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L’aria che tira a Milano, tra moda, scienza e paure. E la chiave per capire sta in un romanzo noir

Che aria tira, in questi giorni, a Milano? Arie diverse ma comunque intense, coinvolgenti, inquietanti.

Aria di solidarietà con l’Ucraina invasa dall’esercito russo, i colori blu e giallo nelle piazze e sulle facciate dei monumenti, le dichiarazioni politiche e culturali, la sirena dell’allarme aereo che apre gli spettacoli al Teatro Parenti di Andrée Ruth Shammah per sottolineare la solidarietà tra noi che siamo qui davanti a un palcoscenico e gli ucraini che resistono sotto le bombe.

Aria di scienza, con l’inaugurazione dei primi laboratori sperimentali allo Human Technopole, con i cinque sofisticatissimi microscopi per sequenziale cento filamenti di Dna in parallelo in 48 ore: scienza e ricerca, salute come bene pubblico primario e conoscenza di quel che serve per migliorare la qualità della vita.
Aria di “amarcord”, con le ricorrenze dei trent’anni dall’esplosione di Mani Pulite, tangenti e indagini giudiziarie, un terremoto che disastrò i partiti della Prima Repubblica e un pezzo rilevante di imprenditoria: fioriscono libri, convegni, racconti critici e autocritici. Ma la corruzione diffusa continua a umiliare amministratori, imprese e cittadini perbene.
Aria di violenza, con le bande criminali di ragazzini che dalla provincia e dalle periferie imperversano “nella Milano che luccica”, una rissa, una rapina, un accoltellamento. Marginalità, disagio, rancore sociale, frenesia di soldi immediati per consumi facili. “Movida sotto scorta per fermare le proteste”, titolano le cronache milanesi dei grandi quotidiani, dando conto dell’esasperazione di chi vive nelle strade e nelle piazze del centro prese d’assalto.
Aria di moda, con le sfilate, le modelle, le vetrine fashion nel Quadrilatero, le Mercedes nere degli autisti, non un posto libero in cui dormire o cenare se non hai prenotato settimane fa. Tutto glamour, con punte di consapevolezza (niente musica alla sfilata di Armani) dei tempi difficili che stiamo attraversando.
Aria di trasformazioni di lungo periodo, con vecchi quartieri che rinascono (come NoLo, North of Loreto, nelle aree di nord est tra viale Monza, via Padova e Greco: ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa) e nuovi insediamenti di tendenza, a sud ovest, nella zona tutt’attorno alla Fondazione Prada, arte contemporanea e lusso, ribattezzata Pradate.

Le metropoli, d’altronde, sono così. Mutevoli. Molteplici. E’ la loro natura complessa. Il loro bello. La loro ricchezza. La loro dannazione.

“Milano è l’unico luogo che ha tutti i pregi e i difetti dell’Italia”, sentenzia Gianni Biondillo, architetto urbanista per formazione, scrittore di noir per passione, mentre sfoglia le pagine del suo ultimo libro, appena pubblicato da Guanda, “I cani del Barrio”, con un’indagine del protagonista preferito, l’ispettore Ferraro, sul tentato omicidio di un imprenditore “etico, molto corteggiato dalla politica, che ha costruito la sua fortuna combattendo mafia e malaffare”. L’area di partenza dell’inchiesta è il commissariato di Quarto Oggiaro, dove l’autore è cresciuto, per divagare poi verso viale Padova (riecco NoLo…), il Corvetto, Rogoredo. Quartieri con radici in ambienti sociali difficili e cambiamenti antropologici e sociali in corso. In realtà “il protagonista dei miei libri non è l’ispettore Ferraro, ma Milano. Tutti pensano che io scriva noir, ma è il mio modo per fare urbanistica, scrivo saggi di interpretazione della città”.

