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Luoghi d’impresa

Una raccolta di racconti-reportages descrive il passato e il presente di alcuni spazi industriali italiani

Il presente che si nutre anche del passato e che, anzi, di questo fa buona scorta per guardare al futuro. E luoghi – fabbriche, uffici, spazi -, che sono stati un tempo vivi e che oggi lo sono ancora, ma in altro modo. La cultura industriale italiana che voglia davvero dirsi tale, deve rifarsi anche a questo. Senza rimpianti e senza nostalgie, ma con grande obiettività (e forse un pizzico di riconoscenza). E’ questa una delle possibili chiavi di lettura di “Le fabbriche che costruirono l’Italia”, bellissimo libro di Giuseppe Lupo, nato dalla raccolta di una serie di reportages nati in giro per il Paese a raccontare, come dice lo stesso titolo, le fabbriche che hanno dato vita alla società italiana di oggi.

Il viaggio letterario di Lupo –  viaggio anche reale perché condotto tra il luglio e il settembre del 2019 -, propone, attraverso il racconto di alcuni luoghi simbolici, un’idea di modernità vissuta che non può essere dimenticata. L’autore racconta, in capitoli brevi e leggibilissimi tutti, i luoghi dell’industria a Settimo Torinese, Genova, Arese, Rescaldina, Sesto San Giovanni, Bagnoli, Pozzuoli, Torviscosa, Porto Marghera, Ivrea, Terni, Valdagno, Torino. Ogni luogo corrisponde ad un nome d’impresa che ha fatto la storia industriale nazionale e che, molto spesso, è ancora sulla ribalta dell’economia. Lupo racconta così di fabbriche ancora in funzione e altre dismesse, descrive autogrill, villaggi operai, strutture urbanistiche, aree abbandonate. E lo fa affidandosi a due strumenti insostituibili: ciò che vede e ciò che la cultura del Novecento ha prodotto. Tutto arricchito da una sensibilità raffinata che non cede nulla alla retorica.

Ne deriva una lettura che solo in apparenza è facile, ma che in realtà tocca temi complessi e difficili, che punta il dito contro le “dimenticanze” di molti e ricorda, di contro, la necessità di non perdere una storia che è utile ancora oggi a tutti. Lupo, così, recupera non solo dimensioni fisiche, economiche e produttive, ma anche, come lui stesso scrive, una “dimensione morale” che non può essere in alcun modo persa. Ne emerge l’identità di un’Italia che è stata capace in breve tempo di farsi moderna.

Lupo scrive bene e si fa leggere: scrive da giornalista vero, capace di farsi capire, e da letterato autentico, capace di trasmettere il senso profondo di luoghi di vita pressoché unici. Tutto da leggere.

 

 

Le fabbriche che costruirono l’Italia

Giuseppe Lupo

Il Sole 24 Ore, 2020

Una raccolta di racconti-reportages descrive il passato e il presente di alcuni spazi industriali italiani

Il presente che si nutre anche del passato e che, anzi, di questo fa buona scorta per guardare al futuro. E luoghi – fabbriche, uffici, spazi -, che sono stati un tempo vivi e che oggi lo sono ancora, ma in altro modo. La cultura industriale italiana che voglia davvero dirsi tale, deve rifarsi anche a questo. Senza rimpianti e senza nostalgie, ma con grande obiettività (e forse un pizzico di riconoscenza). E’ questa una delle possibili chiavi di lettura di “Le fabbriche che costruirono l’Italia”, bellissimo libro di Giuseppe Lupo, nato dalla raccolta di una serie di reportages nati in giro per il Paese a raccontare, come dice lo stesso titolo, le fabbriche che hanno dato vita alla società italiana di oggi.

Il viaggio letterario di Lupo –  viaggio anche reale perché condotto tra il luglio e il settembre del 2019 -, propone, attraverso il racconto di alcuni luoghi simbolici, un’idea di modernità vissuta che non può essere dimenticata. L’autore racconta, in capitoli brevi e leggibilissimi tutti, i luoghi dell’industria a Settimo Torinese, Genova, Arese, Rescaldina, Sesto San Giovanni, Bagnoli, Pozzuoli, Torviscosa, Porto Marghera, Ivrea, Terni, Valdagno, Torino. Ogni luogo corrisponde ad un nome d’impresa che ha fatto la storia industriale nazionale e che, molto spesso, è ancora sulla ribalta dell’economia. Lupo racconta così di fabbriche ancora in funzione e altre dismesse, descrive autogrill, villaggi operai, strutture urbanistiche, aree abbandonate. E lo fa affidandosi a due strumenti insostituibili: ciò che vede e ciò che la cultura del Novecento ha prodotto. Tutto arricchito da una sensibilità raffinata che non cede nulla alla retorica.

Ne deriva una lettura che solo in apparenza è facile, ma che in realtà tocca temi complessi e difficili, che punta il dito contro le “dimenticanze” di molti e ricorda, di contro, la necessità di non perdere una storia che è utile ancora oggi a tutti. Lupo, così, recupera non solo dimensioni fisiche, economiche e produttive, ma anche, come lui stesso scrive, una “dimensione morale” che non può essere in alcun modo persa. Ne emerge l’identità di un’Italia che è stata capace in breve tempo di farsi moderna.

Lupo scrive bene e si fa leggere: scrive da giornalista vero, capace di farsi capire, e da letterato autentico, capace di trasmettere il senso profondo di luoghi di vita pressoché unici. Tutto da leggere.

 

 

Le fabbriche che costruirono l’Italia

Giuseppe Lupo

Il Sole 24 Ore, 2020

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