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L’impegno di Draghi per la scuola e il ricordo del riformismo del suo maestro Federico Caffè

Nella stagione dell’economia della conoscenza e della competizione internazionale basata su qualità e innovazione, la risorsa fondamentale su cui insistere sono le persone, il “capitale umano” di un paese che ha grande cura anche del suo “capitale sociale”, le relazioni positive fra i valori di una comunità aperta, la responsabilità civile, l’intraprendenza, l’impegno per i beni comuni, la solidarietà. Un nuovo, ambizioso orizzonte politico e culturale. Mario Draghi, incaricato di formare un nuovo governo per tirarci fuori dalla crisi tra pandemia e recessione, lo sa bene, come dimostrano le cose scritte e fatte nel corso degli anni, con intelligenza, lungimiranza, capacità di fare. Ha chiaro, per esempio, che il Recovery Fund, ha un obiettivo prioritario, verso cui muoversi con rapidità ed efficacia: la Next Generation, i nostri figli e nipoti, per i quali costruire condizioni migliori di sviluppo sostenibile. E i due valori di fondo cui inspirare le scelte di investimento, green economy e digital economy, sono assolutamente coerenti con questa prospettiva.

Riforme, dunque, per spendere bene i 209 miliardi: pubblica amministrazione, fisco, giustizia, scuola, lavoro, welfare. E investimenti sulle infrastrutture, tecnologiche e materiali, in linea con le strategie di sviluppo sostenibile. Né sussidi né protezioni settoriali, dunque. Semmai, iniziative per creare un ambiente favorevole alla crescita competitiva delle imprese, alla produttività. Una politica economica in cui, keynesianamente, lo Stato incide sui processi che migliorano le condizioni economiche generali e la qualità della vita delle persone e stimola le imprese private perché siano creative, innovative, competitive. Secondo Draghi, serve un “piano di coesione sociale” e di sviluppo economico. La sfida non solo per il nuovo governo ma soprattutto per l’Italia.

“Istruzione e capitale umano: saranno i giovani il vero partito di Draghi”, ha notato giustamente Alberto Orioli su “Il Sole24Ore” (6 febbraio). “Il capitale umano da tutelare: giovani, donne, formazione”, ha precisato Ferruccio de Bortoli sul “Corriere della Sera”, parlando di priorità programmatiche (7 febbraio). “Il futuro dei giovani”, ha raccomandato Elsa Fornero, contro “i divari geografici, generazionali e di genere, la scarsa mobilità sociale, l’insufficiente valorizzazione dell’istruzione, della formazione professionale e della ricerca, lo scarso riconoscimento del merito”.

Chi ha avuto l’accortezza e la pazienza di rileggere i discorsi e gli interventi pubblici di Mario Draghi, da Governatore della Banca d’Italia, poi da presidente della Bce e, in tempi recenti, dismessa ogni carica da civil servant, da cittadino sensibile ai nodi sociali e alle necessità di adeguate risposte politiche, ha trovato riferimenti chiari su cui riflettere, con la consapevolezza che ce li ritroveremo nei programmi di governo.

“I giovani – aveva detto in un discorso del settembre 2017 al Trinity College di Dublino – non vogliono vivere di sussidi. Vogliono lavorare e accrescere le opportunità della loro vita”. E l’impegno di chi governa è fare fronte, responsabilmente “a un’eredità di speranze deluse, rabbia e, in definitiva, sfiducia nei valori della nostra società e nell’identità della democrazia”. Fiducia da ricostruire, senza “alimentare false speranze” ma con indicazioni e scelte per speranze concrete”. Torniamo così al Recovery Fund e agli impegni di governo in linea con l’Europa.

La scuola, di queste speranze, è cardine. Nel blog della scorsa settimana abbiamo parlato della “povertà educativa” che pesa sull’Italia (13 milioni di persone che hanno al massimo la licenza di scuola media inferiore; un drammatico analfabetismo funzionale, un numero di laureati che ci mette agli ultimi posti in Europa: il 19,6% appena, contro una media europea del 33,2%) e di una scuola trascurata da anni di disattenzione politica e di scelte sbagliate, con gravi cadute corporative e una colpevole disattenzione per la qualità dell’insegnamento. Oggi il nodo si ripropone con evidenza ancora maggiore. E tutta la questione della formazione, lungo l’intero arco della vita di una persona, è tra gli obiettivi fondamentali per la ripresa e per la costruzione di una società più equilibrata, giusta, messa al riparo da rabbie, frustrazioni, rancori.

