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Legalità e cultura del mercato, dialogo aperto tra magistratura e imprese

Legalità. Impegno contro mafia e corruzione. E buona cultura d’impresa come cultura del mercato efficiente, trasparente e ben regolato, come attitudine alla competizione fair, come intraprendenza che premia merito, qualità e sicurezza, come responsabilità per la sostenibilità sociale e ambientale. Legalità, dunque, come valore istituzionale, con tutte le sue implicazioni morali e civili. Ma anche legalità come asset di competitività e di sviluppo. Sono questi i temi alla base delle due giornate di studio milanesi organizzate, mercoledì e giovedì della scorsa settimana, dalla Scuola Superiore della Magistratura (la sede del Distretto di Milano) e da Assolombarda sul tema “Criminalità organizzata e impresa”. Discussioni dense e aperte, con la partecipazione di magistrati, imprenditori, economisti, studiosi di diritto, uomini delle forze dell’ordine e manager, per mettere a confronto esperienze, impegni, analisi da diversi ma convergenti punti di vista sulle questioni poste dal dilagare delle organizzazioni mafiose nei contesti dell’economia anche nelle regioni del Nord e dalla necessità di risposte che riguardino non solo prevenzione e repressione giudiziaria, ma anche contrasto da parte degli attori economici e sociali. Lo sfondo generale: la presa d’atto e la crescente consapevolezza che le attività criminali di mafia, camorra e ‘ndrangheta non sono solo un problema di ordine pubblico, ma investono l’economia di mercato, la tenuta della politica e della pubblica amministrazione, la qualità della stessa democrazia.

C’è un lavoro importante da portare avanti, ognuno a suo modo (magistratura e imprese) ma con convergenza di intenti. I nuovi provvedimenti voluti dal governo Renzi e varati dal Parlamento contro la corruzione e la mafia offrono strumenti migliori che nel passato. E c’è naturalmente ancora strada da fare, per evitare che l’illegalità stavolga crescita e buona economia di mercato.

Per quardare le cose dal punto di vista della cultura d’impresa, si può partire dal “rating di legalità”, una misura sostenuta da Confindustria e accolta, a metà dicembre 2014, dall’Alto Commissario Anticorruzione Raffaele Cantone e dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella con un regolamento che “premia gli imprenditori virtuosi sul piano economico e della legge” e fa “da punteggio aggiuntivo per l’aggiudicazione degli appalti pubblici”. E’ una misura importante. E aumenta il numero delle imprese che lo chiedono (oltre 500 l’hanno già ottenuto).

Servono anche i “codici etici”. Per le buone imprese, infatti, “fare pulizia” non è solo un imperativo morale (diretto anche all’interno del proprio mondo), ma una regola per la crescita. E accanto alle norme, più efficaci e severe contro la corruzione e la mafia, è necessaria una vera e propria svolta culturale, una nuova e diffusa coscienza civile che metta nell’angolo mafiosi, corruttori, complici, l’ampia “zona grigia” che nel tempo ha consentito il degrado del tessuto politico e sociale a vantaggio dei clan.

La corruzione è zavorra dello sviluppo”, ha documentato, nel dicembre dello scorso anno, il Centro Studi Confindustria: ostacolo per una buona cultura di mercato, distorsione d’una equilibrata crescita economica e sociale, frattura nel mondo delle imprese, del lavoro, del miglioramento della società.

Da che punto di vista, allora, guardare alla legalità? Per esempio, da quello della relazione perversa tra eccesso di leggi e regolamenti e loro sostanziale scarso rispetto. Da quello dell’inquinamento delle attività economiche da parte della mafia e delle altre organizzazioni criminali, diffuse su tutto il territorio italiano. O ancora da quello della concorrenza sleale portata dall’economia del “sommerso” e dalla persistenza di ampie aree di evasione fiscale. Oppure dal punto di vista della scarsa efficienza ed efficacia di una macchina giudiziaria complessa e lenta, che non risponde al bisogno di giustizia civile e penale in tempi ragionevoli, con pronunciamenti chiari e di qualità. E del cattivo funzionamento della giustizia e dunque della crisi dei mercati ben regolati si avvantaggia l’attore economico più spregiudicato, prepotente, illegale. Ai danni di tutta la buona economia nazionale.

