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La sicurezza Ue sta nelle scelte comuni per difesa, energia, scienza e high tech

Una fastosa reggia, Versailles, testimonianza d’un mondo, l’assolutismo regale francese, travolto dalle idee nuove dell’Illuminismo e della Rivoluzione del 1789. Ma anche un luogo simbolo d’un grande fallimento storico, dopo le laboriose trattative successive alla fine della Prima Guerra Mondiale, con un fronte dei vincitori affetto da avida miopia (Francia e Gran Bretagna), dal disinteresse degli Usa per un buon equilibrio mondiale e dalla debolezza dell’Italia e con una grande sconfitta, la Germania, condannata all’eccessiva pesantezza dei danni di guerra da restituire e delle sanzioni punitive, tanto da covare crisi, rancore e, poi, frenesia di rivalsa sino al successo del nazismo (lo capì bene il giovane e già autorevole John Maynard Keynes, che abbandonò polemicamente la delegazione inglese e ne spiegò le ragioni in un libro lucido e profetico, “Le conseguenze economiche della pace”, che per fortuna fu tenuto in gran conto, anni dopo, dagli autori del Piano Marshall indispensabile a superare i disastri della Seconda Guerra Mondiale, finanziando la ricostruzione e il rilancio anche dei paesi sconfitti).
Adesso, tra gli stucchi raffinati, gli specchi dorati e gli arazzi preziosi di Versailles, si sono riuniti, nei giorni scorsi, i capi di Stato e di governo che compongono il Consiglio Europeo, per definire scelte politiche comuni di fronte ai drammatici problemi posti dalla guerra in Ucraina: sanzioni rafforzate nei confronti della Russia, nuovi sostegni all’Ucraina e ai suoi abitanti vittime dell’invasione, impegni per ridurre drasticamente la dipendenza energetica dal gas e dal petrolio di Mosca.

Impegni di principio e insufficienti scelte operative, lontane comunque nel tempo, hanno sostenuto gli osservatori più critici. Un importante e positivo passo avanti per una Ue più coesa e attiva nella costruzione della propria autonomia e sicurezza, ha commentato invece il presidente del Consiglio Mario Draghi, sensibile attore di tutti i principali progressi dell’Europa come autorevole protagonista della costruzione di nuovi scenari globali. Positivo, tutto sommato, anche il giudizio di Giampiero Massolo, diplomatico di grande esperienza: “Il Consiglio Europeo di Versailles ha confermato una tendenza importante: l’attenzione crescente degli Stati a definire un interesse europeo prevalente rispetto a quelli nazionali. In sostanza, la disponibilità ad agire insieme per ridurre la vulnerabilità complessiva dell’Unione a beneficio di ciascun Paese” (la Repubblica, 14 marzo). Una scelta che avrà positive conseguenze.
La guerra, con i suoi lutti e le sue ferite, va avanti, tragicamente. E ci tocca confrontarci ogni giorno con quello che giustamente Hegel chiamava “il fardello della storia”. Ma anche, contemporaneamente, è indispensabile costruire pensieri lunghi sul futuro. Prendere atto delle nostre debolezze, della “forza ma anche dei limiti delle società aperte” (ricordati con efficacia da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, 13 marzo). E avere consapevolezza dei costi, economici e sociali, di un’Europa che vuole crescere, in peso internazionale e dunque in sicurezza, nei nuovi scenari di un mondo multipolare fortemente conflittuale e di una nuova “guerra fredda” carica di rischi di evoluzioni “calde”.

Ecco il punto chiave: è necessario fare scelte efficaci per rilanciare e rafforzare la Ue come grande soggetto del riequilibrio internazionale e operare per favorirne l’autonomia strategica. E cioè costruire una politica di sicurezza europea incardinata su tre grandi pilastri: la politica estera e la difesa (con ben maggiore incisività degli attuali accordi Pesc), l’energia e le forniture di materie prime strategiche (le “terre rare”) e la ricerca scientifica e tecnologica. Con tutte le implicazioni politiche ed economiche conseguenti.
“Solo una Ue politicamente coesa potrà affrontare con successo le sfide globali”, commenta Paolo Gentiloni, Commissario per gli Affari Economici e Monetari a Bruxelles (Il Sole24Ore, 26 febbraio). E, ancora più chiaramente: “La storia sta portando la Ue a un punto di svolta: “Dopo il momento della solidarietà contro il Covid, adesso è il tempo dell’autonomia, soprattutto in campo energetico e della difesa” (La Stampa, 7 marzo).