Serve una spesa pubblica di qualità. L’uso lungimirante di quel “debito buono” caro a Draghi. E l’affermazione politica che sia proprio la conoscenza la leva fondamentale per uscire dalla crisi. Tutto il contrario delle retoriche populiste, della propaganda dei sussidi, dei bonus per soddisfare richieste immediate, compromettendo però il futuro delle nuove generazioni.

Nelle scelte su giovani, formazione e lavoro, c’è un altro tema che sta a cuore a Draghi: quello delle donne. Aumentando il loro tasso di occupazione (appena il 48,5%, contro il 62, 4% della media europea), facendo di tutto per sanare i divari di stipendio, carriera, responsabilità e dunque dando al Paese l’opportunità di godere pienamente di uno straordinario capitale umano e sociale, ricco di intelligenza, competenza, passione, volontà di crescita.

Draghi conosce bene il peso di quattro donne al cui impegno si devono alcuni dei migliori risultati per l’economia e le società occidentali: Angela Merkel, Ursula von der Leyen, Christine Lagard e Janet Yellen, a lungo presidente della Federal Reserve prima di diventare Segretario al Tesoro nel governo Usa del presidente Biden. Anche di questa idea del mondo e delle capacità femminili troveremo tracce nel nuovo governo italiano. E saranno uno stimolo fondamentale per la crescita di milioni di giovani donne italiane.

Ancora Draghi: “Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”. E dunque “la scuola è la prima spesa produttiva su cui investire”.

Non sono, naturalmente, parole da proclama (ne abbiamo viste fin troppe, peraltro, nel corso degli anni recenti). Ma indicazioni politiche. Che Draghi sa bene quanto e come vadano tradotte in scelte di governo, leggi, provvedimenti, misure rapide e concrete di attuazione.

L’orizzonte politico-culturale di riferimento è, come sappiano, definito dai valori democratici liberali dell’Europa. E il pensiero è quello di un vero riformista. Torna alla mente la lezione del suo maestro Federico Caffè: “Il riformista preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione del ‘sistema’”.

Nella stagione dell’economia della conoscenza e della competizione internazionale basata su qualità e innovazione, la risorsa fondamentale su cui insistere sono le persone, il “capitale umano” di un paese che ha grande cura anche del suo “capitale sociale”, le relazioni positive fra i valori di una comunità aperta, la responsabilità civile, l’intraprendenza, l’impegno per i beni comuni, la solidarietà. Un nuovo, ambizioso orizzonte politico e culturale. Mario Draghi, incaricato di formare un nuovo governo per tirarci fuori dalla crisi tra pandemia e recessione, lo sa bene, come dimostrano le cose scritte e fatte nel corso degli anni, con intelligenza, lungimiranza, capacità di fare. Ha chiaro, per esempio, che il Recovery Fund, ha un obiettivo prioritario, verso cui muoversi con rapidità ed efficacia: la Next Generation, i nostri figli e nipoti, per i quali costruire condizioni migliori di sviluppo sostenibile. E i due valori di fondo cui inspirare le scelte di investimento, green economy e digital economy, sono assolutamente coerenti con questa prospettiva.

Riforme, dunque, per spendere bene i 209 miliardi: pubblica amministrazione, fisco, giustizia, scuola, lavoro, welfare. E investimenti sulle infrastrutture, tecnologiche e materiali, in linea con le strategie di sviluppo sostenibile. Né sussidi né protezioni settoriali, dunque. Semmai, iniziative per creare un ambiente favorevole alla crescita competitiva delle imprese, alla produttività. Una politica economica in cui, keynesianamente, lo Stato incide sui processi che migliorano le condizioni economiche generali e la qualità della vita delle persone e stimola le imprese private perché siano creative, innovative, competitive. Secondo Draghi, serve un “piano di coesione sociale” e di sviluppo economico. La sfida non solo per il nuovo governo ma soprattutto per l’Italia.

