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Le ricerche di Oxford e Aspen Institute: studiare Humanities migliora la conoscenza e le opportunità di un buon lavoro

Studiare Humanities – filosofia e storia, letteratura e arte, teatro e musica – permette di avere gli strumenti critici per capire le grandi trasformazioni in corso nel mondo e migliora i percorsi professionali nell’arco di tutta la vita di lavoro. Lo sostiene una recente ricerca dell’Università di Oxford,The value of the Humanities”, condotta analizzando i profili e i percorsi di carriera di oltre 9mila laureati del prestigioso ateneo britannico in materie umanistiche, tra i 20 e i 54 anni, entrati sul mercato del lavoro tra i 2000 e il 2019, approfondendo i risultati con più di cento interviste in profondità e poi ridiscutendo e aggiornando i risultati dopo la fine della pandemia da Covid19.
Il report sostiene che proprio la pandemia ha accelerato le tendenze all’automazione, alla digitalizzazione e a modelli flessibili di lavoro e aggiunge che la “resilienza” dei laureati in materie umanistiche li rende particolarmente adatti a muoversi nel nuovo ambiente. Anche i recenti sviluppi dell’Intelligenza artificiale chiedono capacità di conoscenze critiche e progettuali, pensieri originali, adattabilità ai contrasti segnati da cambiamenti così radicali.

Commenta Dan Grimley, Head of Humanities all’Università di Oxford: “La nostra ricerca conferma quello che già sanno bene molti dei nostri studiosi: le attitudini e le esperienze fatte con le conoscenze umanistiche possono trasformare la vita professionale, ma anche l’esperienza umana nel suo complesso”.
Le nuove generazioni, è vero, sono particolarmente attratte dagli studi scientifici e dalle specializzazioni tecnologiche, nella convinzione che migliorino le loro opportunità lavorative (lo confermano, anche in Italia, i risultati del XXV Rapporto di Almalaurea, sulle opportunità professionali, mettendo in primo piano le lauree in ingegneria, le più richieste dalle aziende e dunque le meglio retribuite, “Il Sole24Ore, 13 giugno).
Ma proprio gli intervistati dalla ricerca di Oxford spiegano che le scienze umane offrono, in contesti così profondamente cambiati, strumenti sofisticati per muoversi con maggiore capacità di comprensione e di governo dei fenomeni grazie a “pensiero critico e strategico, abilità a sintetizzare informazioni complesse, empatia, attitudine creativa alla soluzione dei problemi”, con l’effetto positivo di dare un “contributo più ampio” al miglioramento della condizione sociale, alla definizione delle risposte ai problemi etici legati all’Intelligenza artificiale, alla “valorizzazione dei beni comuni”. Tutti elementi fondamentali proprio in quel “cambio di paradigma” necessario allo sviluppo sostenibile, ambientale e sociale e a migliori equilibri economici.

I temi indicati dalla ricerca di Orxford rafforzano le riflessioni, avviate da tempo dalla migliore letteratura economica, sulla necessità di superare le contrapposizioni tra “le due culture”, umanistica e scientifica, per andare in direzione di una “cultura politecnica” che sappia costruire nuove sintesi di conoscenza e incidere positivamente sulla qualità dello sviluppo (ne abbiamo parlato più volte, in questi blog).
Una “cultura politecnica” che eviti la frammentazione della conoscenza. E insista sull’importanza di una dimensione multidisciplinare della formazione. Una formazione, vale la pena aggiungere, non legata soltanto al ciclo iniziale di studi, ma impostata lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Un’attitudine a “imparare a imparare”. E una tendenza a ibridare saperi e competenze, proprio per fare fronte alla radicalità e alla rapidità dei cambiamenti scientifici, tecnologici, ambientali ma anche geopolitici ed economici.

Sono proprio queste le dimensioni formative più indicate, in questa stagioni di transizioni e metamorfosi. E sollecitano corsi integrati, multidisciplinari, appunto, da ingegneri-filosofi e scienziati sensibili alle dimensioni etiche e sociali delle conseguenze del loro lavoro. Da fare valere anche nella formazione dei programmi di studio negli Its e nelle università. E da premiare nel lavoro d’impresa. nell’orizzonte di un nuovo “umanesimo industriale” e “digitale”. Tutte dimensioni in cui le migliori imprese italiane si ritrovano a proprio agio, facendone anzi una caratteristica particolare della propria competitività sui più esigenti mercati internazionali.
Sono temi approfonditi anche nel recente Rapporto 2023 dell’Osservatorio permanente “Nuovi lavori e nuova formazione” dell’Aspen Institute Italia.

