“Manifacturing the future”, dice McKinsey
“Manifacturing the future”, scrive il McKinsey Global Institute in una ricerca del novembre 2012. Rivalutare l’industria, dopo gli anni dell’ubriacatura per la finanza d’assalto, fonte della Grande Crisi. E costruire nuovi paradigmi di produzione, distribuzione e consumo, nella consapevolezza che il futuro, anche nei paesi di più antica industrializzazione, sta nell’impresa manifatturiera di qualità, socialmente e ambientalmente sostenibile. Una prospettiva chiara, per la cultura d’impresa Pirelli. E già evidenziata, nelle riflessioni periodiche di questo blog.
Manifattura, dunque, in primo piano, per una delle principali società di consulenza globali, qual è la Mckinsey. E rilanciata anche in quei paesi (gli Usa, la Gran Bretagna) che dagli anni Ottanta in poi avevano trascurato l’industria preferendo puntare sui cosiddetti “servizi innovativi”, a cominciare dalla finanza. Adesso, invece, si riparla di qualità del “fare, e fare bene”. Di cultura d’impresa del progetto e del prodotto. Forza tedesca, guardando all’Europa. Ed eccellenza italiana, sui cui prodotti, oltre che una crescente qualità manifatturiera (sicurezza, efficienza, funzionalità, sostenibilità, performances di alto livello), gioca positivamente anche il design, disegno industriale che dà forma estetica al prodotto, sia negli oggetti dell’abbigliamento e dell’arredamento, sia in quelli della chimica e della gomma (design d’alto livello, per esempio, il battistrada di un pneumatico) e negli stessi prodotti delle meccanica d’avanguardia, dall’”automotive” alle macchine ad elevata automazione.
Quella italiana è la seconda manifattura europea, dopo la Germania. E quinta al mondo, anche se insidiata da vicino da paesi particolarmente dinamici, come il Brasile, la Turchia, la Corea del Sud. Vanno valutati positivamente i dati della Fondazione Edison che parlano (dati 2011) di 1200 prodotti in cui l’Italia esportatrice batte la Germania. Se si eccettuano dal calcolo della bilancia commerciale i prodotti petroliferi e quelli alimentari e ci si concentra invece sui prodotti manifatturieri non alimentari, secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, si scopre che l’Italia è uno dei 5 paesi del G20 (con Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus strutturale con l’estero dei manifatti. E, per una serie di attività, migliore di quello tedesco.
Come difendere un primato del genere, in una competizione globale sempre più selettiva? Come cioè rafforzare il contributo allo sviluppo che viene dalla migliore industria manifatturiera? E’ necessaria una “politica industriale” che stimoli ricerca, innovazione, crescita dimensionale delle imprese, tendenze alla internazionalizzazione, nella doppia dimensione dell’export e degli investimenti diretti sui mercati più dinamici, dall’Asia all’America Latina. “Un’agenda per la manifattura”, sostiene la Fondazione Edison, anche attraverso una riduzione del cuneo fiscale con priorità per gli addetti all’industria. Serve insomma un piano di sostegno mirato alle 4A del “made in Italy” (industria agro-alimentare, abbigliamento e tessile, arredamento e automazione, l’industria meccanica d’avanguardia).
“Manifacturing the future”, scrive il McKinsey Global Institute in una ricerca del novembre 2012. Rivalutare l’industria, dopo gli anni dell’ubriacatura per la finanza d’assalto, fonte della Grande Crisi. E costruire nuovi paradigmi di produzione, distribuzione e consumo, nella consapevolezza che il futuro, anche nei paesi di più antica industrializzazione, sta nell’impresa manifatturiera di qualità, socialmente e ambientalmente sostenibile. Una prospettiva chiara, per la cultura d’impresa Pirelli. E già evidenziata, nelle riflessioni periodiche di questo blog.
Manifattura, dunque, in primo piano, per una delle principali società di consulenza globali, qual è la Mckinsey. E rilanciata anche in quei paesi (gli Usa, la Gran Bretagna) che dagli anni Ottanta in poi avevano trascurato l’industria preferendo puntare sui cosiddetti “servizi innovativi”, a cominciare dalla finanza. Adesso, invece, si riparla di qualità del “fare, e fare bene”. Di cultura d’impresa del progetto e del prodotto. Forza tedesca, guardando all’Europa. Ed eccellenza italiana, sui cui prodotti, oltre che una crescente qualità manifatturiera (sicurezza, efficienza, funzionalità, sostenibilità, performances di alto livello), gioca positivamente anche il design, disegno industriale che dà forma estetica al prodotto, sia negli oggetti dell’abbigliamento e dell’arredamento, sia in quelli della chimica e della gomma (design d’alto livello, per esempio, il battistrada di un pneumatico) e negli stessi prodotti delle meccanica d’avanguardia, dall’”automotive” alle macchine ad elevata automazione.
Quella italiana è la seconda manifattura europea, dopo la Germania. E quinta al mondo, anche se insidiata da vicino da paesi particolarmente dinamici, come il Brasile, la Turchia, la Corea del Sud. Vanno valutati positivamente i dati della Fondazione Edison che parlano (dati 2011) di 1200 prodotti in cui l’Italia esportatrice batte la Germania. Se si eccettuano dal calcolo della bilancia commerciale i prodotti petroliferi e quelli alimentari e ci si concentra invece sui prodotti manifatturieri non alimentari, secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, si scopre che l’Italia è uno dei 5 paesi del G20 (con Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus strutturale con l’estero dei manifatti. E, per una serie di attività, migliore di quello tedesco.
Come difendere un primato del genere, in una competizione globale sempre più selettiva? Come cioè rafforzare il contributo allo sviluppo che viene dalla migliore industria manifatturiera? E’ necessaria una “politica industriale” che stimoli ricerca, innovazione, crescita dimensionale delle imprese, tendenze alla internazionalizzazione, nella doppia dimensione dell’export e degli investimenti diretti sui mercati più dinamici, dall’Asia all’America Latina. “Un’agenda per la manifattura”, sostiene la Fondazione Edison, anche attraverso una riduzione del cuneo fiscale con priorità per gli addetti all’industria. Serve insomma un piano di sostegno mirato alle 4A del “made in Italy” (industria agro-alimentare, abbigliamento e tessile, arredamento e automazione, l’industria meccanica d’avanguardia).