavone, in un libro pubblicato alcuni mesi fa da Il Mulino) ma anche riconsiderare scelte politiche, economiche, culturali legate alle prospettive dello sviluppo. Proprio quello sviluppo che, per uscire dalla crisi del Covid19, la Ue ci sollecita a progettare come sostenibile, lavorando per il Recovery Plan su green economy e digital economy e guardando soprattutto alle nuove generazioni: scuola, formazione di lungo periodo, conoscenza.

Proprio da questo punto di vista, c’è un’altra pagina che vale la pena rileggere, per cercare, nel “classici” del secolo appena trascorso, stimoli di riflessione. L’ha scritta John Maynard Keynes nel 1926, in “The end of Laussez-Faire”: “Penso che il capitalismo, se ben gestito, possa probabilmente essere reso più efficiente di qualunque sistema alternativo finora concepito nel perseguimento di obiettivi economici, ma penso anche che in sé e per sé esso sia per molti versi estremamente criticabile. Il nostro problema è quello di mettere in piedi un’organizzazione sociale che sia in sommo grado efficiente senza pregiudicare la nostra idea di uno stile di vita soddisfacente”.

L’immaginario evocativo dell’Angelus Novus di Klee interpretato da Benjamin e la strategia del riformismo alla Keynes, come fondamento di una migliore cultura d’impresa orientata allo sviluppo sostenibile, sono risuonate, la scorsa settimana, nel corso del seminario organizzato da Museimpresa sull’heritage aziendale e sulle trasformazioni digitali (con le relazioni di James M. Bradburne, direttore generale della Pinacoteca di Brera, Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle attività culturali del Politecnico di Milano, Samanta Isaia, direttrice operativa del Museo Egizio di Torino, Marco Amato, direttore del Museo Lavazza e Paola Dubini, professoressa di Management all’Università Bocconi).

L’idea di fondo: usare tecniche e linguaggi del mondo digitale in rafforzamento delle esperienze museali e culturali dal vivo (appena la diffusione dei vaccini, dall’autunno in poi, ci permetteranno di tornare agli incontri, ai viaggi, alle frequentazioni di musei e teatri, luoghi della musica e centri della cultura) e valorizzare dunque con sempre maggior efficacia il patrimonio culturale, sia pubblico che privato, delle istituzioni e delle imprese, come motore potente d’uno sviluppo economico e sociale di qualità. Legando memoria e innovazione, eredità del “bello e ben fatto”, ricerca scientifica e cambiamenti tecnologico per un profondo rinnovamento della qualità della vita e del lavoro.

Una sintesi originale tra l’Angelus Novus che cambi il verso dello sguardo verso il futuro e la lezione keynesiana di un liberalismo da “società aperta” con una solida sensibilità sociale.

C’è appunto tutto questo – s’è detto nel corso del seminario di Museimpresa, ricco di rappresentazioni di esperienze tecnicamente innovative e di indicazioni di strategie culturali – nell’esperienza e nella progettualità delle imprese italiane, che della cultura e della sostenibilità fanno un pilastro portante della loro competitività. E sono proprio i musei e gli archivi d’impresa a darne un’aggiornata testimonianza.

L’Italia, infatti, è creatività, spirito d’intraprendenza, senso di comunità aperta e inclusiva. Partecipazione. E ha rivelato, anche in queste stagioni di malattia e dolore, un capitale sociale di straordinario valore, in cui le radici nella tradizione, il genius loci della bellezza e del “fare bene”, s’incrociano con un forte spirito d’innovazione. Il nostro dovere, oggi, è “Fare memoria”, per usare parole care al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impegnato a insistere su “serietà, responsabilità, solidarietà”. E dunque è necessario costruire futuro. Un futuro migliore per la Next Generation. Una sfida generale di cultura.

Il fare, il produrre, il custodire e l’innovare hanno tutti un minimo comune denominatore: una cultura quale autentico filo conduttore del sistema Italia, un punto di forza della nostra identità aperta e dialettica e della nostra competitività internazionale, un patrimonio che ci viene invidiato nel mondo e che oggi, mai come prima, è leva di ricostruzione e di sviluppo.

Cultura politecnica. Scienza. Ricerca di valore mondiale. E imprese sanitarie e farmaceutiche, robotiche e meccatroniche, università e società di servizi hi tech tutte impegnate nella tutela di beni pubblici, come la salute e la conoscenza, declinati in una cultura civile in cui istituzioni pubbliche, imprese private e strutture sociali del volontariato e, più in generale, del terzo settore camminano insieme.