Ecco il punto: uno dei modi migliori per cercare di capire e raccontare Milano è affidarsi alla letteratura, ai romanzi “gialli” o noir che dir si voglia. Perché, spiega Alessandro Robecchi, inventore, per Sellerio, dell’investigatore per caso Carlo Monterossi, autore di spettacoli trash per la Tv, “Milano è piccola, le sue ambientazioni e le sue componenti sociali si muovono gomito a gomito. Per dire: a San Siro, in duecento metri, c’è la villa del calciatore e la casba di piazza Selinunte. Sacche di disagio affiorano nei quartieri cosiddetti residenziali: la presenza di contraddizioni così vicine rende la città bella da narrare”.

E’ dunque quanto mai acuta e pertinente la scelta dell’ultimo numero de “La Lettura” del Corriere della Sera (domenica, 27 gennaio) di dedicare l’inchiesta di copertina a “Il giallo di Milano”, ricordandone l’origine nelle pagine di Giorgio Scerbanenco (ucraino d’origine, val la pena notare proprio in questi giorni, pronto a cambiare il nome originale di Vladimir Scerbanenko per non sentirsi troppo estraneo alla città d’elezione) e ricostruendo storie, ambienti e stili letterari delle opere di Biondillo e Robecchi appena citati e poi di Luca Crovi, Gian Andrea Cerone, Enrico Vanzina, Hans Tuzzi, Andrea G. Pinketts, Rosa Teruzzi e tanti altri ancora.

“Milano – spiega Tuzzi – è sempre stata un laboratorio che ha anticipato scelte nazionali. Questo tratto la rende una città simbolo, anche nelle sue brusche accelerazioni. È la più moderna e la più europea tra quelle italiane, anche nella criminalità. C’è un accumulo di ricchezze e i soldi portano con sé ombre e conflitti sociali, tutte contraddizioni che invitano a sfruttare l’elemento del giallo come lo videro André Gide e Carlo Emilio Gadda, un tipo di storia che può fornire, poiché ha al suo centro un crimine, una chiave per rappresentare il nostro tempo”.

Milano paradigma, insomma. In un tempo inquieto. Drammatico. Controverso. Ma forse, proprio per questo, quanto mai interessante da vivere. E da scrivere.

foto: Getty Images

Che aria tira, in questi giorni, a Milano? Arie diverse ma comunque intense, coinvolgenti, inquietanti.

Aria di solidarietà con l’Ucraina invasa dall’esercito russo, i colori blu e giallo nelle piazze e sulle facciate dei monumenti, le dichiarazioni politiche e culturali, la sirena dell’allarme aereo che apre gli spettacoli al Teatro Parenti di Andrée Ruth Shammah per sottolineare la solidarietà tra noi che siamo qui davanti a un palcoscenico e gli ucraini che resistono sotto le bombe.

Aria di scienza, con l’inaugurazione dei primi laboratori sperimentali allo Human Technopole, con i cinque sofisticatissimi microscopi per sequenziale cento filamenti di Dna in parallelo in 48 ore: scienza e ricerca, salute come bene pubblico primario e conoscenza di quel che serve per migliorare la qualità della vita.
Aria di “amarcord”, con le ricorrenze dei trent’anni dall’esplosione di Mani Pulite, tangenti e indagini giudiziarie, un terremoto che disastrò i partiti della Prima Repubblica e un pezzo rilevante di imprenditoria: fioriscono libri, convegni, racconti critici e autocritici. Ma la corruzione diffusa continua a umiliare amministratori, imprese e cittadini perbene.
Aria di violenza, con le bande criminali di ragazzini che dalla provincia e dalle periferie imperversano “nella Milano che luccica”, una rissa, una rapina, un accoltellamento. Marginalità, disagio, rancore sociale, frenesia di soldi immediati per consumi facili. “Movida sotto scorta per fermare le proteste”, titolano le cronache milanesi dei grandi quotidiani, dando conto dell’esasperazione di chi vive nelle strade e nelle piazze del centro prese d’assalto.
Aria di moda, con le sfilate, le modelle, le vetrine fashion nel Quadrilatero, le Mercedes nere degli autisti, non un posto libero in cui dormire o cenare se non hai prenotato settimane fa. Tutto glamour, con punte di consapevolezza (niente musica alla sfilata di Armani) dei tempi difficili che stiamo attraversando.
Aria di trasformazioni di lungo periodo, con vecchi quartieri che rinascono (come NoLo, North of Loreto, nelle aree di nord est tra viale Monza, via Padova e Greco: ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa) e nuovi insediamenti di tendenza, a sud ovest, nella zona tutt’attorno alla Fondazione Prada, arte contemporanea e lusso, ribattezzata Pradate.