“Istruzione e capitale umano: saranno i giovani il vero partito di Draghi”, ha notato giustamente Alberto Orioli su “Il Sole24Ore” (6 febbraio). “Il capitale umano da tutelare: giovani, donne, formazione”, ha precisato Ferruccio de Bortoli sul “Corriere della Sera”, parlando di priorità programmatiche (7 febbraio). “Il futuro dei giovani”, ha raccomandato Elsa Fornero, contro “i divari geografici, generazionali e di genere, la scarsa mobilità sociale, l’insufficiente valorizzazione dell’istruzione, della formazione professionale e della ricerca, lo scarso riconoscimento del merito”.

Chi ha avuto l’accortezza e la pazienza di rileggere i discorsi e gli interventi pubblici di Mario Draghi, da Governatore della Banca d’Italia, poi da presidente della Bce e, in tempi recenti, dismessa ogni carica da civil servant, da cittadino sensibile ai nodi sociali e alle necessità di adeguate risposte politiche, ha trovato riferimenti chiari su cui riflettere, con la consapevolezza che ce li ritroveremo nei programmi di governo.

“I giovani – aveva detto in un discorso del settembre 2017 al Trinity College di Dublino – non vogliono vivere di sussidi. Vogliono lavorare e accrescere le opportunità della loro vita”. E l’impegno di chi governa è fare fronte, responsabilmente “a un’eredità di speranze deluse, rabbia e, in definitiva, sfiducia nei valori della nostra società e nell’identità della democrazia”. Fiducia da ricostruire, senza “alimentare false speranze” ma con indicazioni e scelte per speranze concrete”. Torniamo così al Recovery Fund e agli impegni di governo in linea con l’Europa.

La scuola, di queste speranze, è cardine. Nel blog della scorsa settimana abbiamo parlato della “povertà educativa” che pesa sull’Italia (13 milioni di persone che hanno al massimo la licenza di scuola media inferiore; un drammatico analfabetismo funzionale, un numero di laureati che ci mette agli ultimi posti in Europa: il 19,6% appena, contro una media europea del 33,2%) e di una scuola trascurata da anni di disattenzione politica e di scelte sbagliate, con gravi cadute corporative e una colpevole disattenzione per la qualità dell’insegnamento. Oggi il nodo si ripropone con evidenza ancora maggiore. E tutta la questione della formazione, lungo l’intero arco della vita di una persona, è tra gli obiettivi fondamentali per la ripresa e per la costruzione di una società più equilibrata, giusta, messa al riparo da rabbie, frustrazioni, rancori.

Serve una spesa pubblica di qualità. L’uso lungimirante di quel “debito buono” caro a Draghi. E l’affermazione politica che sia proprio la conoscenza la leva fondamentale per uscire dalla crisi. Tutto il contrario delle retoriche populiste, della propaganda dei sussidi, dei bonus per soddisfare richieste immediate, compromettendo però il futuro delle nuove generazioni.

Nelle scelte su giovani, formazione e lavoro, c’è un altro tema che sta a cuore a Draghi: quello delle donne. Aumentando il loro tasso di occupazione (appena il 48,5%, contro il 62, 4% della media europea), facendo di tutto per sanare i divari di stipendio, carriera, responsabilità e dunque dando al Paese l’opportunità di godere pienamente di uno straordinario capitale umano e sociale, ricco di intelligenza, competenza, passione, volontà di crescita.

Draghi conosce bene il peso di quattro donne al cui impegno si devono alcuni dei migliori risultati per l’economia e le società occidentali: Angela Merkel, Ursula von der Leyen, Christine Lagard e Janet Yellen, a lungo presidente della Federal Reserve prima di diventare Segretario al Tesoro nel governo Usa del presidente Biden. Anche di questa idea del mondo e delle capacità femminili troveremo tracce nel nuovo governo italiano. E saranno uno stimolo fondamentale per la crescita di milioni di giovani donne italiane.

Ancora Draghi: “Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”. E dunque “la scuola è la prima spesa produttiva su cui investire”.

Non sono, naturalmente, parole da proclama (ne abbiamo viste fin troppe, peraltro, nel corso degli anni recenti). Ma indicazioni politiche. Che Draghi sa bene quanto e come vadano tradotte in scelte di governo, leggi, provvedimenti, misure rapide e concrete di attuazione.

L’orizzonte politico-culturale di riferimento è, come sappiano, definito dai valori democratici liberali dell’Europa. E il pensiero è quello di un vero riformista. Torna alla mente la lezione del suo maestro Federico Caffè: “Il riformista preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione del ‘sistema’”.

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