Lavoro, staffetta anziani-giovani per stimolare l’innovazione
Una buona cultura d’impresa mescola solidità dell’esperienza e sguardo nuovo, la forza di chi conosce bene uomini e macchine e l’intraprendenza di chi, anche con un filo di incoscienza, prova a rinnovare radicalmente abitudini e processi consolidati, l’orgoglio dei successi e la fame di nuove esperienza. Una buona cultura d’impresa, insomma, costruisce sintesi originali di memoria e futuro. Ecco perché la strategia della cosiddetta “staffetta generazionale”, elaborata da Assolombarda e pronta ad essere applicata da grandi imprese come Bayer, Techint, Campari e A2A ha un senso di fondo che va al di là della pur importante opportunità di dare un’occupazione ai giovani. Di che si tratti, è presto detto: i lavoratori a pochi anni dalla pensione accettano di fare un lavoro part time e l’impresa assume un giovane. Il salario dell’anziano è ridotto, i suoi contributi pensionistici invece no (la differenza viene pagata da fondi della Regione Lombardia). L’impresa risparmia sul costo del lavoro (il salario o lo stipendio di un giovane è meno oneroso) ma si impegna nel lungo periodo con il neo-assunto. E l’anziano part time può fare da tutor al giovane, “insegnandogli il mestiere”. Circuito virtuoso, insomma. Da sostenere o con una legislazione nazionale (la strada su cui si sta impegnando il presidente Hollande in Francia) o con accordi tra imprese e sindacati, con il sostegno delle Regioni e con un uso intelligente dei fondi Ue (la strada di Assolombarda e della Regione Lombardia, che potrebbe presto essere imitata da Lazio, Friuli, Piemonte, Emilia e Marche).
“Non si creano nuovi posti di lavoro, ma ci si limita a dividersi la torta che c’è”, dicono i critici, a cominciare dall’autorevole Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro). E’ vero. Ma questo è un modo parziale di vedere le cose. Perché intanto si incentiva il turn over, il ricambio occupazionale. E si offrono ai giovani nuove opportunità: l’ingresso in azienda e la possibilità di avere una formazione professionale mirata sul posto di lavoro. E, per gli anziani, si rafforza la consapevolezza della loro utilità: sentirsi caricati della responsabilità di insegnare a lavorare può rimotivare sessantenni oramai stanchi, alla fine o quasi del loro ciclo di impiego. Senza contare, d’altronde, proprio la forza delle sintesi originali tra esperienza e innovazione di cui abbiamo parlato all’inizio.
Certo, per rimettere in movimento il motore stanco e spesso imballato dell’economia italiana, occorrono altre misure: stimoli agli investimenti (anche internazionali), sostegno a ricerca e innovazione, crescita dimenmsionale delle imprese, credito a favorevoli condizioni, abbattimento drastico di carichi fiscali e inutili burocrazie, efficienza della giustizia (soprattutto civile), infrastrutture, formazione di qualità, etc. Ci vuole, insomma, la costruzione di un ambiente finalmente favorevole all’impresa e, da parte del mondo delle imprese, l’assunzione di tutte le responsabilità che connotano una classe dirigente.
Ma, intanto, la “staffetta generazionale” pronta a partire può dare un buon contributo proprio in una tale direzione. Con un ulteriore vantaggio, per il sistema Italia: evitare che i nostri giovani, magari con un buon diploma o una buona laurea in tasca, se ve vadano in cerca di mercati del lavoro più accoglienti. Una grave perdita di capitale umano, una ferita al capitale sociale. Da impedire. Meglio invece, stare alla buona tradizione italiana: fare interagire “i vecchi e i giovani”. E provare ancora una volta che tradizione e innovazione sono una carta vincente.
Una buona cultura d’impresa mescola solidità dell’esperienza e sguardo nuovo, la forza di chi conosce bene uomini e macchine e l’intraprendenza di chi, anche con un filo di incoscienza, prova a rinnovare radicalmente abitudini e processi consolidati, l’orgoglio dei successi e la fame di nuove esperienza. Una buona cultura d’impresa, insomma, costruisce sintesi originali di memoria e futuro. Ecco perché la strategia della cosiddetta “staffetta generazionale”, elaborata da Assolombarda e pronta ad essere applicata da grandi imprese come Bayer, Techint, Campari e A2A ha un senso di fondo che va al di là della pur importante opportunità di dare un’occupazione ai giovani. Di che si tratti, è presto detto: i lavoratori a pochi anni dalla pensione accettano di fare un lavoro part time e l’impresa assume un giovane. Il salario dell’anziano è ridotto, i suoi contributi pensionistici invece no (la differenza viene pagata da fondi della Regione Lombardia). L’impresa risparmia sul costo del lavoro (il salario o lo stipendio di un giovane è meno oneroso) ma si impegna nel lungo periodo con il neo-assunto. E l’anziano part time può fare da tutor al giovane, “insegnandogli il mestiere”. Circuito virtuoso, insomma. Da sostenere o con una legislazione nazionale (la strada su cui si sta impegnando il presidente Hollande in Francia) o con accordi tra imprese e sindacati, con il sostegno delle Regioni e con un uso intelligente dei fondi Ue (la strada di Assolombarda e della Regione Lombardia, che potrebbe presto essere imitata da Lazio, Friuli, Piemonte, Emilia e Marche).
“Non si creano nuovi posti di lavoro, ma ci si limita a dividersi la torta che c’è”, dicono i critici, a cominciare dall’autorevole Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro). E’ vero. Ma questo è un modo parziale di vedere le cose. Perché intanto si incentiva il turn over, il ricambio occupazionale. E si offrono ai giovani nuove opportunità: l’ingresso in azienda e la possibilità di avere una formazione professionale mirata sul posto di lavoro. E, per gli anziani, si rafforza la consapevolezza della loro utilità: sentirsi caricati della responsabilità di insegnare a lavorare può rimotivare sessantenni oramai stanchi, alla fine o quasi del loro ciclo di impiego. Senza contare, d’altronde, proprio la forza delle sintesi originali tra esperienza e innovazione di cui abbiamo parlato all’inizio.
Certo, per rimettere in movimento il motore stanco e spesso imballato dell’economia italiana, occorrono altre misure: stimoli agli investimenti (anche internazionali), sostegno a ricerca e innovazione, crescita dimenmsionale delle imprese, credito a favorevoli condizioni, abbattimento drastico di carichi fiscali e inutili burocrazie, efficienza della giustizia (soprattutto civile), infrastrutture, formazione di qualità, etc. Ci vuole, insomma, la costruzione di un ambiente finalmente favorevole all’impresa e, da parte del mondo delle imprese, l’assunzione di tutte le responsabilità che connotano una classe dirigente.
Ma, intanto, la “staffetta generazionale” pronta a partire può dare un buon contributo proprio in una tale direzione. Con un ulteriore vantaggio, per il sistema Italia: evitare che i nostri giovani, magari con un buon diploma o una buona laurea in tasca, se ve vadano in cerca di mercati del lavoro più accoglienti. Una grave perdita di capitale umano, una ferita al capitale sociale. Da impedire. Meglio invece, stare alla buona tradizione italiana: fare interagire “i vecchi e i giovani”. E provare ancora una volta che tradizione e innovazione sono una carta vincente.