Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli..

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione e l’accessiblità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o scrivere a visite@fondazionepirelli.org

La “fabbrica bella”, l’industria dei grandi marchi e il “Manifesto dell’umanesimo metalmeccanico”

La “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, accogliente e inclusiva, sicura, sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. E “intelligente”, secondo i paradigmi digital di “Industria 4.0”. E’ la fabbrica in cui produrre il miglior made in Italy della meccanica e della gomma, della chimica e della farmaceutica, dell’arredamento, dell’alimentare e dell’abbigliamento, quelle “cose belle che piacciono al mondo” individuate, come caratteristica originale dell’industria italiana, da un grande storico dell’economia, Carlo Maria Cipolla. La definizione di “fabbrica bella” incontra il consenso di Aldo Sutter, una solida storia di impresa di famiglia alle spalle, un gruppo leader in Europa nei prodotti sostenibili e biodegradabili per la casa e la pulizia: “Sui mercati globali è la nostra identità e il nostro futuro”.

Sutter è il presidente di IBC, l’Associazione delle industrie dei beni di consumo, 30mila imprese iscritte, tra cui tutti i grandi marchi che abitano la nostra quotidianità di consumatori. Ha riunito nei giorni scorsi a Milano l’assemblea annuale dell’organizzazione. E ha molto insistito sui criteri di sostenibilità e sulla responsabilità delle imprese per migliorare la qualità della crescita economica, per contribuire a definire nuovi paradigmi di sviluppo.

Sostenibilità è dunque la parola chiave. Un’idea forte da “economia civile” (ne abbiamo parlato molte volte, in questi blog) che recupera l’elaborazione politica e tecnica degli economisti dell’Illuminismo napoletano e milanese (Antonio Genovesi, le cui “Lezioni d’economia civile” sono state ripubblicate nel 2013 da Vita e Pensiero, con prefazione di Luigino Bruni e Stefano Zamagni, ma anche Ferdinando Galiani e i fratelli Verri), del “Politecnico” ottocentesco di Carlo Cattaneo e delle migliori esperienze del Novecento industriale (Pirelli, Olivetti). E ne fa oggi il cardine del contributo originale dell’industria italiana per uno sviluppo fondato su qualità, inclusione sociale, abbattimento delle disuguaglianze.

Industria come motore di migliori equilibri, tra innovazione, competitività e solidarietà.

Industria, ancora, come luogo in cui si sperimenta e si cerca di costruire una nuova “civiltà delle macchine” in una stagione in cui la rivoluzione digitale, i robot, i processi produttivi e commerciali guidati dagli algoritmi sconvolgono vecchi equilibri di produzione e consumo, ampliano le opportunità competitive ma creano anche nuovi squilibri su molti piani: il lavoro (scompaiono mestieri e professioni tradizionali che non si sa ancora bene quanto e come saranno compensati da nuovi lavori), i redditi, le conoscenze diffuse, la salute, la partecipazione e forse gli stesse criteri di fondo della democrazia rappresentativa (per cercare di saperne di più è utile leggere “Homo premium – Come la tecnologia ci divide” di Massimo Gaggi, editorialista del Corriere della Sera, Laterza).

Sostenibilità e responsabilità. Termini ricorrenti, sempre nei giorni scorsi, pure in un altro appuntamento di grande rilievo: il primo “Sustainable Economic Forum” promosso giovedì e venerdì scorsi dalla Fondazione San Patrignano (per celebrare i quarant’anni della Comunità) e da Confindustria. I temi ricorrenti: Green bond (obbligazioni legate a progetti con impatto positivo sull’ambiente), partenariato e cioè collaborazione pubblico-privato e profit-non profit per progetti di utilità sociale e welfare sia aziendale che di territorio. Con alcune idee di fondo molto chiare: sviluppo sostenibile e responsabilità delle imprese nel recuperare “il senso della comunità”.

“Dobbiamo pensare a un futuro diverso, da costruire bene sui concetti di sostenibilità e responsabilità. Serve perciò un nuovo modello di sviluppo economico e sociale: a partire dalla crisi del 2007 sono apparsi evidenti i limiti della nostra architettura di crescita e occorre un sistema basato sulla sussidiarietà, che premia chi investe in responsabilità sociale”, ha detto Letizia Moratti, co-fondatrice di San Patrignano, facendo del “Forum” un laboratorio di idee e proposte e un richiamo all’azione” (“Corriere della Sera” e “IlSole24Ore”, 13 aprile). E Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: “L’inclusività fa parte del nostro pensiero. Ed è nostro compito recuperare il senso della comunità che si è perso. Serve più crescita inclusiva, per ridurre i divari”. Proprio quei divari sociali, di reddito, geografici e tra generazioni che anche l’Ocse ha messo di recente in rilievo per l’Italia, considerando le crescenti diseguaglianze un freno per lo sviluppo.

