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“La storia siamo noi”. Bisogna dunque studiarne meglio e di più e lasciare spazio alla filosofia su senso, valore e perché delle scelte

“La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini”. L’appello lanciato alla fine di aprile dallo scrittore Andrea Camilleri, dallo storico Andrea Giardina e dalla senatrice a vita Liliana Segre per dare maggior spazio alla storia, sia nell’insegnamento scolastico e universitario sia agli esami di maturità è stato già sottoscritto da più di mille persone, tra storici, artisti, scienziati, donne e uomini della cultura, dello spettacolo, del mondo dell’editoria e dell’economia. E la raccolta delle firme continua (l’elenco è sul sito e sulle pagine de “la Repubblica”). Quasi in contemporanea è partita l’iniziativa di un “Manifesto per la filosofia”, lanciato da due professori di liceo, Marco Ferrari e Gian Paolo Terravechia (ne ha parlato il “Corriere della Sera” del 30 aprile) e già sottoscritto da numerosissimi docenti e personalità della cultura. La richiesta: più ore d’insegnamento di filosofia, non solo nei licei ma anche negli istituti tecnici e professionali e un riconoscimento della materia pure per gli esami di maturità.

C’è un nesso evidente, quanto mai positivo, tra le due iniziative: impegnarsi per la conoscenza, studiare per dare un peso alle domande di senso e di finalità del nostro essere persone coscienti, affinare gli strumenti per una maggiore e migliore capacità critica su tutte le questioni che interpellano la nostra umanità. La filosofia (parole di Kant) è “la teleologia della ragione umana”, ciò che dà il senso e indica il fine del conoscere e dell’agire, ci consente di capire e decidere cosa fare in piena consapevolezza. La storia, al di là della banalità sul suo essere magistra vitae, “è un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche, ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione” (sono parole dell’appello di Camilleri, Giardina e Segre).

Viviamo tempi mediocri, di passioni furiose ed effimere, di emozioni rabbiose e rancori inconsulti, di retori e demagoghi che del disagio e della paura fanno merce di scambio per racimolare consensi elettorali gonfi di risentimento ma poveri di prospettive concrete. Di polemiche volgari contro gli scienziati e le persone che della conoscenza e della competenza hanno fatto ragione di vita e sostanza di lavoro e d’impegno sociale e civile. L’ignoranza è esibita, ben accetta, coccolata, premiata. La critica, sbeffeggiata. Un’intollerabile inciviltà.

L’appello sulla storia e quello sulla filosofia hanno anche il senso della volontà di rialzare la testa, di non accettare il degrado del discorso pubblico e delle ragioni di fondo della convivenza civile.

Studiare meglio storia e filosofia, dunque. Voler sapere. Imparare a distinguere. Fare la tara alla retorica. Sviluppare pensiero critico, sul senso delle cose e i perché delle scelte. Non cedere mai, dunque, a chi alza la voce, mena le mani o anche soltanto le spara grosse, sperando nell’assenza del contraddittorio. Giocare, piuttosto, di contrasto competente. E, perché no?, di ironia. Chi conosce la storia recente, sa chi era Leo Longanesi, uomo colto, giornalista formidabile, spirito irriverente, fastidioso bastian contrario. È suo il motto “Il Duce ha sempre ragione”. Era una trovata ironica, uno sfottò per i retori della mascella volitiva e della dittatura benefica. Ma quei retori, digiuni d’intelligenza e capacità critica, lo presero sul serio. Poi si sa che fine fecero e che danni provocarono all’Italia e agli italiani, dalle mancanze di libertà all’infamia delle leggi razziali e ai disastri della guerra. Pagine da non dimenticare.

Più storia, appunto, guardando all’evoluzione delle vicende del mondo e alla complessa e contrastata costruzione della nostra composita identità nazionale (identità aperta e molteplice, dunque forte). Più filosofia, di fronte alle tante domande che i processi contemporanei della scienza, delle tecnologie e dell’economia ci pongono.

Da anni, peraltro, gli insegnamenti di filosofia sono tra le materie fondamentali di quelle scuole d’eccellenza che sono i Politecnici di Milano e di Torino, ma anche la Grandes Écoles d’ingegneria francesi. E chi legge questo blog sa quanta ricorrente attenzione sia dedicata agli “ingegneri filosofi” come capitale umano indispensabile per le imprese di fronte alle complessità delle tecniche e dei mercati. E quanto forte sia la necessità, per la nostra economia fondata sul “bello e ben fatto”, di rafforzare la sua competitività grazie alle sintesi originali, di cui noi italiani siamo particolarmente capaci, di unire saperi umanistici e conoscenze scientifiche.

La nostra è civiltà della bellezza e della sapienza. Il futuro ha un cuore antico, come ci ha insegnato Carlo Levi. La memoria nei nostri libri, nei nostri archivi storici e d’impresa, ha il buon sapore degli strumenti che progettano e costruiscono cambiamenti. “La storia siamo noi”, per dirla con le parole di una delle più belle canzoni di Francesco De Gregori. E’ indispensabile esserne consapevoli.

