L’impegno di Confindustria per un miglior dialogo tra giustizia e imprese
Superare i difficili rapporti tra magistratura e imprese. Recenti vicende hanno riproposto il tema di come conciliare l’applicazione delle leggi e le iniziative di sanzione ma anche di prevenzione nelle mani dei giudici e le giuste esigenze delle imprese a continuare le loro attività pur in presenza di ipotesi di reato (il caso Ilva e soprattutto quello della Fincantieri, con il blocco dell’azienda durante un’indagine giudiziaria e i rischi conseguenti per la consegna delle navi in lavorazione e i 4.500 posti di lavoro, sono solo gli ultimi d’una lunga serie). Il “Corriere della Sera”, con una documentata inchiesta di Dario Di Vico, ha aperto il dibattito, con interventi di imprenditori, magistrati, politici, studiosi dell’economia e del diritto. Ce n’è stata l’eco pure su “Il Sole24Ore”. Il dibattito è quanto mai opportuno. Che una giustizia efficiente (tempestiva nei giudizi, cioè) ed efficace (con buone sentenze di merito) sia un cardine fondamentale per uno sviluppo equilibrato (anche per attrarre investimenti esteri qualificati, sinora poco interessati all’Italia per l’incrocio perverso tra eccesso di burocrazia, alti e diffusi livelli di corruzione, lentezza e limiti della giustizia) è stata questione più volte affrontata in questo blog. E la scelta di Assolombarda di insistere da tempo sulla centralità della legalità come primario interesse delle imprese si basa su una idea generale della competitività legata anche alla qualità e all’efficienza sia della legislazione, sia della giurisdizione, sottolineando anche l’importanza del funzionamento della macchina giudiziaria.
La riforma della settore avviata dal governo Renzi ha fatto fare significativi passi avanti alla situazione. E il ministro della Giustizia Andrea Orlando, a metà luglio, è andato a Londra a raccontarne condizioni e primi effetti a una qualificata platea di investitori internazionali. Non solo riforme, ma anche buona amministrazione, comunque. L’intelligente gestione di Corti d’Appello e Tribunali (Milano, Torino, Bolzano e altri) ha mostrato infatti come si possano ridurre drasticamente i tempi delle sentenze (garantendo così tempestiva giustizia penale e civile) e smaltire l’arretrato di cause pendenti (la Corte d’Appello di Milano presieduta da Giovanni Canzio nei primi sei mesi del 2015, con lo stessi numero dei giudici e nonostante le carenze del personale amministrativo, il 40% in meno dell’organico previsto, ha ridotto i processi civili pendenti del 29,2% e i processi durano in media due anni e solo il 27% arriva in Cassazione, dove comunque le sentenze vengono confermate nell’80% dei casi).
Vale dunque la pena insistere più sul dialogo tra giustizia ed economia che non sui conflitti. E’ l’obiettivo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che, in una lettera al “Corriere della Sera” (17 luglio) chiede di “superare il clima ostile che circonda le imprese” e insiste: “Il perno su cui fare leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia è bilanciare gli interessi. La legge deve definire il perimetro d’azione in modo chiaro… “. E poi “bisogna migliorare la sensibilità economica dei giudici, puntando su formazione e specializzazione”. E “restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitività e non di ostacolo alla libera iniziativa”.
Squinzi è sincero: “Riconosco che in passato non tutta l’industria ha avuto la giusta sensibilità sui temi ambientali. Ma con la stessa franchezza vorrei fosse chiaro che l’immagine che si tenta di diffondere di un’industria ‘refrattaria’ alle regole ambientali è falsa e assolutamente lontana dalla realtà del nostro sistema produttivo”.
Il ragionamento vale anche per molte altre dimensioni, oltre l’ambiente. Si può dunque, nella piena consapevolezza della diversità di ruoli, responsabilità e funzioni, andare avanti insieme, magistratura e imprese. Squinzi cita la Costituzione, come riferimento. E conclude: “E’ una partita decisiva, che Confindustria segue con la massima attenzione, per dare il suo contributo alla costruzione di quei ‘ponti’ che servirebbero per fare dialogare di più e meglio giustizia ed economia”.