Fare. E fare sapere. Serve, appunto, una nuova capacità di racconto dell’impresa che va rilanciata anche e soprattutto con la valorizzazione dei nostri musei e archivi, tutti ricchi di storie capaci di appassionare anche le giovani generazioni. Lo abbiamo sperimentato in questi mesi di lockdown. E proprio grazie alle tecnologie e ai linguaggi digitali è stato possibile continuare a fare vivere i patrimoni di memoria aziendale e a sostituire, con la rappresentazione digitale, quello che è stato impossibile fare di presenza. Una svolta culturale, di forma e contenuto, che non va affatto persa ma deve costituire, per tutti gli attori culturali e per le imprese, un nuovo territorio di collaborazione.

Proprio il Recovery Plan, come suggerisce anche Federculture, può esserne strumento essenziale. Facendo leva appunto sulla cultura d’impresa, intesa come rigore, capacità di “fare, e fare bene” e di affrontare le sfide generate da pandemia e recessione. E come visione di ampio respiro come quella degli imprenditori che hanno fatto grande l’Italia, a partire da Adriano Olivetti, dall’Eni di Enrico Mattei, dalla Pirelli e da una lunga serie di medie e piccole imprese. Meno parole e comitati e più “produrre”, “trasformare”, “raccontare”.

La cultura d’impresa, appunto, è estranea alla vuota retorica. Ed è, concretamente, attore fondamentale per il riscatto morale e civile del Paese. Le idee di progresso e di sviluppo possono trarne nuova forza. L’Angelus Novus può avere finalmente più libere le sue ali, verso il futuro.

C’è un’immagine dalla straordinaria forza simbolica che connota il lungo e drammatico Novecento: l’Angelus Novus, dipinto da Paul Klee, con lo sguardo rivolto all’indietro, verso le macerie della Storia. Walter Benjamin, intelligenza inquieta e visionaria, critica e profondamente malinconica, ha scritto pagine intense, che vale la pena rileggere, per riflettere su come legare la conoscenza storica alla necessità di progettare il futuro, cioè su come rimemorare e, contemporaneamente, costruire migliori equilibri civili, sociali, economici. Scrive Benjamin: nel quadro di Klee c’è “un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Oggi, sotto la spinta dei drammatici eventi contemporanei (la Grande Crisi finanziaria del 2008, l’aggravarsi dei problemi legati al Climate Change, la pandemia da Covid19 e la grave recessione mondiale conseguente), ci tocca insistere sull’urgenza del “cambio di paradigma” dello sviluppo economico e sociale e, dunque, rileggere criticamente l’idea di “progresso” (lo fa, per esempio, con grande efficacia, Aldo Schiavone, in un libro pubblicato alcuni mesi fa da Il Mulino) ma anche riconsiderare scelte politiche, economiche, culturali legate alle prospettive dello sviluppo. Proprio quello sviluppo che, per uscire dalla crisi del Covid19, la Ue ci sollecita a progettare come sostenibile, lavorando per il Recovery Plan su green economy e digital economy e guardando soprattutto alle nuove generazioni: scuola, formazione di lungo periodo, conoscenza.

Proprio da questo punto di vista, c’è un’altra pagina che vale la pena rileggere, per cercare, nel “classici” del secolo appena trascorso, stimoli di riflessione. L’ha scritta John Maynard Keynes nel 1926, in “The end of Laussez-Faire”: “Penso che il capitalismo, se ben gestito, possa probabilmente essere reso più efficiente di qualunque sistema alternativo finora concepito nel perseguimento di obiettivi economici, ma penso anche che in sé e per sé esso sia per molti versi estremamente criticabile. Il nostro problema è quello di mettere in piedi un’organizzazione sociale che sia in sommo grado efficiente senza pregiudicare la nostra idea di uno stile di vita soddisfacente”.

L’immaginario evocativo dell’Angelus Novus di Klee interpretato da Benjamin e la strategia del riformismo alla Keynes, come fondamento di una migliore cultura d’impresa orientata allo sviluppo sostenibile, sono risuonate, la scorsa settimana, nel corso del seminario organizzato da Museimpresa sull’heritage aziendale e sulle trasformazioni digitali (con le relazioni di James M. Bradburne, direttore generale della Pinacoteca di Brera, Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle attività culturali del Politecnico di Milano, Samanta Isaia, direttrice operativa del Museo Egizio di Torino, Marco Amato, direttore del Museo Lavazza e Paola Dubini, professoressa di Management all’Università Bocconi).

