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L’essenza dell’imprenditore e del manager avveduti

Raccolti in un volume appena stampato, oltre cento modi di raccontare che cos’è la cultura

Essere imprenditori e manager significa anche essere uomini e donne a tutto tondo. Cittadini di un mondo che cambia, locale e universale, consapevoli del proprio ruolo e delle conseguenze dei comportamenti adottati. E’ anche così che si forma la cultura del produrre, di quelle imprese che vedono nel buon bilancio contabile solo una parte dei loro obiettivi. Per questo leggere e avere sul tavolo di lavoro “La Cultura” – raccolta appena pubblicata di oltre cento interventi contenuti nei volumi dell’omonima collana di libri dal ’59 ad oggi -, è cosa utile e importante da fare.

Il libro naturalmente ha nelle prime pagine l’esplicitazione del concetto generale di cultura, ripreso dalla presentazione della collana stessa apparsa quasi sessant’anni fa: “La cultura contemporanea è un difficile equilibrio nel quale il pensiero e la vita, l’arte e la critica, l’individuale e il generale, si fondono e si ritrovano per fecondarsi a vicenda”. E ancora viene subito precisato che cultura “non è deduzione da astratti principi programmatici né passiva accettazione della cronaca”. Frasi che, a ben vedere, oltre che al cittadino consapevole, si adattano bene anche al’imprenditore avveduto: attento al mondo che lo circonda, non pago dei meccanismi che si ripetono ma alla ricerca sempre del vero e del nuovo.

Nel volume, quindi, si succedono testi dedicati a tutti gli aspetti della cultura dell’uomo moderno, scritti da un’insieme di firme unico nel suo genere che comprende, solo per citare arbitrariamente qualche nome: Ginsberg, Dickinson, Proust, Lee Masters, Steinbeck ma anche Hitchcock, Kerouac, Monicelli, Faulkner, Lennon, Pollini, Mead, Stajano, San Francesco, il Dalai Lama, Deaglio, Magri, Salinger, Cederna, Stuart Mill, Keynes, e poi ancora Sartre, Gropius, Sereni, Touraine, Mila, Bobbio e altri ancora. Ognuno di essi coglie un tema, un particolare, una visione di ciò che può essere cultura. Pressoché in tutti i campi del “sapere”. Alcuni di essi, fra l’altro (storia, comunicazione, economia, musica, futuro e poesia), vengono ripresi in una serie di incontri alla Triennale di Milano previsti in queste settimane.

Non mancano anche gli accenni alla produzione e all’economia più strettamente intese. E pensando all’agire della buona impresa e al carattere proprio del buon imprenditore, come lampi nella notte, si stagliano passaggi come quello di John Stuart Mill che scrive: “Chi fa qualcosa perché è l’usanza non opera una scelta, né impara a discernere o a desiderare ciò che è meglio. (…) Chi permette al mondo, o alla parte di esso in cui egli vive, di scegliergli la vita non ha bisogno di altre facoltà che di quella dell’imitazione scimmiesca”. Mentre John Maynard Keynes poche pagine dopo aggiunge: “Abbiamo trasformato la filosofia della nostra vita economica, la nozione di «ragionevole» e di «accettabile»: il moto di trasformazione è stato impercettibile e si è verificato mentre conservavamo invariate le nostre tecniche e le nostre massime da sussidiario. Donde i nostri guai e i nostri pianti”.

“La Cultura” è ciò che si è detto all’inizio: un libro da leggere e da tenere sul tavolo, non come decoro ma come scialuppa di salvataggio.

La Cultura

AA.VV.

il Saggiatore, 2016

Raccolti in un volume appena stampato, oltre cento modi di raccontare che cos’è la cultura

Essere imprenditori e manager significa anche essere uomini e donne a tutto tondo. Cittadini di un mondo che cambia, locale e universale, consapevoli del proprio ruolo e delle conseguenze dei comportamenti adottati. E’ anche così che si forma la cultura del produrre, di quelle imprese che vedono nel buon bilancio contabile solo una parte dei loro obiettivi. Per questo leggere e avere sul tavolo di lavoro “La Cultura” – raccolta appena pubblicata di oltre cento interventi contenuti nei volumi dell’omonima collana di libri dal ’59 ad oggi -, è cosa utile e importante da fare.

Il libro naturalmente ha nelle prime pagine l’esplicitazione del concetto generale di cultura, ripreso dalla presentazione della collana stessa apparsa quasi sessant’anni fa: “La cultura contemporanea è un difficile equilibrio nel quale il pensiero e la vita, l’arte e la critica, l’individuale e il generale, si fondono e si ritrovano per fecondarsi a vicenda”. E ancora viene subito precisato che cultura “non è deduzione da astratti principi programmatici né passiva accettazione della cronaca”. Frasi che, a ben vedere, oltre che al cittadino consapevole, si adattano bene anche al’imprenditore avveduto: attento al mondo che lo circonda, non pago dei meccanismi che si ripetono ma alla ricerca sempre del vero e del nuovo.

Nel volume, quindi, si succedono testi dedicati a tutti gli aspetti della cultura dell’uomo moderno, scritti da un’insieme di firme unico nel suo genere che comprende, solo per citare arbitrariamente qualche nome: Ginsberg, Dickinson, Proust, Lee Masters, Steinbeck ma anche Hitchcock, Kerouac, Monicelli, Faulkner, Lennon, Pollini, Mead, Stajano, San Francesco, il Dalai Lama, Deaglio, Magri, Salinger, Cederna, Stuart Mill, Keynes, e poi ancora Sartre, Gropius, Sereni, Touraine, Mila, Bobbio e altri ancora. Ognuno di essi coglie un tema, un particolare, una visione di ciò che può essere cultura. Pressoché in tutti i campi del “sapere”. Alcuni di essi, fra l’altro (storia, comunicazione, economia, musica, futuro e poesia), vengono ripresi in una serie di incontri alla Triennale di Milano previsti in queste settimane.

Non mancano anche gli accenni alla produzione e all’economia più strettamente intese. E pensando all’agire della buona impresa e al carattere proprio del buon imprenditore, come lampi nella notte, si stagliano passaggi come quello di John Stuart Mill che scrive: “Chi fa qualcosa perché è l’usanza non opera una scelta, né impara a discernere o a desiderare ciò che è meglio. (…) Chi permette al mondo, o alla parte di esso in cui egli vive, di scegliergli la vita non ha bisogno di altre facoltà che di quella dell’imitazione scimmiesca”. Mentre John Maynard Keynes poche pagine dopo aggiunge: “Abbiamo trasformato la filosofia della nostra vita economica, la nozione di «ragionevole» e di «accettabile»: il moto di trasformazione è stato impercettibile e si è verificato mentre conservavamo invariate le nostre tecniche e le nostre massime da sussidiario. Donde i nostri guai e i nostri pianti”.

“La Cultura” è ciò che si è detto all’inizio: un libro da leggere e da tenere sul tavolo, non come decoro ma come scialuppa di salvataggio.

La Cultura

AA.VV.

il Saggiatore, 2016

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