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Le polemiche contro Milano nascondono una cultura anti-impresa. Si rischia di mettere in difficoltà la ripresa economica di tutta l’Italia

Prendere in mano Alberto Savinio, il vecchio libro Adelphi un po’ consunto dal tempo e dall’uso. Ripetere con lui “Ascolto il tuo cuore, città”. E rileggere parole ben conosciute con l’occhio nuovo e preoccupato di chi vuole dare conto delle emozioni e dei pensieri di Milano in un momento così drammatico, tra la morte e le malattie della pandemia da coronavirus e le preoccupazioni per la fragilità dei rapporti economici e sociali.

Savinio, della Milano novecentesca, raccontava tram e nebbie, strade d’una bellezza intensa e discreta e ambienti operosi, memorie dei Verri, Manzoni e soprattutto Stendhal. E ascoltava umori popolari e sofisticati, d’una città comunque in cambiamento. Arte, cultura, industria. Nessuna “retorica dell’ottimismo”. Semmai, la coscienza che “sorgerà una città più forte, più ricca, più bella”.

Oggi noi, invece, ascoltiamo le voci della crisi. E, con grande allarme, gli echi di un vero e proprio assalto polemico contro Milano e la Lombardia, con gravi rischi per il complesso dell’economia italiana: la locomotiva che s’è fermata, il modello capovolto nel negativo, il primato del “fare, e fare bene” infranto sotto il peso del record dei malati e dei morti. Qualcuno del Movimento5Stelle addirittura azzarda “il commissariamento della Lombardia”.

Vale la pena, per non contribuire allo stravolgimento di fatti e dati, ragionare a mente fredda. La metropoli aperta e inclusiva, la regione più di tutte al centro d’un sofisticato sistema di relazioni e scambi economici e sociali internazionali, la più complessa e dunque anche la più fragile, proprio per queste sue caratteristiche ha subito maggiormente il contagio. Qui si concentra il maggior numero degli ammalati e dei morti d’Italia, soprattutto tra gli anziani.

Altrove, in Veneto e in Emilia, è andata meglio.

Il sistema sanitario lombardo ha mostrato sia eccellenze (soprattutto per l’impegno generoso e appassionato di medici e infermieri, ma anche per il buon funzionamento di ospedali e cliniche pubblici e privati) sia gravi carenze delle struttura. A emergenza finita, sarà il caso di fare una profonda riflessione critica sulla sanità. Ma senza cedere alla propaganda e alla partigianeria, la Lombardia guidata dalla Lega contro il governo centrale sostenuto da 5Stelle e Pd e viceversa, i partiti di maggioranza contro il governo della Regione, ma anche la bizzarria delle minacce di chiudere i confini della Regione Campania “ai lombardi e ai veneti” da parte del governatore De Luca, Pd. Tutto un gioco di polemiche partigiane che non fa bene a nessuno. Le inchieste giudiziarie aperte sugli anziani morti al Pio Albergo Trivulzio e in altre case di riposo faranno il loro corso, speriamo senza clamori mediatici. E anche da lì capiremo cosa non ha funzionato.

Carenze e ombre giudiziarie, però, non legittimano l’aggressione mediatica e politica contro Milano. Sostiene Piero Bassetti, uomo di politica e d’economia, presidente della Regione Lombardia dal 1970 al ’74 e poi animatore di iniziative e studi di rilievo europeo sui nessi tra “globale” e “locale”: “Abbiamo rotto le scatole dicendo per anni che siamo i più bravi, così oggi ce lo ributtano addosso. Ma è la rivalsa dei frustrati”. E ancora, in un’intervista al “Corriere della Sera”, domenica: “Non si è mai i più bravi. Comunque, sempre largo al merito di quelli a cui va meglio”.

Milano frenetica, Milano frettolosa, Milano produttiva, Milano che non si ferma? Ci sono sicuramente stati errori di enfasi di comunicazione. Una fastidiosa vanità. Degli errori sarà opportuno fare tesoro. Ma questo non è tempo adatto a tentativi di piegare alle retoriche politicanti gli interessi generali dei cittadini.

C’è una parola, ricorrente nei discorsi delle persone più responsabili che hanno a cuore le sorti dell’Italia, paese del mondo: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’ex presidente della Bce Mario Draghi e, con spirito ecumenico, Papa Francesco. La parola è “insieme”. Il richiamo al senso di responsabilità generale è chiarissimo.

I milanesi e i lombardi più responsabili hanno sempre respinto le aggressioni contro Roma, nei momenti di maggiori difficoltà della città. Non hanno ceduto alle tentazioni del separatismo né alla vaghezza superba della “città Stato”. Ma si sono considerati territori aperti e integrati: Milano metropoli europea e mediterranea, asse di relazioni positive tra Nord e Sud. Con lo stesso spirito da primato dell’interesse nazionale, del “patriottismo dolce” caro all’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oggi va ribadito che l’aggressione contro la Lombardia è una ferita per tutto il sistema Paese.