Sburocratizzare”, è la parola d’ordine, anche d’importanti riforme in corso, avviate dal Governo. Meno norme, e più chiare. Minori passaggi burocratici. Controlli meno schematicamente formali e più incisivi. Trasparenza. Si tratta di insistere su scelte politiche radicali, anche per rompere il conservatorismo contro le riforme e per valorizzare quelle stesse componenti della pubblica amministrazione (minoritarie, ma di gran valore) che si muovono con un forte senso dello Stato e delle regole.

Legalità, per Assolombarda, che ne ha fatto uno dei cardini della strategia “Far volare Milano per far volare l’Italia”, vuol dire anche avviare iniziative per tutelare le imprese dalla concorrenza sleale delle cosche della criminalità organizzata, dichiarando il pieno appoggio alle attività antimafia della Procura della Repubblica di Milano nelle indagini contro le relazioni perverse tra cosche della ‘ndrangheta e disinvolti imprenditori in cerca di scorciatoie illegali d’affari e organizzando, in collaborazione con Tribunale e Corte d’Appello, seminari, confronti, attività di formazione sulle ragioni della giustizia e quelle, coincidenti, delle buone imprese. Come quello, appunto, della scorsa settimana a Milano, una iniziativa cui dare seguito.

La concorrenza, infatti, è un valore chiave. A patto che sia aperta, rispettosa delle regole, giocata secondo i principi costitutivi di un buon mercato: la qualità, il miglior prezzo, il prodotto più innovativo, il servizio più efficiente. Nulla di quanto avviene nel caso dell’impresa mafiosa, che può farsi forte di altri elementi: la violenza nell’affrontare i concorrenti e condizionare i fornitori, la corruzione delle pubbliche amministrazioni, l’alterazione delle relazioni industriali, dei rapporti con i dipendenti, fondati su minacce e frequente ricorso al “lavoro nero”, l’evasione delle norme sulle tasse e i contributi, il credito “nero”, da riciclaggio, facile e a bassissimo costo.

Hanno dunque avuto ragione le istituzioni ad alzare la guardia dell’impegno investigativo e repressivo e delle misure di prevenzione e cautela contro le infiltrazioni mafiose. E le associazioni d’impresa e molte delle singole imprese stesse a insistere sui nessi sempre più stretti tra legalità e buona cresc ita dell’economia e dei mercati. Un impegno da rafforzare.

Legalità. Impegno contro mafia e corruzione. E buona cultura d’impresa come cultura del mercato efficiente, trasparente e ben regolato, come attitudine alla competizione fair, come intraprendenza che premia merito, qualità e sicurezza, come responsabilità per la sostenibilità sociale e ambientale. Legalità, dunque, come valore istituzionale, con tutte le sue implicazioni morali e civili. Ma anche legalità come asset di competitività e di sviluppo. Sono questi i temi alla base delle due giornate di studio milanesi organizzate, mercoledì e giovedì della scorsa settimana, dalla Scuola Superiore della Magistratura (la sede del Distretto di Milano) e da Assolombarda sul tema “Criminalità organizzata e impresa”. Discussioni dense e aperte, con la partecipazione di magistrati, imprenditori, economisti, studiosi di diritto, uomini delle forze dell’ordine e manager, per mettere a confronto esperienze, impegni, analisi da diversi ma convergenti punti di vista sulle questioni poste dal dilagare delle organizzazioni mafiose nei contesti dell’economia anche nelle regioni del Nord e dalla necessità di risposte che riguardino non solo prevenzione e repressione giudiziaria, ma anche contrasto da parte degli attori economici e sociali. Lo sfondo generale: la presa d’atto e la crescente consapevolezza che le attività criminali di mafia, camorra e ‘ndrangheta non sono solo un problema di ordine pubblico, ma investono l’economia di mercato, la tenuta della politica e della pubblica amministrazione, la qualità della stessa democrazia.

C’è un lavoro importante da portare avanti, ognuno a suo modo (magistratura e imprese) ma con convergenza di intenti. I nuovi provvedimenti voluti dal governo Renzi e varati dal Parlamento contro la corruzione e la mafia offrono strumenti migliori che nel passato. E c’è naturalmente ancora strada da fare, per evitare che l’illegalità stavolga crescita e buona economia di mercato.