Sostiene infatti il rapporto Aspen che “a livello trasversale a tutti i settori e paesi sorge la necessità di un approccio non lineare in termini di formazione e lavoro, visto che i lavori del futuro si baseranno sempre meno su competenze predefinite e sempre più sulla capacità di adattarsi a un mondo complesso, dinamico e che muta rapidamente. Al contrario della dilagante tendenza all’ipersemplificazione, è evidente la richiesta, nel mondo del lavoro, di nuove e complesse competenze, oltre che di spirito critico e flessibilità, elementi che sono naturalmente sostenuti dalla cultura”.
In questo senso, a fronte della progressiva “digitalizzazione” della vita personale e professionale degli individui, è necessario che la formazione si ponga come obiettivo lo sviluppo di un’attitudine “scientifica” verso il mondo reale. Così come “sarà opportuno avviare sperimentazioni per applicare lo sviluppo del pensiero critico e del ragionamento logico all’interazione diretta con gli strumenti di Generative Artificial Intelligence”.
Insiste l’Asp: “Nasce la necessità di governare e guidare la diffusione della GenAI, fenomeno che si sta rivelando sempre più game changing, a tutti i livelli e per tutti i paesi, non solo quelli particolarmente avanzati dal punto di vista informatico. Occorre studiare a fondo le limitazioni intrinseche della GenAI (bias, overconfidence, errori e così via), con l’obiettivo di gestire con attenzione le varie applicazioni, non solo in ambito educativo”.
La conclusione è chiara, analoga a quella della ricerca di Oxford: “Questo contesto ad alta evoluzione porterà a una maggiore domanda di competenze nelle scienze sociali e umanistiche, che fino a ora hanno giocato un ruolo relativamente limitato nel campo delle competenze di base”.

(Foto Getty Images)

Studiare Humanities – filosofia e storia, letteratura e arte, teatro e musica – permette di avere gli strumenti critici per capire le grandi trasformazioni in corso nel mondo e migliora i percorsi professionali nell’arco di tutta la vita di lavoro. Lo sostiene una recente ricerca dell’Università di Oxford,The value of the Humanities”, condotta analizzando i profili e i percorsi di carriera di oltre 9mila laureati del prestigioso ateneo britannico in materie umanistiche, tra i 20 e i 54 anni, entrati sul mercato del lavoro tra i 2000 e il 2019, approfondendo i risultati con più di cento interviste in profondità e poi ridiscutendo e aggiornando i risultati dopo la fine della pandemia da Covid19.
Il report sostiene che proprio la pandemia ha accelerato le tendenze all’automazione, alla digitalizzazione e a modelli flessibili di lavoro e aggiunge che la “resilienza” dei laureati in materie umanistiche li rende particolarmente adatti a muoversi nel nuovo ambiente. Anche i recenti sviluppi dell’Intelligenza artificiale chiedono capacità di conoscenze critiche e progettuali, pensieri originali, adattabilità ai contrasti segnati da cambiamenti così radicali.

Commenta Dan Grimley, Head of Humanities all’Università di Oxford: “La nostra ricerca conferma quello che già sanno bene molti dei nostri studiosi: le attitudini e le esperienze fatte con le conoscenze umanistiche possono trasformare la vita professionale, ma anche l’esperienza umana nel suo complesso”.
Le nuove generazioni, è vero, sono particolarmente attratte dagli studi scientifici e dalle specializzazioni tecnologiche, nella convinzione che migliorino le loro opportunità lavorative (lo confermano, anche in Italia, i risultati del XXV Rapporto di Almalaurea, sulle opportunità professionali, mettendo in primo piano le lauree in ingegneria, le più richieste dalle aziende e dunque le meglio retribuite, “Il Sole24Ore, 13 giugno).
Ma proprio gli intervistati dalla ricerca di Oxford spiegano che le scienze umane offrono, in contesti così profondamente cambiati, strumenti sofisticati per muoversi con maggiore capacità di comprensione e di governo dei fenomeni grazie a “pensiero critico e strategico, abilità a sintetizzare informazioni complesse, empatia, attitudine creativa alla soluzione dei problemi”, con l’effetto positivo di dare un “contributo più ampio” al miglioramento della condizione sociale, alla definizione delle risposte ai problemi etici legati all’Intelligenza artificiale, alla “valorizzazione dei beni comuni”. Tutti elementi fondamentali proprio in quel “cambio di paradigma” necessario allo sviluppo sostenibile, ambientale e sociale e a migliori equilibri economici.

