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L’importanza delle donne “stem” e la riscoperta d’una pioniera della fisica: “la tigre di Noto”

“Perché l’aria sconfinava nel cosmo? Cos’era che ci guidava verso l’eterno? Dove, dove correvano le stelle? Quando entrai in aula e presi posto, gli interrogativi pressavano, ghermivano l’aria, svolavano sulle teste degli studenti. Il professore entrò, salutò, ci contò velocemente. Si soffermò su di me e sorrise. Ero l’unica donna”.

Facoltà di matematica dell’università “La Sapienza” di Roma. Autunno 1915. Lei è Anna Maria Ciccone, curiosa, intraprendente, decisa a non seguire le sorti delle ragazze di buona famiglia siciliana (era nata a Noto nel 1891): un matrimonio di rango, i figli, le cure della casa, la scansione benestante e noiosa del tempo della provincia antica. Ha una passione per la scienza, la luce, le stelle. Vuole studiare, capire, fare ricerca, insegnare. E così, contro il parere dei genitori, lascia la Sicilia, comincia a studiare matematica a Roma e subito vince un concorso per essere ammessa alla Normale di Pisa. Affascinata dalle idee allora rivoluzionarie di Einstein, si fa notare tra i suoi pochi sostenitori. E poi, da Pisa alla Germania e poi ancora a Pisa, cercando sempre “un piccolo bagliore di conosvcenza”…

La sua storia è raccontata da Simona Lo Iacono, scrittrice di sicuro e affascinante talento, nelle pagine di “La tigre di Noto”, per l’editore Neri Pozza. La solida inclinazione alla ricerca scientifica. E la passione civile con un forte senso di responsabilità morale (che la porta a opporsi alle razzie antisemite dei nazisti e a salvare 5mila preziosi volumi di cultura ebraica). Il piacere per le nuove idee che, attraverso la relatività e la fisica quantistica, stanno cambiando il mondo. E una vocazione affettuosa e severa per l’insegnamento. Ha insegnato Fisica sperimentale a Pisa, ha fatto ricerca al Laboratorio di  fisica atomica e nucleare del Collège de France, s’è abilitata in due concorsi per professore ordinario. Ma “non le venne mai assegnata alcuna cattedra perché donna”.

Vale la pena rileggerla, questa storia rimasta a lungo sconosciuta, proprio mentre cresce, anche nell’opinione pubblica italiana, la sensibilità per una maggiore presenza delle donne nel mondo della scienza e, più in generale, in quello che viene definito come “il mondo Stem”, costruendo un acronimo con le iniziali di Science, Technology, Engineering e Mathematics. Anna Maria Ciccone, Marianna per gli amici e i colleghi, è stata infatti una “donna Stem” pioniera, una protagonista esemplare di quanto siano essenziali, proprio per la ricerca e la scienza, le presenze femminili di qualità. E di che peso siano, per la ricerca e l’innovazione, gli sguardi originali e curiosi, la capacità di sorprendersi e di fare domande, le attitudini della “intelligenza del cuore” legate alla severità delle indagini razionali.

“Modelli da seguire. 50 donne vincenti tra Tech e Scienza: ragazze, fate come noi”, ha titolato nei giorni scorsi il “CorrierEconomia” (6 settembre) per un articolo sui risultati di una ricerca di “Inspiring Fifty”, un’iniziativa lanciata nel 2015 da due imprenditrici digitali olandesi, Janneke Niessen e Joelle Frijters, pèr valorizzare il ruolo femminile nel mondo dell’impresa ad alta tecnologia e della scienza e per stimolare le nuove generazioni di bambine e ragazze a impegnarsi nei settori scientifici.