Superare i difficili rapporti tra magistratura e imprese. Recenti vicende hanno riproposto il tema di come conciliare l’applicazione delle leggi e le iniziative di sanzione ma anche di prevenzione nelle mani dei giudici e le giuste esigenze delle imprese a continuare le loro attività pur in presenza di ipotesi di reato (il caso Ilva e soprattutto quello della Fincantieri, con il blocco dell’azienda durante un’indagine giudiziaria e i rischi conseguenti per la consegna delle navi in lavorazione e i 4.500 posti di lavoro, sono solo gli ultimi d’una lunga serie). Il “Corriere della Sera”, con una documentata inchiesta di Dario Di Vico, ha aperto il dibattito, con interventi di imprenditori, magistrati, politici, studiosi dell’economia e del diritto. Ce n’è stata l’eco pure su “Il Sole24Ore”. Il dibattito è quanto mai opportuno. Che una giustizia efficiente (tempestiva nei giudizi, cioè) ed efficace (con buone sentenze di merito) sia un cardine fondamentale per uno sviluppo equilibrato (anche per attrarre investimenti esteri qualificati, sinora poco interessati all’Italia per l’incrocio perverso tra eccesso di burocrazia, alti e diffusi livelli di corruzione, lentezza e limiti della giustizia) è stata questione più volte affrontata in questo blog. E la scelta di Assolombarda di insistere da tempo sulla centralità della legalità come primario interesse delle imprese si basa su una idea generale della competitività legata anche alla qualità e all’efficienza sia della legislazione, sia della giurisdizione, sottolineando anche l’importanza del funzionamento della macchina giudiziaria.
La riforma della settore avviata dal governo Renzi ha fatto fare significativi passi avanti alla situazione. E il ministro della Giustizia Andrea Orlando, a metà luglio, è andato a Londra a raccontarne condizioni e primi effetti a una qualificata platea di investitori internazionali. Non solo riforme, ma anche buona amministrazione, comunque. L’intelligente gestione di Corti d’Appello e Tribunali (Milano, Torino, Bolzano e altri) ha mostrato infatti come si possano ridurre drasticamente i tempi delle sentenze (garantendo così tempestiva giustizia penale e civile) e smaltire l’arretrato di cause pendenti (la Corte d’Appello di Milano presieduta da Giovanni Canzio nei primi sei mesi del 2015, con lo stessi numero dei giudici e nonostante le carenze del personale amministrativo, il 40% in meno dell’organico previsto, ha ridotto i processi civili pendenti del 29,2% e i processi durano in media due anni e solo il 27% arriva in Cassazione, dove comunque le sentenze vengono confermate nell’80% dei casi).
Vale dunque la pena insistere più sul dialogo tra giustizia ed economia che non sui conflitti. E’ l’obiettivo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che, in una lettera al “Corriere della Sera” (17 luglio) chiede di “superare il clima ostile che circonda le imprese” e insiste: “Il perno su cui fare leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia è bilanciare gli interessi. La legge deve definire il perimetro d’azione in modo chiaro… “. E poi “bisogna migliorare la sensibilità economica dei giudici, puntando su formazione e specializzazione”. E “restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitività e non di ostacolo alla libera iniziativa”.
Squinzi è sincero: “Riconosco che in passato non tutta l’industria ha avuto la giusta sensibilità sui temi ambientali. Ma con la stessa franchezza vorrei fosse chiaro che l’immagine che si tenta di diffondere di un’industria ‘refrattaria’ alle regole ambientali è falsa e assolutamente lontana dalla realtà del nostro sistema produttivo”.
Il ragionamento vale anche per molte altre dimensioni, oltre l’ambiente. Si può dunque, nella piena consapevolezza della diversità di ruoli, responsabilità e funzioni, andare avanti insieme, magistratura e imprese. Squinzi cita la Costituzione, come riferimento. E conclude: “E’ una partita decisiva, che Confindustria segue con la massima attenzione, per dare il suo contributo alla costruzione di quei ‘ponti’ che servirebbero per fare dialogare di più e meglio giustizia ed economia”.