I temi indicati dalla ricerca di Orxford rafforzano le riflessioni, avviate da tempo dalla migliore letteratura economica, sulla necessità di superare le contrapposizioni tra “le due culture”, umanistica e scientifica, per andare in direzione di una “cultura politecnica” che sappia costruire nuove sintesi di conoscenza e incidere positivamente sulla qualità dello sviluppo (ne abbiamo parlato più volte, in questi blog).
Una “cultura politecnica” che eviti la frammentazione della conoscenza. E insista sull’importanza di una dimensione multidisciplinare della formazione. Una formazione, vale la pena aggiungere, non legata soltanto al ciclo iniziale di studi, ma impostata lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Un’attitudine a “imparare a imparare”. E una tendenza a ibridare saperi e competenze, proprio per fare fronte alla radicalità e alla rapidità dei cambiamenti scientifici, tecnologici, ambientali ma anche geopolitici ed economici.

Sono proprio queste le dimensioni formative più indicate, in questa stagioni di transizioni e metamorfosi. E sollecitano corsi integrati, multidisciplinari, appunto, da ingegneri-filosofi e scienziati sensibili alle dimensioni etiche e sociali delle conseguenze del loro lavoro. Da fare valere anche nella formazione dei programmi di studio negli Its e nelle università. E da premiare nel lavoro d’impresa. nell’orizzonte di un nuovo “umanesimo industriale” e “digitale”. Tutte dimensioni in cui le migliori imprese italiane si ritrovano a proprio agio, facendone anzi una caratteristica particolare della propria competitività sui più esigenti mercati internazionali.
Sono temi approfonditi anche nel recente Rapporto 2023 dell’Osservatorio permanente “Nuovi lavori e nuova formazione” dell’Aspen Institute Italia.

Sostiene infatti il rapporto Aspen che “a livello trasversale a tutti i settori e paesi sorge la necessità di un approccio non lineare in termini di formazione e lavoro, visto che i lavori del futuro si baseranno sempre meno su competenze predefinite e sempre più sulla capacità di adattarsi a un mondo complesso, dinamico e che muta rapidamente. Al contrario della dilagante tendenza all’ipersemplificazione, è evidente la richiesta, nel mondo del lavoro, di nuove e complesse competenze, oltre che di spirito critico e flessibilità, elementi che sono naturalmente sostenuti dalla cultura”.
In questo senso, a fronte della progressiva “digitalizzazione” della vita personale e professionale degli individui, è necessario che la formazione si ponga come obiettivo lo sviluppo di un’attitudine “scientifica” verso il mondo reale. Così come “sarà opportuno avviare sperimentazioni per applicare lo sviluppo del pensiero critico e del ragionamento logico all’interazione diretta con gli strumenti di Generative Artificial Intelligence”.
Insiste l’Asp: “Nasce la necessità di governare e guidare la diffusione della GenAI, fenomeno che si sta rivelando sempre più game changing, a tutti i livelli e per tutti i paesi, non solo quelli particolarmente avanzati dal punto di vista informatico. Occorre studiare a fondo le limitazioni intrinseche della GenAI (bias, overconfidence, errori e così via), con l’obiettivo di gestire con attenzione le varie applicazioni, non solo in ambito educativo”.
La conclusione è chiara, analoga a quella della ricerca di Oxford: “Questo contesto ad alta evoluzione porterà a una maggiore domanda di competenze nelle scienze sociali e umanistiche, che fino a ora hanno giocato un ruolo relativamente limitato nel campo delle competenze di base”.

(Foto Getty Images)

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