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La velocità di Milano è riflessiva: la metropoli “green” e “blue” al centro delle nuove relazioni per lo sviluppo

Milano veloce, Milano frenetica, Milano corre troppo, Milano non si ferma. Sono stereotipi, luoghi comuni. Contengono, è vero, una parte di verità. Ma hanno il limite di ridurre una realtà complessa a uno schema banale. E così, tra le caratteristiche della città, bisogna insistere sull’abitudine a studiare, riflettere, cercare di capire bene il senso delle cose da fare. E, poi, naturalmente, a farle. Con determinazione. Efficienza. Una certa efficacia. Ecco, adesso sì, con velocità. Naturalmente sempre memori della lezione di Alessandro Manzoni, don Lisander: “Adelante, Pedro, con juicio”, come suggeriva al cocchiere il Gran Cancelliere Antonio Ferrer, in una pagina ben nota de “I promessi sposi”. E probabilmente non è un caso che lo slogan pubblicitario di maggior successo della milanesissima Pirelli sia “la potenza è nulla senza controllo”. Un altro modo per dire “juicio”.
La pandemia da Covid19 ha rimescolato tendenze e abitudini. Ha radicalmente cambiato strategie economiche e sociali, evidenziato fragilità, imposto nuovi parametri nelle relazioni tra lavoro, salute, convivenza civile. Servono dunque nuove mappe, del pensiero, della civiltà dei consumi e dell’impegno produttivo. Per creare lavoro. E favorire, così, una crescita migliore.
La velocità nella sfida tecnologica al tempo e allo spazio, il “presentismo” del “tutto e subito” non possono alimentare l’ossessione digitale dell’essere sempre “in tempo reale”: un’ossessione che, per essere sinceri, caratterizza comunque una parte dei milanesi. Occorre però sapere anche fermarsi, pensare, cercare di capire. E costruire così, responsabilmente, la ripartenza. O, per usare una parola cara alle più recenti elaborazioni di Assolombarda, “la rigenerazione”.
La cultura del fare, che connota profondamente Milano, non prescinde mai dalle conoscenze diffuse, dalla solidità delle relazioni tra imprese, università (in crescita per qualità e autorevolezza, sulla platea internazionale) e mondi culturali (le case editrici, i teatri, i luoghi delle arti).
In poche parole: la velocità di Milano è riflessiva.

Su cosa va riflettendo, velocemente, Milano? Se ne è discusso durante un lungo pomeriggio di discussioni su “Amare Milano”, organizzato a metà settembre all’ombra della magnolia nel cortile del Palazzo delle Stelline dal Centro Studi Grande Milano presieduto da Daniela Mainini e dedicato alla memoria di Carlo Tognoli, che della città è stato sindaco tra i migliori e più amati. E si è colta in pieno una delle caratteristiche di fondo della metropoli: avere una visione e tradurla in concreto, pensare largo e mettere i piedi per terra. L’ambizione del progetto e il pragmatismo riformista delle realizzazioni. Riformista la politica e l’amministrazione. E riformista l’impresa. Con la buona abitudine, radicata nel tempo, di costruire una robusta rete di relazioni tra pubblico e privato.
Milano, oggi, è dunque un intreccio di anime, tensioni, visioni diverse. Spesso contrastanti. Da ricondurre in un disegno di crescita che deve sapere come le diversità siano ricchezza ma anche quanto le eccessive disparità di reddito, relazioni e possibilità possano essere un handicap pesantissimo per lo sviluppo che si vuole, generalmente, sostenibile dal punto di vista sia ambientale che sociale. D’altronde, è questa la vocazione di fondo di Milano: essere contemporaneamente competitiva e inclusiva, profittevole e solidale.

La campagna elettorale per eleggere il sindaco e il consiglio comunale è oramai alle ultime battute (Beppe Sala, primo cittadino uscente, è indicato da tutti i sondaggi come favorito per la rielezione). Ma chi conosce Milano sa che negli anni Palazzo Marino, sede del Comune, ha sviluppato comunque una solida cultura della continuità, anche nell’alternarsi di sindaci di orientamento politico diverso. E vale dunque la pena indicare, tra le altre, una tendenza di fondo su cui la metropoli, comunque, si muove.