Per quardare le cose dal punto di vista della cultura d’impresa, si può partire dal “rating di legalità”, una misura sostenuta da Confindustria e accolta, a metà dicembre 2014, dall’Alto Commissario Anticorruzione Raffaele Cantone e dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella con un regolamento che “premia gli imprenditori virtuosi sul piano economico e della legge” e fa “da punteggio aggiuntivo per l’aggiudicazione degli appalti pubblici”. E’ una misura importante. E aumenta il numero delle imprese che lo chiedono (oltre 500 l’hanno già ottenuto).

Servono anche i “codici etici”. Per le buone imprese, infatti, “fare pulizia” non è solo un imperativo morale (diretto anche all’interno del proprio mondo), ma una regola per la crescita. E accanto alle norme, più efficaci e severe contro la corruzione e la mafia, è necessaria una vera e propria svolta culturale, una nuova e diffusa coscienza civile che metta nell’angolo mafiosi, corruttori, complici, l’ampia “zona grigia” che nel tempo ha consentito il degrado del tessuto politico e sociale a vantaggio dei clan.

La corruzione è zavorra dello sviluppo”, ha documentato, nel dicembre dello scorso anno, il Centro Studi Confindustria: ostacolo per una buona cultura di mercato, distorsione d’una equilibrata crescita economica e sociale, frattura nel mondo delle imprese, del lavoro, del miglioramento della società.

Da che punto di vista, allora, guardare alla legalità? Per esempio, da quello della relazione perversa tra eccesso di leggi e regolamenti e loro sostanziale scarso rispetto. Da quello dell’inquinamento delle attività economiche da parte della mafia e delle altre organizzazioni criminali, diffuse su tutto il territorio italiano. O ancora da quello della concorrenza sleale portata dall’economia del “sommerso” e dalla persistenza di ampie aree di evasione fiscale. Oppure dal punto di vista della scarsa efficienza ed efficacia di una macchina giudiziaria complessa e lenta, che non risponde al bisogno di giustizia civile e penale in tempi ragionevoli, con pronunciamenti chiari e di qualità. E del cattivo funzionamento della giustizia e dunque della crisi dei mercati ben regolati si avvantaggia l’attore economico più spregiudicato, prepotente, illegale. Ai danni di tutta la buona economia nazionale.

Sburocratizzare”, è la parola d’ordine, anche d’importanti riforme in corso, avviate dal Governo. Meno norme, e più chiare. Minori passaggi burocratici. Controlli meno schematicamente formali e più incisivi. Trasparenza. Si tratta di insistere su scelte politiche radicali, anche per rompere il conservatorismo contro le riforme e per valorizzare quelle stesse componenti della pubblica amministrazione (minoritarie, ma di gran valore) che si muovono con un forte senso dello Stato e delle regole.

Legalità, per Assolombarda, che ne ha fatto uno dei cardini della strategia “Far volare Milano per far volare l’Italia”, vuol dire anche avviare iniziative per tutelare le imprese dalla concorrenza sleale delle cosche della criminalità organizzata, dichiarando il pieno appoggio alle attività antimafia della Procura della Repubblica di Milano nelle indagini contro le relazioni perverse tra cosche della ‘ndrangheta e disinvolti imprenditori in cerca di scorciatoie illegali d’affari e organizzando, in collaborazione con Tribunale e Corte d’Appello, seminari, confronti, attività di formazione sulle ragioni della giustizia e quelle, coincidenti, delle buone imprese. Come quello, appunto, della scorsa settimana a Milano, una iniziativa cui dare seguito.

La concorrenza, infatti, è un valore chiave. A patto che sia aperta, rispettosa delle regole, giocata secondo i principi costitutivi di un buon mercato: la qualità, il miglior prezzo, il prodotto più innovativo, il servizio più efficiente. Nulla di quanto avviene nel caso dell’impresa mafiosa, che può farsi forte di altri elementi: la violenza nell’affrontare i concorrenti e condizionare i fornitori, la corruzione delle pubbliche amministrazioni, l’alterazione delle relazioni industriali, dei rapporti con i dipendenti, fondati su minacce e frequente ricorso al “lavoro nero”, l’evasione delle norme sulle tasse e i contributi, il credito “nero”, da riciclaggio, facile e a bassissimo costo.

Hanno dunque avuto ragione le istituzioni ad alzare la guardia dell’impegno investigativo e repressivo e delle misure di prevenzione e cautela contro le infiltrazioni mafiose. E le associazioni d’impresa e molte delle singole imprese stesse a insistere sui nessi sempre più stretti tra legalità e buona cresc ita dell’economia e dei mercati. Un impegno da rafforzare.

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