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Meno classico, più politecnico, la formazione guarda all’impresa

Crollano le iscrizioni nei licei classici (dal 10,2% del 2007 al 6,1% di quest’anno, media nazionale con forti squilibri regionali, come testimoniano il 4% in Lombardia e il 9,7% nel Lazio e l’8,6% in Sicilia). Aumentano i giovani che vogliono frequentare un Politecnico. Buone notizie? Nel mondo delle imprese c’è chi esulta: si va verso la consapevolezza di una formazione più utile a trovare lavoro, si comincia a colmare un gap educativo tra l’Italia e gli altri grandi paesi industriali dell’area Ocse: abbiamo una decente cultura umanistica ma una scarsa cultura scientifica. Tema essenziale, su cui discutere. Senza schematismi, però. Né corrive tendenze utilitaristiche.

Cominciamo da alcuni dati, per esempio dai punteggi Pisa (Program for international student assessment), da un test standardizzato di matematica e scienze proposto a quindicenni di 70 paesi, rivelatore della qualità dell’insegnamento e della formazione scolastica in matematica e in scienze (due degli elementi chiave dell’innovazione). I punteggi in Italia sono 483 per matematica e 489 per scienze, molto bassi rispetto a 513 e 520 in Germania. La Cina con Shanghai, la prima classificata, ha 600 per matematica e 575 per scienze, la seconda, la Finlandia, 541 e 554. E in Europa anche Gran Bretagna, Francia, Olanda, Svizzera, Slovenia, Polonia, Irlanda e Belgio stanno meglio di noi, peggio solo Spagna e Grecia. Gli studenti italiani, in sintesi, hanno limitata, inadeguata dimestichezza con la cultura scientifica. E tutto ciò incide sulla competitività del sistema Paese, ma anche su altre dimensioni chiave della vita civile. Viviamo in un mondo in cui le competenze scientifiche sono necessarie per avere un’opinione appena ben informata su temi che incidono sulla salute, sull’equilibrio personale e sociale, sul futuro, come l’ambiente e l’energia, le biotecnologie e la medicina più innovativa. E non avere strumenti di comprensione e di giudizio critico condiziona la nostra quotidianità, la stessa qualità della democrazia. Più scienza, dunque, per la formazione. E per uno sviluppo economico e sociale equilibrato.

Ne sembrano consapevoli i giovani e le loro famiglie, come dimostrano le 9.500 domande per i test di ammissione per Ingegneria al Politecnico di Milano (erano meno di 6mila, nell’autunno 2010), cui vanno aggiunte le 3.000 domande per Architettura e le 2.500 per il design. A Ingegneria i posti disponibili sono poco più di 5mila. E i ragazzi che cominciano quel corso di studi sanno che avranno quasi certamente, subito dopo la laurea, un buon lavoro: l’indagine Excelsior-UnionCamere testimonia che le imprese hanno difficoltà a coprire il 12% delle professionalità richieste, a cominciare soprattutto dagli ingegneri.

Lauree utili, dunque. Un buon passo avanti (accompagnato da una pur cauta rivalutazione degli istituti tecnici e professionali). Ma si può essere soddisfatti dell’addio crescente agli studi classici? Tutt’altro. Perché proprio dal punto di vista di una buona cultura d’imprese, oltre che tecnici con una robusta formazione scientifica, servono imprenditori e manager con una formazione culturale in grado di affrontare con intelligenza e flessibilità le sfide poste dalla complessità contemporanea, sui piani dell’uso e degli effetti delle tecnologie, dell’impatto ambientale dei processi produttivi, dell’evoluzione dei mercati, della gestione della mano d’opera (persone, non “numeri”, soprattutto quando il primo fattore di competitività è legato alla qualità del capitale umano). L’ideale? Un ingegnere di solida formazione classica, che abbia letto e capito Platone e Pascal, Cartesio e Kant, Weber e Berlin, mostri dimestichezza con la letteratura e il teatro, costruisca e gestisca originali sintesi culturali. Testimonia Corrado Passera, buoni studi economici in Bocconi, una carriera di successo tra industria, finanza e, di recente, politica: “Greco, latino, letteratura, filosofia, storia: aiutano a sviluppare spirito critico, sempre più necessario vista la quantità enorme di informazioni e posizioni opposte, da cui siamo bombardati, insegnano a gestire la complessità”. Sofisticata e solida cultura d’impresa, appunto.