La tendenza riguarda il ruolo di Milano come snodo di un sistema di relazioni economiche che coinvolge tutta la piattaforma produttiva che va dal Nord Ovest di Torino e Genova al Nord Est della medie imprese internazionalizzate e dei distretti in accelerazione produttiva, con un ampliamento verso la dinamica Emilia e Romagna dell’industria hi tech e delle conoscenze correlate alle macchine utensili, alla robotica, all’automotive della Motor Valley. Un’economia diffusa lungo gli assi autostradali A1-A4 e profondamente integrata con l’Europa. Forte di manifatture, finanza, servizi, università, cultura, nel reticolo di metropoli, città medie e territori socialmente dinamici. Un unicum in Europa, molto glocal, sintesi intelligente di globale e locale. Una dimensione di geo-economia in cui i flussi (di idee, persone, progetti, lavori, merci, scambi) sono fortemente connotanti dell’identità dei luoghi. Milano, per cultura e indole, opportunità e progettualità, è centrale. Una “terra di mezzo”, come testimonia il suo stesso nome.
Una struttura come “Milano & Partners”, forte della collaborazione tra strutture pubbliche (il Comune, innanzitutto), attori sociali e imprese private, per attrarre risorse finanziarie e intellettuali, può avere un grande ruolo da svolgere: aperto, dialogante, progettuale, innovativo.
Torniamo così alla sintesi necessaria tra riflessione e velocità, progetto ed esecuzione. Con la riscoperta di un motto latino per la città produttiva: “Festìna lente”, affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza.

La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto ed è stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale al massimo del suo splendore mercantile. Piace molto al sindaco Beppe Sala e all’arcivescovo Mario Delpini, critico con la frenesia dell’arricchimento rapace che amplia gli squilibri sociali (“aumentano le disuguaglianze, c’è una parte di Milano che corre troppo e fa fin troppi profitti”). Ma anche alle imprese, quelle industriali soprattutto e quelle dei servizi legati all’economia reale, che hanno chiaro il bisogno di una nuova stagione di sostenibilità ambientale e sociale, fondata sugli investimenti (in gran parte internazionale), lavoro, qualità della vita.
L’orizzonte, così, è abbastanza chiaro: quello dell’economia circolare e civile ovvero della sostenibilità come cardine della competitività.
Nella metropoli riflessiva e veloce, ricca di intraprendenza e cultura politecnica, riformista e attenta allo sviluppo ben radicato nella responsabilità sociale, si intravvedono due colori di fondo: il green e il blue. Simbolo, il primo, dell’ambiente e dei suoi valori ecologici e sociali e il secondo dell’innovazione, con le tecnologie digitali ben gestite, a “misura della persona umana”. Due colori intrecciati. Milano, con le radici nella consapevolezza storica e lo sguardo verso il futuro, può esserne buona interprete. “Festìna lente”, appunto.

Milano veloce, Milano frenetica, Milano corre troppo, Milano non si ferma. Sono stereotipi, luoghi comuni. Contengono, è vero, una parte di verità. Ma hanno il limite di ridurre una realtà complessa a uno schema banale. E così, tra le caratteristiche della città, bisogna insistere sull’abitudine a studiare, riflettere, cercare di capire bene il senso delle cose da fare. E, poi, naturalmente, a farle. Con determinazione. Efficienza. Una certa efficacia. Ecco, adesso sì, con velocità. Naturalmente sempre memori della lezione di Alessandro Manzoni, don Lisander: “Adelante, Pedro, con juicio”, come suggeriva al cocchiere il Gran Cancelliere Antonio Ferrer, in una pagina ben nota de “I promessi sposi”. E probabilmente non è un caso che lo slogan pubblicitario di maggior successo della milanesissima Pirelli sia “la potenza è nulla senza controllo”. Un altro modo per dire “juicio”.
La pandemia da Covid19 ha rimescolato tendenze e abitudini. Ha radicalmente cambiato strategie economiche e sociali, evidenziato fragilità, imposto nuovi parametri nelle relazioni tra lavoro, salute, convivenza civile. Servono dunque nuove mappe, del pensiero, della civiltà dei consumi e dell’impegno produttivo. Per creare lavoro. E favorire, così, una crescita migliore.
La velocità nella sfida tecnologica al tempo e allo spazio, il “presentismo” del “tutto e subito” non possono alimentare l’ossessione digitale dell’essere sempre “in tempo reale”: un’ossessione che, per essere sinceri, caratterizza comunque una parte dei milanesi. Occorre però sapere anche fermarsi, pensare, cercare di capire. E costruire così, responsabilmente, la ripartenza. O, per usare una parola cara alle più recenti elaborazioni di Assolombarda, “la rigenerazione”.
La cultura del fare, che connota profondamente Milano, non prescinde mai dalle conoscenze diffuse, dalla solidità delle relazioni tra imprese, università (in crescita per qualità e autorevolezza, sulla platea internazionale) e mondi culturali (le case editrici, i teatri, i luoghi delle arti).
In poche parole: la velocità di Milano è riflessiva.