“La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini”. L’appello lanciato alla fine di aprile dallo scrittore Andrea Camilleri, dallo storico Andrea Giardina e dalla senatrice a vita Liliana Segre per dare maggior spazio alla storia, sia nell’insegnamento scolastico e universitario sia agli esami di maturità è stato già sottoscritto da più di mille persone, tra storici, artisti, scienziati, donne e uomini della cultura, dello spettacolo, del mondo dell’editoria e dell’economia. E la raccolta delle firme continua (l’elenco è sul sito e sulle pagine de “la Repubblica”). Quasi in contemporanea è partita l’iniziativa di un “Manifesto per la filosofia”, lanciato da due professori di liceo, Marco Ferrari e Gian Paolo Terravechia (ne ha parlato il “Corriere della Sera” del 30 aprile) e già sottoscritto da numerosissimi docenti e personalità della cultura. La richiesta: più ore d’insegnamento di filosofia, non solo nei licei ma anche negli istituti tecnici e professionali e un riconoscimento della materia pure per gli esami di maturità.

C’è un nesso evidente, quanto mai positivo, tra le due iniziative: impegnarsi per la conoscenza, studiare per dare un peso alle domande di senso e di finalità del nostro essere persone coscienti, affinare gli strumenti per una maggiore e migliore capacità critica su tutte le questioni che interpellano la nostra umanità. La filosofia (parole di Kant) è “la teleologia della ragione umana”, ciò che dà il senso e indica il fine del conoscere e dell’agire, ci consente di capire e decidere cosa fare in piena consapevolezza. La storia, al di là della banalità sul suo essere magistra vitae, “è un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche, ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione” (sono parole dell’appello di Camilleri, Giardina e Segre).

Viviamo tempi mediocri, di passioni furiose ed effimere, di emozioni rabbiose e rancori inconsulti, di retori e demagoghi che del disagio e della paura fanno merce di scambio per racimolare consensi elettorali gonfi di risentimento ma poveri di prospettive concrete. Di polemiche volgari contro gli scienziati e le persone che della conoscenza e della competenza hanno fatto ragione di vita e sostanza di lavoro e d’impegno sociale e civile. L’ignoranza è esibita, ben accetta, coccolata, premiata. La critica, sbeffeggiata. Un’intollerabile inciviltà.

L’appello sulla storia e quello sulla filosofia hanno anche il senso della volontà di rialzare la testa, di non accettare il degrado del discorso pubblico e delle ragioni di fondo della convivenza civile.

Studiare meglio storia e filosofia, dunque. Voler sapere. Imparare a distinguere. Fare la tara alla retorica. Sviluppare pensiero critico, sul senso delle cose e i perché delle scelte. Non cedere mai, dunque, a chi alza la voce, mena le mani o anche soltanto le spara grosse, sperando nell’assenza del contraddittorio. Giocare, piuttosto, di contrasto competente. E, perché no?, di ironia. Chi conosce la storia recente, sa chi era Leo Longanesi, uomo colto, giornalista formidabile, spirito irriverente, fastidioso bastian contrario. È suo il motto “Il Duce ha sempre ragione”. Era una trovata ironica, uno sfottò per i retori della mascella volitiva e della dittatura benefica. Ma quei retori, digiuni d’intelligenza e capacità critica, lo presero sul serio. Poi si sa che fine fecero e che danni provocarono all’Italia e agli italiani, dalle mancanze di libertà all’infamia delle leggi razziali e ai disastri della guerra. Pagine da non dimenticare.

Più storia, appunto, guardando all’evoluzione delle vicende del mondo e alla complessa e contrastata costruzione della nostra composita identità nazionale (identità aperta e molteplice, dunque forte). Più filosofia, di fronte alle tante domande che i processi contemporanei della scienza, delle tecnologie e dell’economia ci pongono.

Da anni, peraltro, gli insegnamenti di filosofia sono tra le materie fondamentali di quelle scuole d’eccellenza che sono i Politecnici di Milano e di Torino, ma anche la Grandes Écoles d’ingegneria francesi. E chi legge questo blog sa quanta ricorrente attenzione sia dedicata agli “ingegneri filosofi” come capitale umano indispensabile per le imprese di fronte alle complessità delle tecniche e dei mercati. E quanto forte sia la necessità, per la nostra economia fondata sul “bello e ben fatto”, di rafforzare la sua competitività grazie alle sintesi originali, di cui noi italiani siamo particolarmente capaci, di unire saperi umanistici e conoscenze scientifiche.

La nostra è civiltà della bellezza e della sapienza. Il futuro ha un cuore antico, come ci ha insegnato Carlo Levi. La memoria nei nostri libri, nei nostri archivi storici e d’impresa, ha il buon sapore degli strumenti che progettano e costruiscono cambiamenti. “La storia siamo noi”, per dirla con le parole di una delle più belle canzoni di Francesco De Gregori. E’ indispensabile esserne consapevoli.

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