Milano ammalata di Covid-19 ma anche di produttivismo, affarismo, frenesia da “che gente, che cambi”? E’ necessario ricordare bene sia i limiti sia i punti di forza di Milano e della Lombardia, che hanno avuto e avranno effetti positivi su tutta Italia: la regione vale un quarto del Pil italiano (con ricadute sulle entrate fiscali nazionali e dunque sulla spesa pubblica generale, l’assistenza e gli investimenti) e una quota rilevante dell’export, ha il record dei brevetti e della presenza di imprese internazionali, garantisce alti standard della ricerca scientifica, medica e farmacologica, ha università tra le migliori d’Europa e attrae intelligenze, risorse, talenti da tutto il mondo. Operosità e cultura politecnica. Intelligenza attiva. E profondo senso di solidarietà sociale.

Per essere chiari: giocare contro Milano significa giocare contro il futuro dell’Italia.

Ma c’è purtroppo anche altro, in questo clima di aggressione nei confronti di Milano e della Lombardia. Ed è una contestazione radicale contro l’impresa, di cui Milano è paradigma. L’assistenzialismo contro la produttività, il fantasma di un “Iri2” (la gestione pubblica e politica delle imprese, che ha dato troppo spesso cattiva prova di sé nella recente storia d’Italia) contro l’intraprendenza privata, la burocrazia contro l’efficienza, la voglia di dominio della politica sull’economia invece che la competitività e il mercato ben regolato. Le clientele di partito contro il merito, la competenza, la responsabilità. Sono tentazioni negativa da statalismo di ritorno, che possono mettere seriamente in crisi ogni tentativo di impostare efficaci politiche di ripresa e di sviluppo sostenibile in chiave europea.

Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa. E senza impresa, non c’è ripresa.

Che lo schema del “contro Milano” o di “Lombardia contro Roma” non funzioni, proprio per gli attori economici italiani, lo dimostrano anche i risultati della consultazione per eleggere il nuovo presidente di Confindustria. Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, è stato designato con due terzi dei voti del Consiglio generale dell’organizzazione. Per lui hanno votato lombardi e veneti, emiliani e campani, romani, calabresi e siciliani, un consenso trasversale che ha voluto sottolineare i valori dell’interesse nazionale, d’una strategia unitaria per la ripresa. “Insieme”, ancora una volta.

Prendere in mano Alberto Savinio, il vecchio libro Adelphi un po’ consunto dal tempo e dall’uso. Ripetere con lui “Ascolto il tuo cuore, città”. E rileggere parole ben conosciute con l’occhio nuovo e preoccupato di chi vuole dare conto delle emozioni e dei pensieri di Milano in un momento così drammatico, tra la morte e le malattie della pandemia da coronavirus e le preoccupazioni per la fragilità dei rapporti economici e sociali.

Savinio, della Milano novecentesca, raccontava tram e nebbie, strade d’una bellezza intensa e discreta e ambienti operosi, memorie dei Verri, Manzoni e soprattutto Stendhal. E ascoltava umori popolari e sofisticati, d’una città comunque in cambiamento. Arte, cultura, industria. Nessuna “retorica dell’ottimismo”. Semmai, la coscienza che “sorgerà una città più forte, più ricca, più bella”.

Oggi noi, invece, ascoltiamo le voci della crisi. E, con grande allarme, gli echi di un vero e proprio assalto polemico contro Milano e la Lombardia, con gravi rischi per il complesso dell’economia italiana: la locomotiva che s’è fermata, il modello capovolto nel negativo, il primato del “fare, e fare bene” infranto sotto il peso del record dei malati e dei morti. Qualcuno del Movimento5Stelle addirittura azzarda “il commissariamento della Lombardia”.

Vale la pena, per non contribuire allo stravolgimento di fatti e dati, ragionare a mente fredda. La metropoli aperta e inclusiva, la regione più di tutte al centro d’un sofisticato sistema di relazioni e scambi economici e sociali internazionali, la più complessa e dunque anche la più fragile, proprio per queste sue caratteristiche ha subito maggiormente il contagio. Qui si concentra il maggior numero degli ammalati e dei morti d’Italia, soprattutto tra gli anziani.

Altrove, in Veneto e in Emilia, è andata meglio.

