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Le visioni dell’arte e la chirurgia high tech, da Milano a Torino esempi per vivere meglio

Prendersi cura. Della salute. Della qualità della vita. Dello sviluppo. Costruire così le premesse per una “economia della felicità” (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana). E avere dunque a cuore il benessere delle persone con cui entriamo in contatto.

Prendersi cura e avere a cuore, frasi essenziali, parenti tra loro, vengono in mente scorrendo le cronache dei giorni scorsi e leggendo di uno straordinario intervento di chirurgia per ridare la vista a un cieco alle Molinette di Torino e di un’originale scelta di combinare la visione di grandi opere d’arte con i percorsi medici all’Humanitas di Milano. Scienza e tecnologia d’avanguardia, da una parte. E, dall’altra, profonda sensibilità per le relazioni tra emozioni artistiche e reazioni terapeutiche. Inedite visioni di nuove sintesi culturali.

A Torino, le Molinette (struttura ospedaliera universitaria pubblica) sono da tempo un’eccellenza sanitaria di valore europeo. E lì l’equipe guidata da Michele Reibaldi e Vincenzo Sarnicola ha eseguito un autotrapianto dell’intera superficie oculare dell’occhio sinistro, spento ma in buone condizioni, sull’occhio destro, danneggiato anni fa da una malattia autoimmune. Una “prima” mondiale. Realizzata con successo: il paziente, un uomo di 83 anni, ha ricominciato a vedere. E dunque a vivere meglio.

L’idea di far vivere meglio le persone ricoverate ha guidato anche la scelta dei responsabili dell’Humanitas (struttura sanitaria privata) a Milano. Sulle pareti dei padiglioni del complesso di Rozzano ci sono gli ingrandimenti di 23 particolari da 15 opere di Raffaello, Piero della Francesca, Bellotto, Crivelli, Hayez e altri grandi artisti, perché “l’arte aiuta a curare”, come spiega Gianfelice Rocca, presidente dell’Humanitas.

Brera in Humanitas”, si chiama l’iniziativa. Perché appunto dalla Pinacoteca di Brera vengono le immagini che, riprodotte sui muri delle sale d’attesa e delle stanze degli ambulatori, regalano colori ed emozioni ai pazienti e ai loro parenti, ma anche ai medici e agli infermieri. Sostiene James Bradburne, direttore di Brera: “Portiamo la magia del museo dentro l’ospedale. E non semplicemente per decorare delle pareti bianche e sterili, ma per confortare e rassicurare le persone nella loro fragilità. Tutti entriamo in ospedale con la nostra umanità. E non c’è dunque posto migliore in cui mettere i nostri dipinti”. E ancora Rocca: “La bellezza aiuta a non perdere le radici quando si entra negli ospedali, che sono crocevia di bisogni”.

Bellezza come cura contro la fatica, il dolore, la paura. Arte come conforto. Ma anche come testimonianza che, proprio attraverso la rappresentazione del bello, si può cercare di costruire una via d’uscita dalla sofferenza della fragilità, un sollievo per la ferita della malattia, un lampo di luce nel buio del timore per la fine della vita.
Le storie di cronaca da Torino e da Milano, in qualche modo, convergono. E testimoniano come scienza e arte, tecnologia sofisticata e compassione (cum e patio: condividere un dolore) siano parti di uno stesso cammino d’umanità. Un percorso molto civile. Molto italiano.

Le “scienze della vita” ne sono una conferma. Tengono insieme sanità, alimentazione, formazione di alto livello, ricerca scientifica, industria farmaceutica, industria meccatronica e robotica (quelle sofisticate attrezzature per gli interventi chirurgici più complessi, per esempio), servizi digitali e applicazioni dell’Intelligenza artificiale (l’utilizzo dei dati su malattie e terapie aiuta a costruire itinerari adatti alle necessità dei pazienti, soprattutto per le “malattie rare” ma anche per costruire difese efficaci contro le future epidemie). E proprio nelle scienze della vita, grazie anche a una stretta collaborazione tra strutture pubbliche e attività private, l’Italia ha posizioni di primato, a livello europeo e internazionale.
Nonostante tutti i limiti, i difetti e le carenze note, il nostro sistema della salute è considerato in molti ambienti scientifici e medici come un paradigma positivo, cui fare riferimento.

Torniamo così alle parole da cui siamo partiti: cura e cuore. Che fanno da cardini dei pensieri positivi per provare a costruire i nuovi paradigmi di un’economia che metta in primo piano non solo e non tanto il valore economico per gli azionisti di un’impresa (profitti, corsi di Borsa) quanto soprattutto i valori su cui si fondano le prospettive dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. E’ necessario, infatti, guardare alla crescita economica misurata con il Pil, il prodotto interno lordo, metrica di quantità. Ma soprattutto fare leva sulla qualità di quella crescita, misurata con il Bes, l’indice del Benessere Equo e Sostenibile o con “l’indice di sviluppo umano” caro alle valutazioni dell’Onu.

Per ragionare sui nuovi equilibri, serve la razionalità economica. Ma è indispensabile soprattutto una solida e generosa “intelligenza del cuore”, in grado di andare oltre i confini dell’economia come “scienza triste” e dare risposte alle aspettative e all’incrocio originale di desideri, bisogni, responsabilità e progetti di uomini e donne considerati soprattutto come persone, non soltanto come produttori e consumatori.

Cura, dunque. Cuore. “I care”, come insegnava ai bambini dello sperduto e povero borgo di Barbiana don Lorenzo Milani, maestro di cultura popolare, generosità, spirito di comunità. La relazione con le tecnologie umanizzate e con la bellezza aiuta a vivere meglio.