“Promuovere il dibattito sul valore della formazione Stem e il ruolo delle donne nell’innovazione tecnologica è un dovere della società”, sostiene Marilù Capparelli, direttrice degli Affari legali di Google, una delle 50 “Inspiring Fifty” italiane. Tra le altre, ci sono Anna Grasselini (direttrice del National Quantum Information Science Research Center di Chicago) e Barbara Mazzolini (direttrice associata dell’Istituto italiano di Tecnologia di Genova), Diana Bracco (presidente e amministratrice delegata dell’ononimo gruppo farmaceutico) e Nunzia Ciardi (direttrice della Polizia Postale), Luisa Lavagnini (direttrice Ricerca e Innovazione tecnologica dell’Eni e Nicoletta Mastropietro (Chief Infornation Officer di Leonardo), insieme a tante altre donne che lavorano in Italia, ma anche negli altri paesi europei e negli Usa. Tutte con uno sguardo attento alle relazioni tra scienza, tecnologia e questioni ambientali e sociali: “Per risolvere le sfide ambientali del nostro secolo c’è bisogno di ingegneri, chimici, fisici. Ma ci servono anche più donne, perché la soluzione di questi problemi globali richiede diversità di idee, punti di vista e l’esperienza sia degli uyomini che delle donne”, sostiene Giovanna Ludisio, cofondatrice e Ceo di Naturbeads, una startup che lavora per cercare di eliminare il problema dell’inquinamento da microplastiche.

Futuro Stem come futuro con una evidente declinazione femminile, dunque.

Ma forse serve anche un’altra riflessione. Con un arricchimento dell’acronimo. Da Stem a Steam. Aggiungendo alle indispensabili conoscenze scientifiche la “a” di Arts, quell’insieme di saperi umanistici con cui costruire originali sintesi da “cultura politecnica” (un’espressione ricorrente nei nostri blog).

Proprio le nuove sfide tecnologiche, dalla sostenibilità alle inedite declinazioni dell’Intelligenza Artificiale chiedono sinergie tra conoscenze diverse (un’attitudine, paraltro, molto italiana e molto femminile). E nell’impegno a “imparare a imparare”, proprio quella “intelligenza del cuore” di cui abbiamo detto è indispensabile.

Vale la pena, dunque, ricordare un’indicazione sull’umanesimo industriale e soprattuto sull’umanesimo digitale di cui avevamo parlato nel blog della scorsa settimana, usando un giudizio di Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino: “E’ arrivato il tempo di introdurre quello che potremmo definire un umanesimo digitale, in cui archeologi, antropologi, architetti, storici, filosofi, neuroscienziati, psicologi lavorino fianco a fianco con chimici, fisici, esperti informatici, per arrivare alla definizione di una nuova semantica che ci permetta di capire ed elaborare la complessità della realtà”.

“Perché l’aria sconfinava nel cosmo? Cos’era che ci guidava verso l’eterno? Dove, dove correvano le stelle? Quando entrai in aula e presi posto, gli interrogativi pressavano, ghermivano l’aria, svolavano sulle teste degli studenti. Il professore entrò, salutò, ci contò velocemente. Si soffermò su di me e sorrise. Ero l’unica donna”.

Facoltà di matematica dell’università “La Sapienza” di Roma. Autunno 1915. Lei è Anna Maria Ciccone, curiosa, intraprendente, decisa a non seguire le sorti delle ragazze di buona famiglia siciliana (era nata a Noto nel 1891): un matrimonio di rango, i figli, le cure della casa, la scansione benestante e noiosa del tempo della provincia antica. Ha una passione per la scienza, la luce, le stelle. Vuole studiare, capire, fare ricerca, insegnare. E così, contro il parere dei genitori, lascia la Sicilia, comincia a studiare matematica a Roma e subito vince un concorso per essere ammessa alla Normale di Pisa. Affascinata dalle idee allora rivoluzionarie di Einstein, si fa notare tra i suoi pochi sostenitori. E poi, da Pisa alla Germania e poi ancora a Pisa, cercando sempre “un piccolo bagliore di conosvcenza”…

La sua storia è raccontata da Simona Lo Iacono, scrittrice di sicuro e affascinante talento, nelle pagine di “La tigre di Noto”, per l’editore Neri Pozza. La solida inclinazione alla ricerca scientifica. E la passione civile con un forte senso di responsabilità morale (che la porta a opporsi alle razzie antisemite dei nazisti e a salvare 5mila preziosi volumi di cultura ebraica). Il piacere per le nuove idee che, attraverso la relatività e la fisica quantistica, stanno cambiando il mondo. E una vocazione affettuosa e severa per l’insegnamento. Ha insegnato Fisica sperimentale a Pisa, ha fatto ricerca al Laboratorio di  fisica atomica e nucleare del Collège de France, s’è abilitata in due concorsi per professore ordinario. Ma “non le venne mai assegnata alcuna cattedra perché donna”.

