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La Milano di BookCity e delle buone letture e le case high tech in cui scompaiono le librerie

Umberto Eco attraversa a passo lento le stanze della grande casa di piazza Castello, a Milano, una vera e propria casa dei libri, più di trentamila volumi, una raccolta messa insieme in anni di studi, ricerche, passioni letterarie e culturali. E quel suo camminare è un lungo piano-sequenza del documentario, in bianco e nero, intitolato “Umberto Eco. La biblioteca del mondo” e diretto dal regista Davide Ferrario, che la Scuola di scrittura Belleville presenterà a Milano, nei prossimi giorni, al cinema Anteo, in occasione di BookCity (andrà poi nelle sale cinematografiche a febbraio, con Fandango).

Scelta opportuna e simbolica, quella della biblioteca di Eco, per sottolineare, con la figura di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, una manifestazione che, unica in Italia, di anno in anno (siamo arrivati alla undicesima edizione) coinvolge, dal 16 al 20 novembre, decine di migliaia di persone in quasi 1.500 appuntamenti, tra incontri con gli autori, letture in pubblico, dibattiti in ogni angolo della città.

“Una festa del libro e della lettura”, sintetizza Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione BookCity, autorevole protagonista della cultura e dell’economia milanese. Un modo coinvolgente per sottolineare le strette relazioni tra vivere e leggere, cercare di capire il mondo e raccontarlo, creare e intraprendere, sfidare il tempo ricostruendo storia e storie e preparando le condizioni per un migliore futuro.

I libri, appunto, sono una delle testimonianze più efficaci delle possibilità dell’“avvenire della memoria”.

Milano, d’altronde, è città di cultura innovativa e, contemporaneamente, popolare e diffusa. “Pane e cultura”, prometteva ai suoi concittadini Antonio Greppi, il sindaco del difficile dopoguerra e della frenetica ricostruzione. Attività culturali, tra teatri e musica, sono state promosse, con generosi e lungimiranti finanziamenti, dalla pubblica amministrazione, dalla borghesia imprenditoriale e dalle forze politiche più sensibili (la Casa della Cultura in via Borgogna ne è solo una delle testimonianze, ancora in attività). Sulla cultura insistono ancora associazioni e industrie (proprio quest’anno l’Assolombarda ha vinto, in una delle sue città, Pavia, il titolo di “capitale della cultura d’impresa”: la cultura, per un’impresa, è una scelta di mecenatismo ma è soprattutto un asset di identità e competitività, con una “cultura politecnica” sintesi tra saperi umanistici e conoscenze scientifiche, che è un unicum internazionale).

Una ricerca dell’Aie (l’Associazione degli Editori) con Pepe Research, appunto per BookCity, documenta come il 75% dei milanesi ha letto almeno un libro all’anno (poco, certo, ma più della media nazionale) e il 59% da partecipato almeno a un evento culturale. “Eventi e libri letti nell’equazione virtuosa di Milano”, nota con soddisfazione il “Corriere della Sera”. “Milano capitale dei consumi culturali”, titola “la Repubblica”. D’altronde, anche la ricerca annuale “Io sono cultura” curata da Symbola e Unioncamere (presentata nelle scorse settimane prima a Roma al Maxxi e poi a Milano, a Casa Fornasetti), ha documentato come Milano e la Lombardia siano al primo posto, in Italia, per consumi, imprese e attività culturali.

Milano città dei libri, dunque. Dei grandi editori storici (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Feltrinelli, Adelphi, Longanesi di Mauri-Spagnol, etc.) e di più recenti iniziative editoriali (La nave di Teseo, NN Editore, Iperborea, solo per nominarne alcune tra le tante). Delle librerie storiche che si rinnovano (Hoepli) e di parecchie altre che si aprono, indipendenti, con passione e intelligenza, in quartieri di centro e periferia. Delle biblioteche pubbliche e private, in centri culturali, scuole, ma anche imprese e condomini.

Leggere per divertimento, assaporando il piacere del testo. Leggere per capire e sapere. Leggere per sfidare il tempo ed entrare in altre esistenze ed esperienze. Come proprio Umberto Eco ci ha insegnato: “Chi non legge, a settant’anni, avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.

Anche sulla capacità di entrare nelle vite altrui, dunque sulla lettura e sulla cultura si fonda un’altra caratteristica milanese: l’inclusività sociale, la capacità di accoglienza e di integrazione, l’attitudine a fare sintesi originali tra competitività economica e solidarietà. Leggere per “comprendere” (la radice è nel latino “cum”, cioè insieme, la stessa di “conoscenza” e di “comunità”). Leggere per crescere.

Perdere queste caratteristiche significherebbe perdere l’anima di Milano.

Attenzione ai libri, dunque. Ai luoghi pubblici dei libri, le biblioteche, le librerie, gli incontri culturali come BookCity. E ai luoghi privati, alle case che ospitano libri come parte essenziale di lessico famigliare e di  socialità (fin dai tempi di Cicerone, peraltro : “Una casa senza libri è una stanza senza finestre”).

Ecco, però, un punto critico: nelle nuove architetture urbane, nella Milano ricca delle “mille luci” e della frenesia per “gli eventi”, dei consumi opulenti e delle ricchezze vistose, degli archistar e del vetro e acciaio dei grattacieli che ridisegnano la skyline, nelle case high tech, viste in pianta, non c’è quasi mai spazio per una libreria. Per contenitori di libri. Certo, le nuove generazioni digitali preferiscono le letture degli e.book. Ma siamo sicuri che su questa scomparsa delle librerie nelle case non sia necessaria una riflessione architettonica, culturale, sociale?