La collocazione strategica è chiara: un’Europa atlantica e mediterranea, vicina agli Usa (anche in nome dei comuni ideali di democrazia liberale e di valori dell’economia di mercato, da difendere, valorizzare e rilanciare, con una vera e propria “battaglia delle idee”) ma anche dialogante con Cina e Russia e sensibile alle culture e agli interessi di altre aree del mondo, dall’Africa al Sud America. Un mondo multipolare, appunto. Capace di scelte comuni o almeno convergenti sui temi che riguardano l’ambiente, la qualità della vita, le libertà, il futuro. Un mondo di scambi, commerci, relazioni.
Rimarranno, certo, le tendenze economiche globali. Si acuiranno parecchie tensioni. Ma sarà necessario impegnarsi per definire un New Global Order, cercando di dare un senso migliore e un potere più incisivo non solo all’Onu, ma anche alla Wto. Una rete di solide ma anche ben equilibrate relazioni commerciali è una positiva condizione di attenuazione dei contrasti neo-imperialisti, nazionalisti, sovranisti.
L’autonomia strategica della Ue comporta non soltanto una politica energetica comune, ma anche migliori scelte di politica industriale (che si ripercuote sulle esigenze della difesa) e di politica fiscale (un bilancio comune per gli investimenti in tecnologie, armamenti, ricerca scientifica, cybersecurity e Intelligenza Artificiale). Dunque, una più tempestiva governance per le scelte politiche ed economiche di fronte alle crisi, superando il principio dell’obbligo dell’unanimità.

Guardiamo meglio all’industria. Aumenta il numero di aziende che stanno radicalmente modificando le loro catene di produzione del valore, le supply chain, le reti delle forniture (lo abbiamo già documentato nel blog del 23 novembre scorso). Cambiando strada rispetto a scelte diffuse degli anni scorsi (si andava a produrre là dove c’erano costi minori e condizioni di produzione migliori, dal Far East a certe aree dell’Europa orientale) per tornare a produrre vicino casa.
Va avanti il backshoring o reshoring, il ritorno delle fabbriche dall’estero. Le catene di fornitura, insomma, si accorciano. Le esperienze vissute nella stagione della pandemia da Covid19 hanno confermato che le filiere lunghe ed estese (per esempio per la produzione di molecole essenziali per l’industria farmaceutica in India), sono quanto mai fragili e precarie. Possono essere bloccate da carenze di materie prime, da strozzature nel sistema dei trasporti e da tensioni di ogni tipo, guerre e avventurismi compresi, come ci insegna appunto l’invasione russa dell’Ucraina. Oppure interrotte da crisi legate al cybercrime. Meglio provare a produrre in sicurezza. E dunque riportare le filiere produttive, le forniture in ambienti più rassicuranti e opportunamente gestiti, sotto controllo.

Un backshoring che, naturalmente, non può essere pensato nei confini dei singoli paesi europei. Ma deve saper considerare tutta la Ue come comune piattaforma produttiva, da rendere più competitiva a livello internazionale. Le scelte di Bruxelles di investire massicciamente nella produzione di microchip sono già una indicazione positiva, da seguire come esempio in altri settori.
Si continuerà, naturalmente, a produrre nel Far East. Ma guardando, da parte delle imprese europee, più a logiche local for local, alla produzione al servizio dei mercati interni delle aree in cui si investe che non alle strategie d’un tempo basate sui grandi volumi di esportazioni e scambi. Non è certo una svolta protezionista. Ma una modifica delle ragioni di competitività, proprio perché le imprese possano fare valere la loro capacità produttiva e la loro qualità sui mercati del mondo, in condizioni di maggiore autonomia e sicurezza.
Istituzioni europee e industria, insomma, devono collaborare per definire una vera e propria road map della transizione. Anche questo, vuol dire autonomia strategica. E, dunque, libertà e sicurezza.