Vale la pena rileggerla, questa storia rimasta a lungo sconosciuta, proprio mentre cresce, anche nell’opinione pubblica italiana, la sensibilità per una maggiore presenza delle donne nel mondo della scienza e, più in generale, in quello che viene definito come “il mondo Stem”, costruendo un acronimo con le iniziali di Science, Technology, Engineering e Mathematics. Anna Maria Ciccone, Marianna per gli amici e i colleghi, è stata infatti una “donna Stem” pioniera, una protagonista esemplare di quanto siano essenziali, proprio per la ricerca e la scienza, le presenze femminili di qualità. E di che peso siano, per la ricerca e l’innovazione, gli sguardi originali e curiosi, la capacità di sorprendersi e di fare domande, le attitudini della “intelligenza del cuore” legate alla severità delle indagini razionali.

“Modelli da seguire. 50 donne vincenti tra Tech e Scienza: ragazze, fate come noi”, ha titolato nei giorni scorsi il “CorrierEconomia” (6 settembre) per un articolo sui risultati di una ricerca di “Inspiring Fifty”, un’iniziativa lanciata nel 2015 da due imprenditrici digitali olandesi, Janneke Niessen e Joelle Frijters, pèr valorizzare il ruolo femminile nel mondo dell’impresa ad alta tecnologia e della scienza e per stimolare le nuove generazioni di bambine e ragazze a impegnarsi nei settori scientifici.

“Promuovere il dibattito sul valore della formazione Stem e il ruolo delle donne nell’innovazione tecnologica è un dovere della società”, sostiene Marilù Capparelli, direttrice degli Affari legali di Google, una delle 50 “Inspiring Fifty” italiane. Tra le altre, ci sono Anna Grasselini (direttrice del National Quantum Information Science Research Center di Chicago) e Barbara Mazzolini (direttrice associata dell’Istituto italiano di Tecnologia di Genova), Diana Bracco (presidente e amministratrice delegata dell’ononimo gruppo farmaceutico) e Nunzia Ciardi (direttrice della Polizia Postale), Luisa Lavagnini (direttrice Ricerca e Innovazione tecnologica dell’Eni e Nicoletta Mastropietro (Chief Infornation Officer di Leonardo), insieme a tante altre donne che lavorano in Italia, ma anche negli altri paesi europei e negli Usa. Tutte con uno sguardo attento alle relazioni tra scienza, tecnologia e questioni ambientali e sociali: “Per risolvere le sfide ambientali del nostro secolo c’è bisogno di ingegneri, chimici, fisici. Ma ci servono anche più donne, perché la soluzione di questi problemi globali richiede diversità di idee, punti di vista e l’esperienza sia degli uyomini che delle donne”, sostiene Giovanna Ludisio, cofondatrice e Ceo di Naturbeads, una startup che lavora per cercare di eliminare il problema dell’inquinamento da microplastiche.

Futuro Stem come futuro con una evidente declinazione femminile, dunque.

Ma forse serve anche un’altra riflessione. Con un arricchimento dell’acronimo. Da Stem a Steam. Aggiungendo alle indispensabili conoscenze scientifiche la “a” di Arts, quell’insieme di saperi umanistici con cui costruire originali sintesi da “cultura politecnica” (un’espressione ricorrente nei nostri blog).

Proprio le nuove sfide tecnologiche, dalla sostenibilità alle inedite declinazioni dell’Intelligenza Artificiale chiedono sinergie tra conoscenze diverse (un’attitudine, paraltro, molto italiana e molto femminile). E nell’impegno a “imparare a imparare”, proprio quella “intelligenza del cuore” di cui abbiamo detto è indispensabile.

Vale la pena, dunque, ricordare un’indicazione sull’umanesimo industriale e soprattuto sull’umanesimo digitale di cui avevamo parlato nel blog della scorsa settimana, usando un giudizio di Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino: “E’ arrivato il tempo di introdurre quello che potremmo definire un umanesimo digitale, in cui archeologi, antropologi, architetti, storici, filosofi, neuroscienziati, psicologi lavorino fianco a fianco con chimici, fisici, esperti informatici, per arrivare alla definizione di una nuova semantica che ci permetta di capire ed elaborare la complessità della realtà”.

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