Le metropoli, d’altronde, sono così. Mutevoli. Molteplici. E’ la loro natura complessa. Il loro bello. La loro ricchezza. La loro dannazione.

“Milano è l’unico luogo che ha tutti i pregi e i difetti dell’Italia”, sentenzia Gianni Biondillo, architetto urbanista per formazione, scrittore di noir per passione, mentre sfoglia le pagine del suo ultimo libro, appena pubblicato da Guanda, “I cani del Barrio”, con un’indagine del protagonista preferito, l’ispettore Ferraro, sul tentato omicidio di un imprenditore “etico, molto corteggiato dalla politica, che ha costruito la sua fortuna combattendo mafia e malaffare”. L’area di partenza dell’inchiesta è il commissariato di Quarto Oggiaro, dove l’autore è cresciuto, per divagare poi verso viale Padova (riecco NoLo…), il Corvetto, Rogoredo. Quartieri con radici in ambienti sociali difficili e cambiamenti antropologici e sociali in corso. In realtà “il protagonista dei miei libri non è l’ispettore Ferraro, ma Milano. Tutti pensano che io scriva noir, ma è il mio modo per fare urbanistica, scrivo saggi di interpretazione della città”.

Ecco il punto: uno dei modi migliori per cercare di capire e raccontare Milano è affidarsi alla letteratura, ai romanzi “gialli” o noir che dir si voglia. Perché, spiega Alessandro Robecchi, inventore, per Sellerio, dell’investigatore per caso Carlo Monterossi, autore di spettacoli trash per la Tv, “Milano è piccola, le sue ambientazioni e le sue componenti sociali si muovono gomito a gomito. Per dire: a San Siro, in duecento metri, c’è la villa del calciatore e la casba di piazza Selinunte. Sacche di disagio affiorano nei quartieri cosiddetti residenziali: la presenza di contraddizioni così vicine rende la città bella da narrare”.

E’ dunque quanto mai acuta e pertinente la scelta dell’ultimo numero de “La Lettura” del Corriere della Sera (domenica, 27 gennaio) di dedicare l’inchiesta di copertina a “Il giallo di Milano”, ricordandone l’origine nelle pagine di Giorgio Scerbanenco (ucraino d’origine, val la pena notare proprio in questi giorni, pronto a cambiare il nome originale di Vladimir Scerbanenko per non sentirsi troppo estraneo alla città d’elezione) e ricostruendo storie, ambienti e stili letterari delle opere di Biondillo e Robecchi appena citati e poi di Luca Crovi, Gian Andrea Cerone, Enrico Vanzina, Hans Tuzzi, Andrea G. Pinketts, Rosa Teruzzi e tanti altri ancora.

“Milano – spiega Tuzzi – è sempre stata un laboratorio che ha anticipato scelte nazionali. Questo tratto la rende una città simbolo, anche nelle sue brusche accelerazioni. È la più moderna e la più europea tra quelle italiane, anche nella criminalità. C’è un accumulo di ricchezze e i soldi portano con sé ombre e conflitti sociali, tutte contraddizioni che invitano a sfruttare l’elemento del giallo come lo videro André Gide e Carlo Emilio Gadda, un tipo di storia che può fornire, poiché ha al suo centro un crimine, una chiave per rappresentare il nostro tempo”.

Milano paradigma, insomma. In un tempo inquieto. Drammatico. Controverso. Ma forse, proprio per questo, quanto mai interessante da vivere. E da scrivere.

foto: Getty Images

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