(foto China Photos/Getty Images)

Una fastosa reggia, Versailles, testimonianza d’un mondo, l’assolutismo regale francese, travolto dalle idee nuove dell’Illuminismo e della Rivoluzione del 1789. Ma anche un luogo simbolo d’un grande fallimento storico, dopo le laboriose trattative successive alla fine della Prima Guerra Mondiale, con un fronte dei vincitori affetto da avida miopia (Francia e Gran Bretagna), dal disinteresse degli Usa per un buon equilibrio mondiale e dalla debolezza dell’Italia e con una grande sconfitta, la Germania, condannata all’eccessiva pesantezza dei danni di guerra da restituire e delle sanzioni punitive, tanto da covare crisi, rancore e, poi, frenesia di rivalsa sino al successo del nazismo (lo capì bene il giovane e già autorevole John Maynard Keynes, che abbandonò polemicamente la delegazione inglese e ne spiegò le ragioni in un libro lucido e profetico, “Le conseguenze economiche della pace”, che per fortuna fu tenuto in gran conto, anni dopo, dagli autori del Piano Marshall indispensabile a superare i disastri della Seconda Guerra Mondiale, finanziando la ricostruzione e il rilancio anche dei paesi sconfitti).
Adesso, tra gli stucchi raffinati, gli specchi dorati e gli arazzi preziosi di Versailles, si sono riuniti, nei giorni scorsi, i capi di Stato e di governo che compongono il Consiglio Europeo, per definire scelte politiche comuni di fronte ai drammatici problemi posti dalla guerra in Ucraina: sanzioni rafforzate nei confronti della Russia, nuovi sostegni all’Ucraina e ai suoi abitanti vittime dell’invasione, impegni per ridurre drasticamente la dipendenza energetica dal gas e dal petrolio di Mosca.

Impegni di principio e insufficienti scelte operative, lontane comunque nel tempo, hanno sostenuto gli osservatori più critici. Un importante e positivo passo avanti per una Ue più coesa e attiva nella costruzione della propria autonomia e sicurezza, ha commentato invece il presidente del Consiglio Mario Draghi, sensibile attore di tutti i principali progressi dell’Europa come autorevole protagonista della costruzione di nuovi scenari globali. Positivo, tutto sommato, anche il giudizio di Giampiero Massolo, diplomatico di grande esperienza: “Il Consiglio Europeo di Versailles ha confermato una tendenza importante: l’attenzione crescente degli Stati a definire un interesse europeo prevalente rispetto a quelli nazionali. In sostanza, la disponibilità ad agire insieme per ridurre la vulnerabilità complessiva dell’Unione a beneficio di ciascun Paese” (la Repubblica, 14 marzo). Una scelta che avrà positive conseguenze.
La guerra, con i suoi lutti e le sue ferite, va avanti, tragicamente. E ci tocca confrontarci ogni giorno con quello che giustamente Hegel chiamava “il fardello della storia”. Ma anche, contemporaneamente, è indispensabile costruire pensieri lunghi sul futuro. Prendere atto delle nostre debolezze, della “forza ma anche dei limiti delle società aperte” (ricordati con efficacia da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, 13 marzo). E avere consapevolezza dei costi, economici e sociali, di un’Europa che vuole crescere, in peso internazionale e dunque in sicurezza, nei nuovi scenari di un mondo multipolare fortemente conflittuale e di una nuova “guerra fredda” carica di rischi di evoluzioni “calde”.

Ecco il punto chiave: è necessario fare scelte efficaci per rilanciare e rafforzare la Ue come grande soggetto del riequilibrio internazionale e operare per favorirne l’autonomia strategica. E cioè costruire una politica di sicurezza europea incardinata su tre grandi pilastri: la politica estera e la difesa (con ben maggiore incisività degli attuali accordi Pesc), l’energia e le forniture di materie prime strategiche (le “terre rare”) e la ricerca scientifica e tecnologica. Con tutte le implicazioni politiche ed economiche conseguenti.
“Solo una Ue politicamente coesa potrà affrontare con successo le sfide globali”, commenta Paolo Gentiloni, Commissario per gli Affari Economici e Monetari a Bruxelles (Il Sole24Ore, 26 febbraio). E, ancora più chiaramente: “La storia sta portando la Ue a un punto di svolta: “Dopo il momento della solidarietà contro il Covid, adesso è il tempo dell’autonomia, soprattutto in campo energetico e della difesa” (La Stampa, 7 marzo).

