La passione di nuove idee per evitare la mediocrità
“Ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne sogni la tua filosofia, Orazio”. L’ammonimento dell’Amleto di William Shakespeare all’amico filosofo torna in mente quando si pensa ai saperi che un imprenditore o un manager devono coltivare per affrontare tempi oramai lunghi e particolarmente faticosi di crisi. C’è un altro ammonimento, di Emil Cioran, da segnare sui taccuini della nostra coscienza: “La mediocrità di un manager si riconosce dal numero di idee precise che afferma con sicurezza”. Ottimo termometro, per misurare la qualità di molti interlocutori, nel lavoro di ogni giorno. In una nuova cultura d’impresa da ricostruire e ridefinire (in certi casi: da costruire ex novo) è indispensabile dare retta al principe di Danimarca (e al sociologo franco-rumeno) e cercare altre idee, strumenti interpretativi, linguaggi, per governare inedite complessità. In due volumi recenti, “Che cos’è il management” (edito da Mind) e “Il lungo addio / E altri racconti” (edito da Metamorfosi), Pier Luigi Celli, manager con una storia di successi alle spalle (Olivetti, Enel, Unicredit, Rai, di cui è stato direttore generale) e con un’attualità universitaria (dirige l’università Luiss di Roma) mette in crisi il gioco della tradizionale cultura manageriale, inadatta a tempi che hanno lacerato certezze gerarchiche e poteri organizzativi disciplinati secondo norme amministrative e criteri “quantitativi” (la sub cultura dell’ossessione della crescita per volumi e non per qualità). E insiste invece su altre culture fondate non più sul semplice (e autoritario) comando ma sull’autorevolezza della leadership, per motivare persone e sviluppare aziende. Culture dei valori, insomma e non solo del valore come semplice espressione del profitto. Viviamo stagioni controverse di incertezze e cambiamenti. I modelli verticali sono stati stravolti da conoscenze e competenze che si muovono secondo percorsi orizzontali (complici gli schemi internettiani e le logiche profonde delle nuove tecnologie Ict, ma anche lo sfarinamento di antiche istituzioni politiche e sociali). E dunque le strutture concettuali e organizzative aziendali e i poteri manageriali devono risentire dei cambiamenti (rivoluzioni radicali o metamorfosi che siano). Per evitare l’evidenza di “Sotto il gessato, niente” e per sottrarsi dunque al crollo di poteri, organizzazioni, funzioni, bisogna fare largo alle idee e non alla banale contabilità del “già noto”. Idee eretiche, lungimiranti, dubbiose, capaci di stare dentro la “crisi” e interpretarne sia i pericoli sia le opportunità di svolta. Un manager è un innovatore, insiste Celli. Capace di nutrire e trasmettere passioni per sfide e costruzioni. Di avere “un’anima”.
“Ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne sogni la tua filosofia, Orazio”. L’ammonimento dell’Amleto di William Shakespeare all’amico filosofo torna in mente quando si pensa ai saperi che un imprenditore o un manager devono coltivare per affrontare tempi oramai lunghi e particolarmente faticosi di crisi. C’è un altro ammonimento, di Emil Cioran, da segnare sui taccuini della nostra coscienza: “La mediocrità di un manager si riconosce dal numero di idee precise che afferma con sicurezza”. Ottimo termometro, per misurare la qualità di molti interlocutori, nel lavoro di ogni giorno. In una nuova cultura d’impresa da ricostruire e ridefinire (in certi casi: da costruire ex novo) è indispensabile dare retta al principe di Danimarca (e al sociologo franco-rumeno) e cercare altre idee, strumenti interpretativi, linguaggi, per governare inedite complessità. In due volumi recenti, “Che cos’è il management” (edito da Mind) e “Il lungo addio / E altri racconti” (edito da Metamorfosi), Pier Luigi Celli, manager con una storia di successi alle spalle (Olivetti, Enel, Unicredit, Rai, di cui è stato direttore generale) e con un’attualità universitaria (dirige l’università Luiss di Roma) mette in crisi il gioco della tradizionale cultura manageriale, inadatta a tempi che hanno lacerato certezze gerarchiche e poteri organizzativi disciplinati secondo norme amministrative e criteri “quantitativi” (la sub cultura dell’ossessione della crescita per volumi e non per qualità). E insiste invece su altre culture fondate non più sul semplice (e autoritario) comando ma sull’autorevolezza della leadership, per motivare persone e sviluppare aziende. Culture dei valori, insomma e non solo del valore come semplice espressione del profitto. Viviamo stagioni controverse di incertezze e cambiamenti. I modelli verticali sono stati stravolti da conoscenze e competenze che si muovono secondo percorsi orizzontali (complici gli schemi internettiani e le logiche profonde delle nuove tecnologie Ict, ma anche lo sfarinamento di antiche istituzioni politiche e sociali). E dunque le strutture concettuali e organizzative aziendali e i poteri manageriali devono risentire dei cambiamenti (rivoluzioni radicali o metamorfosi che siano). Per evitare l’evidenza di “Sotto il gessato, niente” e per sottrarsi dunque al crollo di poteri, organizzazioni, funzioni, bisogna fare largo alle idee e non alla banale contabilità del “già noto”. Idee eretiche, lungimiranti, dubbiose, capaci di stare dentro la “crisi” e interpretarne sia i pericoli sia le opportunità di svolta. Un manager è un innovatore, insiste Celli. Capace di nutrire e trasmettere passioni per sfide e costruzioni. Di avere “un’anima”.