Cambiamento, dunque. In campo anche un altro soggetto di grande peso, nel mondo dell’impresa, Federmeccanica, l’associazione delle industrie metalmeccaniche di Confindustria. Già protagonista, insieme ai sindacati di categoria di Cgil, CISL e Uil di un innovativo contratto di lavoro fondato su formazione, welfare aziendale, aumenti salariali legati alla produttività, Federmeccanica adesso parla di un “nuovo umanesimo metalmeccanico”, cioè di una nuova cultura d’impresa che, proprio nel cuore della “rivoluzione digitale” che cambia fabbriche e lavori, insiste su un vero e proprio “decalogo” di impegni e responsabilità. Priorità: le persone.

Di “umanesimo industriale” e “nuovo rinascimento industriale” si parla da tempo, anche nella migliore letteratura economica, cercando leve culturali per uscire dalla Grande Crisi e ridare centralità all’economia industriale, alla fabbrica, contro gli eccessi della speculazione finanziaria. Adesso, con l’elaborazione di Federmeccanica, si fa un importante passo in avanti.

Ecco i temi del “Manifesto dell’umanesimo metalmeccanico”: “Migliorare la competitività; investire sulle persone con istruzione e formazione; tutelare la salute e il benessere; promuovere la sicurezza e la protezione dell’ambiente; collegare i salari alla produttività aziendale; coinvolgere i lavoratori nella vita dell’impresa; motivare i giovani; riconoscere e affermare il ruolo delle donne; difendere attivamente l’occupazione; essere europei”. Titoli impegnativi, per un decalogo con una forte ambizione strategica. Ma anche indicazioni concrete, di metodo e merito.

Eccone un esempio: “La fabbrica intelligente si fonda sul contributo di uomini e donne che grazie al lavoro possono sviluppare la propria professionalità e la propria personalità, contribuendo con le proprie competenze, attitudini e valori al successo dell’impresa”. Persone e valori. “Umanesimo” è un nome appropriato.

La “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, accogliente e inclusiva, sicura, sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. E “intelligente”, secondo i paradigmi digital di “Industria 4.0”. E’ la fabbrica in cui produrre il miglior made in Italy della meccanica e della gomma, della chimica e della farmaceutica, dell’arredamento, dell’alimentare e dell’abbigliamento, quelle “cose belle che piacciono al mondo” individuate, come caratteristica originale dell’industria italiana, da un grande storico dell’economia, Carlo Maria Cipolla. La definizione di “fabbrica bella” incontra il consenso di Aldo Sutter, una solida storia di impresa di famiglia alle spalle, un gruppo leader in Europa nei prodotti sostenibili e biodegradabili per la casa e la pulizia: “Sui mercati globali è la nostra identità e il nostro futuro”.

Sutter è il presidente di IBC, l’Associazione delle industrie dei beni di consumo, 30mila imprese iscritte, tra cui tutti i grandi marchi che abitano la nostra quotidianità di consumatori. Ha riunito nei giorni scorsi a Milano l’assemblea annuale dell’organizzazione. E ha molto insistito sui criteri di sostenibilità e sulla responsabilità delle imprese per migliorare la qualità della crescita economica, per contribuire a definire nuovi paradigmi di sviluppo.

Sostenibilità è dunque la parola chiave. Un’idea forte da “economia civile” (ne abbiamo parlato molte volte, in questi blog) che recupera l’elaborazione politica e tecnica degli economisti dell’Illuminismo napoletano e milanese (Antonio Genovesi, le cui “Lezioni d’economia civile” sono state ripubblicate nel 2013 da Vita e Pensiero, con prefazione di Luigino Bruni e Stefano Zamagni, ma anche Ferdinando Galiani e i fratelli Verri), del “Politecnico” ottocentesco di Carlo Cattaneo e delle migliori esperienze del Novecento industriale (Pirelli, Olivetti). E ne fa oggi il cardine del contributo originale dell’industria italiana per uno sviluppo fondato su qualità, inclusione sociale, abbattimento delle disuguaglianze.

Industria come motore di migliori equilibri, tra innovazione, competitività e solidarietà.