La collocazione strategica è chiara: un’Europa atlantica e mediterranea, vicina agli Usa (anche in nome dei comuni ideali di democrazia liberale e di valori dell’economia di mercato, da difendere, valorizzare e rilanciare, con una vera e propria “battaglia delle idee”) ma anche dialogante con Cina e Russia e sensibile alle culture e agli interessi di altre aree del mondo, dall’Africa al Sud America. Un mondo multipolare, appunto. Capace di scelte comuni o almeno convergenti sui temi che riguardano l’ambiente, la qualità della vita, le libertà, il futuro. Un mondo di scambi, commerci, relazioni.
Rimarranno, certo, le tendenze economiche globali. Si acuiranno parecchie tensioni. Ma sarà necessario impegnarsi per definire un New Global Order, cercando di dare un senso migliore e un potere più incisivo non solo all’Onu, ma anche alla Wto. Una rete di solide ma anche ben equilibrate relazioni commerciali è una positiva condizione di attenuazione dei contrasti neo-imperialisti, nazionalisti, sovranisti.
L’autonomia strategica della Ue comporta non soltanto una politica energetica comune, ma anche migliori scelte di politica industriale (che si ripercuote sulle esigenze della difesa) e di politica fiscale (un bilancio comune per gli investimenti in tecnologie, armamenti, ricerca scientifica, cybersecurity e Intelligenza Artificiale). Dunque, una più tempestiva governance per le scelte politiche ed economiche di fronte alle crisi, superando il principio dell’obbligo dell’unanimità.

Guardiamo meglio all’industria. Aumenta il numero di aziende che stanno radicalmente modificando le loro catene di produzione del valore, le supply chain, le reti delle forniture (lo abbiamo già documentato nel blog del 23 novembre scorso). Cambiando strada rispetto a scelte diffuse degli anni scorsi (si andava a produrre là dove c’erano costi minori e condizioni di produzione migliori, dal Far East a certe aree dell’Europa orientale) per tornare a produrre vicino casa.
Va avanti il backshoring o reshoring, il ritorno delle fabbriche dall’estero. Le catene di fornitura, insomma, si accorciano. Le esperienze vissute nella stagione della pandemia da Covid19 hanno confermato che le filiere lunghe ed estese (per esempio per la produzione di molecole essenziali per l’industria farmaceutica in India), sono quanto mai fragili e precarie. Possono essere bloccate da carenze di materie prime, da strozzature nel sistema dei trasporti e da tensioni di ogni tipo, guerre e avventurismi compresi, come ci insegna appunto l’invasione russa dell’Ucraina. Oppure interrotte da crisi legate al cybercrime. Meglio provare a produrre in sicurezza. E dunque riportare le filiere produttive, le forniture in ambienti più rassicuranti e opportunamente gestiti, sotto controllo.

Un backshoring che, naturalmente, non può essere pensato nei confini dei singoli paesi europei. Ma deve saper considerare tutta la Ue come comune piattaforma produttiva, da rendere più competitiva a livello internazionale. Le scelte di Bruxelles di investire massicciamente nella produzione di microchip sono già una indicazione positiva, da seguire come esempio in altri settori.
Si continuerà, naturalmente, a produrre nel Far East. Ma guardando, da parte delle imprese europee, più a logiche local for local, alla produzione al servizio dei mercati interni delle aree in cui si investe che non alle strategie d’un tempo basate sui grandi volumi di esportazioni e scambi. Non è certo una svolta protezionista. Ma una modifica delle ragioni di competitività, proprio perché le imprese possano fare valere la loro capacità produttiva e la loro qualità sui mercati del mondo, in condizioni di maggiore autonomia e sicurezza.
Istituzioni europee e industria, insomma, devono collaborare per definire una vera e propria road map della transizione. Anche questo, vuol dire autonomia strategica. E, dunque, libertà e sicurezza.

(foto China Photos/Getty Images)

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