Crollano le iscrizioni nei licei classici (dal 10,2% del 2007 al 6,1% di quest’anno, media nazionale con forti squilibri regionali, come testimoniano il 4% in Lombardia e il 9,7% nel Lazio e l’8,6% in Sicilia). Aumentano i giovani che vogliono frequentare un Politecnico. Buone notizie? Nel mondo delle imprese c’è chi esulta: si va verso la consapevolezza di una formazione più utile a trovare lavoro, si comincia a colmare un gap educativo tra l’Italia e gli altri grandi paesi industriali dell’area Ocse: abbiamo una decente cultura umanistica ma una scarsa cultura scientifica. Tema essenziale, su cui discutere. Senza schematismi, però. Né corrive tendenze utilitaristiche.

Cominciamo da alcuni dati, per esempio dai punteggi Pisa (Program for international student assessment), da un test standardizzato di matematica e scienze proposto a quindicenni di 70 paesi, rivelatore della qualità dell’insegnamento e della formazione scolastica in matematica e in scienze (due degli elementi chiave dell’innovazione). I punteggi in Italia sono 483 per matematica e 489 per scienze, molto bassi rispetto a 513 e 520 in Germania. La Cina con Shanghai, la prima classificata, ha 600 per matematica e 575 per scienze, la seconda, la Finlandia, 541 e 554. E in Europa anche Gran Bretagna, Francia, Olanda, Svizzera, Slovenia, Polonia, Irlanda e Belgio stanno meglio di noi, peggio solo Spagna e Grecia. Gli studenti italiani, in sintesi, hanno limitata, inadeguata dimestichezza con la cultura scientifica. E tutto ciò incide sulla competitività del sistema Paese, ma anche su altre dimensioni chiave della vita civile. Viviamo in un mondo in cui le competenze scientifiche sono necessarie per avere un’opinione appena ben informata su temi che incidono sulla salute, sull’equilibrio personale e sociale, sul futuro, come l’ambiente e l’energia, le biotecnologie e la medicina più innovativa. E non avere strumenti di comprensione e di giudizio critico condiziona la nostra quotidianità, la stessa qualità della democrazia. Più scienza, dunque, per la formazione. E per uno sviluppo economico e sociale equilibrato.

Ne sembrano consapevoli i giovani e le loro famiglie, come dimostrano le 9.500 domande per i test di ammissione per Ingegneria al Politecnico di Milano (erano meno di 6mila, nell’autunno 2010), cui vanno aggiunte le 3.000 domande per Architettura e le 2.500 per il design. A Ingegneria i posti disponibili sono poco più di 5mila. E i ragazzi che cominciano quel corso di studi sanno che avranno quasi certamente, subito dopo la laurea, un buon lavoro: l’indagine Excelsior-UnionCamere testimonia che le imprese hanno difficoltà a coprire il 12% delle professionalità richieste, a cominciare soprattutto dagli ingegneri.

Lauree utili, dunque. Un buon passo avanti (accompagnato da una pur cauta rivalutazione degli istituti tecnici e professionali). Ma si può essere soddisfatti dell’addio crescente agli studi classici? Tutt’altro. Perché proprio dal punto di vista di una buona cultura d’imprese, oltre che tecnici con una robusta formazione scientifica, servono imprenditori e manager con una formazione culturale in grado di affrontare con intelligenza e flessibilità le sfide poste dalla complessità contemporanea, sui piani dell’uso e degli effetti delle tecnologie, dell’impatto ambientale dei processi produttivi, dell’evoluzione dei mercati, della gestione della mano d’opera (persone, non “numeri”, soprattutto quando il primo fattore di competitività è legato alla qualità del capitale umano). L’ideale? Un ingegnere di solida formazione classica, che abbia letto e capito Platone e Pascal, Cartesio e Kant, Weber e Berlin, mostri dimestichezza con la letteratura e il teatro, costruisca e gestisca originali sintesi culturali. Testimonia Corrado Passera, buoni studi economici in Bocconi, una carriera di successo tra industria, finanza e, di recente, politica: “Greco, latino, letteratura, filosofia, storia: aiutano a sviluppare spirito critico, sempre più necessario vista la quantità enorme di informazioni e posizioni opposte, da cui siamo bombardati, insegnano a gestire la complessità”. Sofisticata e solida cultura d’impresa, appunto.

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