Su cosa va riflettendo, velocemente, Milano? Se ne è discusso durante un lungo pomeriggio di discussioni su “Amare Milano”, organizzato a metà settembre all’ombra della magnolia nel cortile del Palazzo delle Stelline dal Centro Studi Grande Milano presieduto da Daniela Mainini e dedicato alla memoria di Carlo Tognoli, che della città è stato sindaco tra i migliori e più amati. E si è colta in pieno una delle caratteristiche di fondo della metropoli: avere una visione e tradurla in concreto, pensare largo e mettere i piedi per terra. L’ambizione del progetto e il pragmatismo riformista delle realizzazioni. Riformista la politica e l’amministrazione. E riformista l’impresa. Con la buona abitudine, radicata nel tempo, di costruire una robusta rete di relazioni tra pubblico e privato.
Milano, oggi, è dunque un intreccio di anime, tensioni, visioni diverse. Spesso contrastanti. Da ricondurre in un disegno di crescita che deve sapere come le diversità siano ricchezza ma anche quanto le eccessive disparità di reddito, relazioni e possibilità possano essere un handicap pesantissimo per lo sviluppo che si vuole, generalmente, sostenibile dal punto di vista sia ambientale che sociale. D’altronde, è questa la vocazione di fondo di Milano: essere contemporaneamente competitiva e inclusiva, profittevole e solidale.

La campagna elettorale per eleggere il sindaco e il consiglio comunale è oramai alle ultime battute (Beppe Sala, primo cittadino uscente, è indicato da tutti i sondaggi come favorito per la rielezione). Ma chi conosce Milano sa che negli anni Palazzo Marino, sede del Comune, ha sviluppato comunque una solida cultura della continuità, anche nell’alternarsi di sindaci di orientamento politico diverso. E vale dunque la pena indicare, tra le altre, una tendenza di fondo su cui la metropoli, comunque, si muove.

La tendenza riguarda il ruolo di Milano come snodo di un sistema di relazioni economiche che coinvolge tutta la piattaforma produttiva che va dal Nord Ovest di Torino e Genova al Nord Est della medie imprese internazionalizzate e dei distretti in accelerazione produttiva, con un ampliamento verso la dinamica Emilia e Romagna dell’industria hi tech e delle conoscenze correlate alle macchine utensili, alla robotica, all’automotive della Motor Valley. Un’economia diffusa lungo gli assi autostradali A1-A4 e profondamente integrata con l’Europa. Forte di manifatture, finanza, servizi, università, cultura, nel reticolo di metropoli, città medie e territori socialmente dinamici. Un unicum in Europa, molto glocal, sintesi intelligente di globale e locale. Una dimensione di geo-economia in cui i flussi (di idee, persone, progetti, lavori, merci, scambi) sono fortemente connotanti dell’identità dei luoghi. Milano, per cultura e indole, opportunità e progettualità, è centrale. Una “terra di mezzo”, come testimonia il suo stesso nome.
Una struttura come “Milano & Partners”, forte della collaborazione tra strutture pubbliche (il Comune, innanzitutto), attori sociali e imprese private, per attrarre risorse finanziarie e intellettuali, può avere un grande ruolo da svolgere: aperto, dialogante, progettuale, innovativo.
Torniamo così alla sintesi necessaria tra riflessione e velocità, progetto ed esecuzione. Con la riscoperta di un motto latino per la città produttiva: “Festìna lente”, affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza.

La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto ed è stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale al massimo del suo splendore mercantile. Piace molto al sindaco Beppe Sala e all’arcivescovo Mario Delpini, critico con la frenesia dell’arricchimento rapace che amplia gli squilibri sociali (“aumentano le disuguaglianze, c’è una parte di Milano che corre troppo e fa fin troppi profitti”). Ma anche alle imprese, quelle industriali soprattutto e quelle dei servizi legati all’economia reale, che hanno chiaro il bisogno di una nuova stagione di sostenibilità ambientale e sociale, fondata sugli investimenti (in gran parte internazionale), lavoro, qualità della vita.
L’orizzonte, così, è abbastanza chiaro: quello dell’economia circolare e civile ovvero della sostenibilità come cardine della competitività.
Nella metropoli riflessiva e veloce, ricca di intraprendenza e cultura politecnica, riformista e attenta allo sviluppo ben radicato nella responsabilità sociale, si intravvedono due colori di fondo: il green e il blue. Simbolo, il primo, dell’ambiente e dei suoi valori ecologici e sociali e il secondo dell’innovazione, con le tecnologie digitali ben gestite, a “misura della persona umana”. Due colori intrecciati. Milano, con le radici nella consapevolezza storica e lo sguardo verso il futuro, può esserne buona interprete. “Festìna lente”, appunto.

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