(Photo by Leonardo Cendamo/Getty Images)

Umberto Eco attraversa a passo lento le stanze della grande casa di piazza Castello, a Milano, una vera e propria casa dei libri, più di trentamila volumi, una raccolta messa insieme in anni di studi, ricerche, passioni letterarie e culturali. E quel suo camminare è un lungo piano-sequenza del documentario, in bianco e nero, intitolato “Umberto Eco. La biblioteca del mondo” e diretto dal regista Davide Ferrario, che la Scuola di scrittura Belleville presenterà a Milano, nei prossimi giorni, al cinema Anteo, in occasione di BookCity (andrà poi nelle sale cinematografiche a febbraio, con Fandango).

Scelta opportuna e simbolica, quella della biblioteca di Eco, per sottolineare, con la figura di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, una manifestazione che, unica in Italia, di anno in anno (siamo arrivati alla undicesima edizione) coinvolge, dal 16 al 20 novembre, decine di migliaia di persone in quasi 1.500 appuntamenti, tra incontri con gli autori, letture in pubblico, dibattiti in ogni angolo della città.

“Una festa del libro e della lettura”, sintetizza Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione BookCity, autorevole protagonista della cultura e dell’economia milanese. Un modo coinvolgente per sottolineare le strette relazioni tra vivere e leggere, cercare di capire il mondo e raccontarlo, creare e intraprendere, sfidare il tempo ricostruendo storia e storie e preparando le condizioni per un migliore futuro.

I libri, appunto, sono una delle testimonianze più efficaci delle possibilità dell’“avvenire della memoria”.

Milano, d’altronde, è città di cultura innovativa e, contemporaneamente, popolare e diffusa. “Pane e cultura”, prometteva ai suoi concittadini Antonio Greppi, il sindaco del difficile dopoguerra e della frenetica ricostruzione. Attività culturali, tra teatri e musica, sono state promosse, con generosi e lungimiranti finanziamenti, dalla pubblica amministrazione, dalla borghesia imprenditoriale e dalle forze politiche più sensibili (la Casa della Cultura in via Borgogna ne è solo una delle testimonianze, ancora in attività). Sulla cultura insistono ancora associazioni e industrie (proprio quest’anno l’Assolombarda ha vinto, in una delle sue città, Pavia, il titolo di “capitale della cultura d’impresa”: la cultura, per un’impresa, è una scelta di mecenatismo ma è soprattutto un asset di identità e competitività, con una “cultura politecnica” sintesi tra saperi umanistici e conoscenze scientifiche, che è un unicum internazionale).

Una ricerca dell’Aie (l’Associazione degli Editori) con Pepe Research, appunto per BookCity, documenta come il 75% dei milanesi ha letto almeno un libro all’anno (poco, certo, ma più della media nazionale) e il 59% da partecipato almeno a un evento culturale. “Eventi e libri letti nell’equazione virtuosa di Milano”, nota con soddisfazione il “Corriere della Sera”. “Milano capitale dei consumi culturali”, titola “la Repubblica”. D’altronde, anche la ricerca annuale “Io sono cultura” curata da Symbola e Unioncamere (presentata nelle scorse settimane prima a Roma al Maxxi e poi a Milano, a Casa Fornasetti), ha documentato come Milano e la Lombardia siano al primo posto, in Italia, per consumi, imprese e attività culturali.

Milano città dei libri, dunque. Dei grandi editori storici (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Feltrinelli, Adelphi, Longanesi di Mauri-Spagnol, etc.) e di più recenti iniziative editoriali (La nave di Teseo, NN Editore, Iperborea, solo per nominarne alcune tra le tante). Delle librerie storiche che si rinnovano (Hoepli) e di parecchie altre che si aprono, indipendenti, con passione e intelligenza, in quartieri di centro e periferia. Delle biblioteche pubbliche e private, in centri culturali, scuole, ma anche imprese e condomini.

Leggere per divertimento, assaporando il piacere del testo. Leggere per capire e sapere. Leggere per sfidare il tempo ed entrare in altre esistenze ed esperienze. Come proprio Umberto Eco ci ha insegnato: “Chi non legge, a settant’anni, avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.

Anche sulla capacità di entrare nelle vite altrui, dunque sulla lettura e sulla cultura si fonda un’altra caratteristica milanese: l’inclusività sociale, la capacità di accoglienza e di integrazione, l’attitudine a fare sintesi originali tra competitività economica e solidarietà. Leggere per “comprendere” (la radice è nel latino “cum”, cioè insieme, la stessa di “conoscenza” e di “comunità”). Leggere per crescere.

Perdere queste caratteristiche significherebbe perdere l’anima di Milano.

Attenzione ai libri, dunque. Ai luoghi pubblici dei libri, le biblioteche, le librerie, gli incontri culturali come BookCity. E ai luoghi privati, alle case che ospitano libri come parte essenziale di lessico famigliare e di  socialità (fin dai tempi di Cicerone, peraltro : “Una casa senza libri è una stanza senza finestre”).

Ecco, però, un punto critico: nelle nuove architetture urbane, nella Milano ricca delle “mille luci” e della frenesia per “gli eventi”, dei consumi opulenti e delle ricchezze vistose, degli archistar e del vetro e acciaio dei grattacieli che ridisegnano la skyline, nelle case high tech, viste in pianta, non c’è quasi mai spazio per una libreria. Per contenitori di libri. Certo, le nuove generazioni digitali preferiscono le letture degli e.book. Ma siamo sicuri che su questa scomparsa delle librerie nelle case non sia necessaria una riflessione architettonica, culturale, sociale?

(Photo by Leonardo Cendamo/Getty Images)

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