(foto: Getty Images)

Prendersi cura. Della salute. Della qualità della vita. Dello sviluppo. Costruire così le premesse per una “economia della felicità” (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana). E avere dunque a cuore il benessere delle persone con cui entriamo in contatto.

Prendersi cura e avere a cuore, frasi essenziali, parenti tra loro, vengono in mente scorrendo le cronache dei giorni scorsi e leggendo di uno straordinario intervento di chirurgia per ridare la vista a un cieco alle Molinette di Torino e di un’originale scelta di combinare la visione di grandi opere d’arte con i percorsi medici all’Humanitas di Milano. Scienza e tecnologia d’avanguardia, da una parte. E, dall’altra, profonda sensibilità per le relazioni tra emozioni artistiche e reazioni terapeutiche. Inedite visioni di nuove sintesi culturali.

A Torino, le Molinette (struttura ospedaliera universitaria pubblica) sono da tempo un’eccellenza sanitaria di valore europeo. E lì l’equipe guidata da Michele Reibaldi e Vincenzo Sarnicola ha eseguito un autotrapianto dell’intera superficie oculare dell’occhio sinistro, spento ma in buone condizioni, sull’occhio destro, danneggiato anni fa da una malattia autoimmune. Una “prima” mondiale. Realizzata con successo: il paziente, un uomo di 83 anni, ha ricominciato a vedere. E dunque a vivere meglio.

L’idea di far vivere meglio le persone ricoverate ha guidato anche la scelta dei responsabili dell’Humanitas (struttura sanitaria privata) a Milano. Sulle pareti dei padiglioni del complesso di Rozzano ci sono gli ingrandimenti di 23 particolari da 15 opere di Raffaello, Piero della Francesca, Bellotto, Crivelli, Hayez e altri grandi artisti, perché “l’arte aiuta a curare”, come spiega Gianfelice Rocca, presidente dell’Humanitas.

Brera in Humanitas”, si chiama l’iniziativa. Perché appunto dalla Pinacoteca di Brera vengono le immagini che, riprodotte sui muri delle sale d’attesa e delle stanze degli ambulatori, regalano colori ed emozioni ai pazienti e ai loro parenti, ma anche ai medici e agli infermieri. Sostiene James Bradburne, direttore di Brera: “Portiamo la magia del museo dentro l’ospedale. E non semplicemente per decorare delle pareti bianche e sterili, ma per confortare e rassicurare le persone nella loro fragilità. Tutti entriamo in ospedale con la nostra umanità. E non c’è dunque posto migliore in cui mettere i nostri dipinti”. E ancora Rocca: “La bellezza aiuta a non perdere le radici quando si entra negli ospedali, che sono crocevia di bisogni”.

Bellezza come cura contro la fatica, il dolore, la paura. Arte come conforto. Ma anche come testimonianza che, proprio attraverso la rappresentazione del bello, si può cercare di costruire una via d’uscita dalla sofferenza della fragilità, un sollievo per la ferita della malattia, un lampo di luce nel buio del timore per la fine della vita.
Le storie di cronaca da Torino e da Milano, in qualche modo, convergono. E testimoniano come scienza e arte, tecnologia sofisticata e compassione (cum e patio: condividere un dolore) siano parti di uno stesso cammino d’umanità. Un percorso molto civile. Molto italiano.

Le “scienze della vita” ne sono una conferma. Tengono insieme sanità, alimentazione, formazione di alto livello, ricerca scientifica, industria farmaceutica, industria meccatronica e robotica (quelle sofisticate attrezzature per gli interventi chirurgici più complessi, per esempio), servizi digitali e applicazioni dell’Intelligenza artificiale (l’utilizzo dei dati su malattie e terapie aiuta a costruire itinerari adatti alle necessità dei pazienti, soprattutto per le “malattie rare” ma anche per costruire difese efficaci contro le future epidemie). E proprio nelle scienze della vita, grazie anche a una stretta collaborazione tra strutture pubbliche e attività private, l’Italia ha posizioni di primato, a livello europeo e internazionale.
Nonostante tutti i limiti, i difetti e le carenze note, il nostro sistema della salute è considerato in molti ambienti scientifici e medici come un paradigma positivo, cui fare riferimento.

Torniamo così alle parole da cui siamo partiti: cura e cuore. Che fanno da cardini dei pensieri positivi per provare a costruire i nuovi paradigmi di un’economia che metta in primo piano non solo e non tanto il valore economico per gli azionisti di un’impresa (profitti, corsi di Borsa) quanto soprattutto i valori su cui si fondano le prospettive dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. E’ necessario, infatti, guardare alla crescita economica misurata con il Pil, il prodotto interno lordo, metrica di quantità. Ma soprattutto fare leva sulla qualità di quella crescita, misurata con il Bes, l’indice del Benessere Equo e Sostenibile o con “l’indice di sviluppo umano” caro alle valutazioni dell’Onu.

Per ragionare sui nuovi equilibri, serve la razionalità economica. Ma è indispensabile soprattutto una solida e generosa “intelligenza del cuore”, in grado di andare oltre i confini dell’economia come “scienza triste” e dare risposte alle aspettative e all’incrocio originale di desideri, bisogni, responsabilità e progetti di uomini e donne considerati soprattutto come persone, non soltanto come produttori e consumatori.

Cura, dunque. Cuore. “I care”, come insegnava ai bambini dello sperduto e povero borgo di Barbiana don Lorenzo Milani, maestro di cultura popolare, generosità, spirito di comunità. La relazione con le tecnologie umanizzate e con la bellezza aiuta a vivere meglio.

(foto: Getty Images)

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