Industria, ancora, come luogo in cui si sperimenta e si cerca di costruire una nuova “civiltà delle macchine” in una stagione in cui la rivoluzione digitale, i robot, i processi produttivi e commerciali guidati dagli algoritmi sconvolgono vecchi equilibri di produzione e consumo, ampliano le opportunità competitive ma creano anche nuovi squilibri su molti piani: il lavoro (scompaiono mestieri e professioni tradizionali che non si sa ancora bene quanto e come saranno compensati da nuovi lavori), i redditi, le conoscenze diffuse, la salute, la partecipazione e forse gli stesse criteri di fondo della democrazia rappresentativa (per cercare di saperne di più è utile leggere “Homo premium – Come la tecnologia ci divide” di Massimo Gaggi, editorialista del Corriere della Sera, Laterza).

Sostenibilità e responsabilità. Termini ricorrenti, sempre nei giorni scorsi, pure in un altro appuntamento di grande rilievo: il primo “Sustainable Economic Forum” promosso giovedì e venerdì scorsi dalla Fondazione San Patrignano (per celebrare i quarant’anni della Comunità) e da Confindustria. I temi ricorrenti: Green bond (obbligazioni legate a progetti con impatto positivo sull’ambiente), partenariato e cioè collaborazione pubblico-privato e profit-non profit per progetti di utilità sociale e welfare sia aziendale che di territorio. Con alcune idee di fondo molto chiare: sviluppo sostenibile e responsabilità delle imprese nel recuperare “il senso della comunità”.

“Dobbiamo pensare a un futuro diverso, da costruire bene sui concetti di sostenibilità e responsabilità. Serve perciò un nuovo modello di sviluppo economico e sociale: a partire dalla crisi del 2007 sono apparsi evidenti i limiti della nostra architettura di crescita e occorre un sistema basato sulla sussidiarietà, che premia chi investe in responsabilità sociale”, ha detto Letizia Moratti, co-fondatrice di San Patrignano, facendo del “Forum” un laboratorio di idee e proposte e un richiamo all’azione” (“Corriere della Sera” e “IlSole24Ore”, 13 aprile). E Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: “L’inclusività fa parte del nostro pensiero. Ed è nostro compito recuperare il senso della comunità che si è perso. Serve più crescita inclusiva, per ridurre i divari”. Proprio quei divari sociali, di reddito, geografici e tra generazioni che anche l’Ocse ha messo di recente in rilievo per l’Italia, considerando le crescenti diseguaglianze un freno per lo sviluppo.

Cambiamento, dunque. In campo anche un altro soggetto di grande peso, nel mondo dell’impresa, Federmeccanica, l’associazione delle industrie metalmeccaniche di Confindustria. Già protagonista, insieme ai sindacati di categoria di Cgil, CISL e Uil di un innovativo contratto di lavoro fondato su formazione, welfare aziendale, aumenti salariali legati alla produttività, Federmeccanica adesso parla di un “nuovo umanesimo metalmeccanico”, cioè di una nuova cultura d’impresa che, proprio nel cuore della “rivoluzione digitale” che cambia fabbriche e lavori, insiste su un vero e proprio “decalogo” di impegni e responsabilità. Priorità: le persone.

Di “umanesimo industriale” e “nuovo rinascimento industriale” si parla da tempo, anche nella migliore letteratura economica, cercando leve culturali per uscire dalla Grande Crisi e ridare centralità all’economia industriale, alla fabbrica, contro gli eccessi della speculazione finanziaria. Adesso, con l’elaborazione di Federmeccanica, si fa un importante passo in avanti.

Ecco i temi del “Manifesto dell’umanesimo metalmeccanico”: “Migliorare la competitività; investire sulle persone con istruzione e formazione; tutelare la salute e il benessere; promuovere la sicurezza e la protezione dell’ambiente; collegare i salari alla produttività aziendale; coinvolgere i lavoratori nella vita dell’impresa; motivare i giovani; riconoscere e affermare il ruolo delle donne; difendere attivamente l’occupazione; essere europei”. Titoli impegnativi, per un decalogo con una forte ambizione strategica. Ma anche indicazioni concrete, di metodo e merito.

Eccone un esempio: “La fabbrica intelligente si fonda sul contributo di uomini e donne che grazie al lavoro possono sviluppare la propria professionalità e la propria personalità, contribuendo con le proprie competenze, attitudini e valori al successo dell’impresa”. Persone e valori. “Umanesimo” è un nome appropriato.

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?