Il sistema sanitario lombardo ha mostrato sia eccellenze (soprattutto per l’impegno generoso e appassionato di medici e infermieri, ma anche per il buon funzionamento di ospedali e cliniche pubblici e privati) sia gravi carenze delle struttura. A emergenza finita, sarà il caso di fare una profonda riflessione critica sulla sanità. Ma senza cedere alla propaganda e alla partigianeria, la Lombardia guidata dalla Lega contro il governo centrale sostenuto da 5Stelle e Pd e viceversa, i partiti di maggioranza contro il governo della Regione, ma anche la bizzarria delle minacce di chiudere i confini della Regione Campania “ai lombardi e ai veneti” da parte del governatore De Luca, Pd. Tutto un gioco di polemiche partigiane che non fa bene a nessuno. Le inchieste giudiziarie aperte sugli anziani morti al Pio Albergo Trivulzio e in altre case di riposo faranno il loro corso, speriamo senza clamori mediatici. E anche da lì capiremo cosa non ha funzionato.

Carenze e ombre giudiziarie, però, non legittimano l’aggressione mediatica e politica contro Milano. Sostiene Piero Bassetti, uomo di politica e d’economia, presidente della Regione Lombardia dal 1970 al ’74 e poi animatore di iniziative e studi di rilievo europeo sui nessi tra “globale” e “locale”: “Abbiamo rotto le scatole dicendo per anni che siamo i più bravi, così oggi ce lo ributtano addosso. Ma è la rivalsa dei frustrati”. E ancora, in un’intervista al “Corriere della Sera”, domenica: “Non si è mai i più bravi. Comunque, sempre largo al merito di quelli a cui va meglio”.

Milano frenetica, Milano frettolosa, Milano produttiva, Milano che non si ferma? Ci sono sicuramente stati errori di enfasi di comunicazione. Una fastidiosa vanità. Degli errori sarà opportuno fare tesoro. Ma questo non è tempo adatto a tentativi di piegare alle retoriche politicanti gli interessi generali dei cittadini.

C’è una parola, ricorrente nei discorsi delle persone più responsabili che hanno a cuore le sorti dell’Italia, paese del mondo: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’ex presidente della Bce Mario Draghi e, con spirito ecumenico, Papa Francesco. La parola è “insieme”. Il richiamo al senso di responsabilità generale è chiarissimo.

I milanesi e i lombardi più responsabili hanno sempre respinto le aggressioni contro Roma, nei momenti di maggiori difficoltà della città. Non hanno ceduto alle tentazioni del separatismo né alla vaghezza superba della “città Stato”. Ma si sono considerati territori aperti e integrati: Milano metropoli europea e mediterranea, asse di relazioni positive tra Nord e Sud. Con lo stesso spirito da primato dell’interesse nazionale, del “patriottismo dolce” caro all’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oggi va ribadito che l’aggressione contro la Lombardia è una ferita per tutto il sistema Paese.

Milano ammalata di Covid-19 ma anche di produttivismo, affarismo, frenesia da “che gente, che cambi”? E’ necessario ricordare bene sia i limiti sia i punti di forza di Milano e della Lombardia, che hanno avuto e avranno effetti positivi su tutta Italia: la regione vale un quarto del Pil italiano (con ricadute sulle entrate fiscali nazionali e dunque sulla spesa pubblica generale, l’assistenza e gli investimenti) e una quota rilevante dell’export, ha il record dei brevetti e della presenza di imprese internazionali, garantisce alti standard della ricerca scientifica, medica e farmacologica, ha università tra le migliori d’Europa e attrae intelligenze, risorse, talenti da tutto il mondo. Operosità e cultura politecnica. Intelligenza attiva. E profondo senso di solidarietà sociale.

Per essere chiari: giocare contro Milano significa giocare contro il futuro dell’Italia.

Ma c’è purtroppo anche altro, in questo clima di aggressione nei confronti di Milano e della Lombardia. Ed è una contestazione radicale contro l’impresa, di cui Milano è paradigma. L’assistenzialismo contro la produttività, il fantasma di un “Iri2” (la gestione pubblica e politica delle imprese, che ha dato troppo spesso cattiva prova di sé nella recente storia d’Italia) contro l’intraprendenza privata, la burocrazia contro l’efficienza, la voglia di dominio della politica sull’economia invece che la competitività e il mercato ben regolato. Le clientele di partito contro il merito, la competenza, la responsabilità. Sono tentazioni negativa da statalismo di ritorno, che possono mettere seriamente in crisi ogni tentativo di impostare efficaci politiche di ripresa e di sviluppo sostenibile in chiave europea.

Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa. E senza impresa, non c’è ripresa.

Che lo schema del “contro Milano” o di “Lombardia contro Roma” non funzioni, proprio per gli attori economici italiani, lo dimostrano anche i risultati della consultazione per eleggere il nuovo presidente di Confindustria. Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, è stato designato con due terzi dei voti del Consiglio generale dell’organizzazione. Per lui hanno votato lombardi e veneti, emiliani e campani, romani, calabresi e siciliani, un consenso trasversale che ha voluto sottolineare i valori dell’interesse nazionale, d’una strategia unitaria per la ripresa. “Insieme”, ancora una volta.

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