L’idea di fondo: usare tecniche e linguaggi del mondo digitale in rafforzamento delle esperienze museali e culturali dal vivo (appena la diffusione dei vaccini, dall’autunno in poi, ci permetteranno di tornare agli incontri, ai viaggi, alle frequentazioni di musei e teatri, luoghi della musica e centri della cultura) e valorizzare dunque con sempre maggior efficacia il patrimonio culturale, sia pubblico che privato, delle istituzioni e delle imprese, come motore potente d’uno sviluppo economico e sociale di qualità. Legando memoria e innovazione, eredità del “bello e ben fatto”, ricerca scientifica e cambiamenti tecnologico per un profondo rinnovamento della qualità della vita e del lavoro.

Una sintesi originale tra l’Angelus Novus che cambi il verso dello sguardo verso il futuro e la lezione keynesiana di un liberalismo da “società aperta” con una solida sensibilità sociale.

C’è appunto tutto questo – s’è detto nel corso del seminario di Museimpresa, ricco di rappresentazioni di esperienze tecnicamente innovative e di indicazioni di strategie culturali – nell’esperienza e nella progettualità delle imprese italiane, che della cultura e della sostenibilità fanno un pilastro portante della loro competitività. E sono proprio i musei e gli archivi d’impresa a darne un’aggiornata testimonianza.

L’Italia, infatti, è creatività, spirito d’intraprendenza, senso di comunità aperta e inclusiva. Partecipazione. E ha rivelato, anche in queste stagioni di malattia e dolore, un capitale sociale di straordinario valore, in cui le radici nella tradizione, il genius loci della bellezza e del “fare bene”, s’incrociano con un forte spirito d’innovazione. Il nostro dovere, oggi, è “Fare memoria”, per usare parole care al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impegnato a insistere su “serietà, responsabilità, solidarietà”. E dunque è necessario costruire futuro. Un futuro migliore per la Next Generation. Una sfida generale di cultura.

Il fare, il produrre, il custodire e l’innovare hanno tutti un minimo comune denominatore: una cultura quale autentico filo conduttore del sistema Italia, un punto di forza della nostra identità aperta e dialettica e della nostra competitività internazionale, un patrimonio che ci viene invidiato nel mondo e che oggi, mai come prima, è leva di ricostruzione e di sviluppo.

Cultura politecnica. Scienza. Ricerca di valore mondiale. E imprese sanitarie e farmaceutiche, robotiche e meccatroniche, università e società di servizi hi tech tutte impegnate nella tutela di beni pubblici, come la salute e la conoscenza, declinati in una cultura civile in cui istituzioni pubbliche, imprese private e strutture sociali del volontariato e, più in generale, del terzo settore camminano insieme.

Fare. E fare sapere. Serve, appunto, una nuova capacità di racconto dell’impresa che va rilanciata anche e soprattutto con la valorizzazione dei nostri musei e archivi, tutti ricchi di storie capaci di appassionare anche le giovani generazioni. Lo abbiamo sperimentato in questi mesi di lockdown. E proprio grazie alle tecnologie e ai linguaggi digitali è stato possibile continuare a fare vivere i patrimoni di memoria aziendale e a sostituire, con la rappresentazione digitale, quello che è stato impossibile fare di presenza. Una svolta culturale, di forma e contenuto, che non va affatto persa ma deve costituire, per tutti gli attori culturali e per le imprese, un nuovo territorio di collaborazione.

Proprio il Recovery Plan, come suggerisce anche Federculture, può esserne strumento essenziale. Facendo leva appunto sulla cultura d’impresa, intesa come rigore, capacità di “fare, e fare bene” e di affrontare le sfide generate da pandemia e recessione. E come visione di ampio respiro come quella degli imprenditori che hanno fatto grande l’Italia, a partire da Adriano Olivetti, dall’Eni di Enrico Mattei, dalla Pirelli e da una lunga serie di medie e piccole imprese. Meno parole e comitati e più “produrre”, “trasformare”, “raccontare”.

La cultura d’impresa, appunto, è estranea alla vuota retorica. Ed è, concretamente, attore fondamentale per il riscatto morale e civile del Paese. Le idee di progresso e di sviluppo possono trarne nuova forza. L’Angelus Novus può avere finalmente più libere le sue ali, verso il futuro.

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?