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Milano tra successi della Design Week e timori per i nuovi disagi sociali

Eccola, la Design Week di Milano, per la 61° volta al suo tradizionale appuntamento di metà aprile, di anno in anno più affollata, dinamica, ricca di incontri e di affari. Eccola in scena, come il più importante appuntamento mondiale dell’arredamento, tra esposizioni al Salone del Mobile in Fiera ed eventi del Fuorisalone che coinvolgono oramai venti quartieri, dai “distretti” centrali di Brera e Tortona alle vivaci periferie ai margini di Lambrate.

Eccole, la sintesi originali tra “cultura del progetto” e “cultura del prodotto”, grazie a un dialogo che via via si intensifica e si qualifica tra antichi e nuovi protagonisti internazionali del design e imprese costruttrici che proprio in Lombardia e soprattutto a Milano e in Brianza vantano eccellenze produttive non solo nell’arredo, ma anche nella metalmeccanica: i mobili “alto di gamma” che colpiscono i pubblici più sofisticati di New York e Shanghai e le cerniere d’acciaio che ne consentono un perfetto e durevole funzionamento.

“Milano pigliatutto”, sintetizza “la Repubblica” (18 aprile), documentando come “eventi, esposizioni, personaggi, show room e aree coinvolte in città non sono mai state così numerose” come in questa Settimana del Design. Ecco, appunto, i numeri: 1.200 eventi, 1.962 espositori, 327mila visitatori attesi, il 65% dei quali stranieri, con una robusta presenza americana e cinese (erano 262mila lo scorso anno), un indotto generato sul territorio di 223,2 milioni di euro, il 37% in più della scorsa edizione (secondo stime della Confcommercio).

Milano attrattiva di talenti e business, dunque. Milano punto di riferimento di un settore tra i più competitivi del made in Italy. Ma anche Milano che, proprio nel vortice delle grandi manifestazioni, dall’arredamento alla moda, mostra non tanto al grande pubblico internazionale quanto soprattutto ai suoi abitanti alcune crepe che, dietro “le mille luci”, rivelano disagi e tensioni che fanno temere, nel medio-lungo periodo, una crisi del suo attuale modo di stare alla ribalta dell’economia e della società. Come sottolinea, in efficace sintesi, proprio il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Dario Di Vico sul Salone del Mobile (17 aprile): “Mentre si celebrano le virtù dell’attrattività, si fa largo il fantasma di una città che smarrisce la sua inclusività”.

Cerchiamo allora di capire meglio, nella consapevolezza che “il corso delle cose è sinuoso” (Maurice Merleau-Ponty) e che è caratteristica tipica delle metropoli più dinamiche crescere tra contrasti e contraddizioni, fratture e conflitti, rispetto ai quali tocca sia alla politica e alla pubblica amministrazione sia alla sensibilità sociale della società civile proporre e attuare riforme e rimedi che ne smussino incisivamente spigoli e ruvidità.

Guardiamo alcuni numeri, dunque, per ragionare con consapevolezza dei fenomeni. L’industria italiana  dell’arredo, con le sue 16mila imprese e oltre 125mila addetti, ha avuto nel ’22 un fatturato di 28,1 miliardi di euro, con una crescita dell’11% sull’anno precedente. E le previsioni della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo parlano di una crescita del settore, tra il 2019 (pre Covid, dunque) e il 2025 del 42,4%. Un progresso straordinario, di una realtà che vale il 3,4% della manifattura italiana ma connota fortemente l’immagine dell’Italia all’estero e contribuisce a rafforzare la percezione di qualità e affidabili di tutto il made in Italy.

Il 60% delle imprese italiane è concentrato soprattutto in Lombardia e poi in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Ma ci sono importanti presenze anche nel Sud, in Campania e in Puglia (il “distretto del salotto” ad Altamura, per esempio). E attorno all’industria girano oltre 20mila professionisti nel mondo della progettazione e dei servizi, con una forte spinta alla creatività sui prodotti, i materiali, le tante evoluzioni di una “qualità del vivere italiano” che trova riscontri positivi sempre più netti in tutto il mondo.

La conferma sta nelle pagine del Report “Design Economy” curato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e PoliDesign (con il supporto dell’Adi, l’Associazione del Design Industriale che promuove “Il Compasso d’Oro”, il massimo riconoscimento del settore) e che mostra come l’Italia sia prima in Europa per numero di aziende, fatturato e addetti, superando anche il principale concorrente, la Germania (“Il Sole24Ore”, 15 aprile).

Un primato europeo importante, costruito nel tempo e oggi fondato anche sulla sostenibilità ambientale e sociale delle imprese produttrici, nei distretti e nelle filiere, come leva fondamentale di competitività. Commenta Ermete Realacci, presidente di Symbola: “L’identificazione di un prodotto sostenibile come prodotto di qualità migliore è una molla formidabile dell’economia italiana. La transizione è una grande opportunità. Ma bisogna guardarla capendo i punti di forza del Paese. E proprio il design è uno di questi”.

Milano, che di questi processi è capitale, ne vive i vantaggi e ne alimenta lo sviluppo. Come una vera e propria global city forte della straordinaria capacità di ibridare cultura e manifattura, progettualità e qualità dei prodotti, tecnologie avanzate e senso della bellezza, ricerca scientifica e conoscenze umanistiche, consapevolezza della storia industriale e sguardo verso il futuro.

Milano solida. Milano attrattiva. Milano talentuosa e dinamica.

Ma anche, com’è nella sua tradizione, Milano ancora inclusiva?

Ecco il punto della riflessione critica che oramai da tempo occupa parte rilevante delle riflessioni di chi ha a cuore proprio il destino di Milano e dei suoi equilibri economici e sociali e che vede, con fondato allarme, l’esplodere del costo della vita, a cominciare da quello che riguarda la casa.

Il boom dei valori immobiliari, sia per gli acquisti che per gli affitti, rischia di allontanare dalla città i ceti medi, le giovani coppie di professionisti e creativi, gli studenti e i professori delle dieci università che fanno da motore della “economia della conoscenza” e da collante sociale.

E sono appunto i cosiddetti “grandi eventi” a incidere in modo distorto sul mercato delle abitazioni.

Un dato, per riflettere: le ricerche di alloggi su Airbnb tra luglio e dicembre 2022 sono cresciute del duemila per cento e in occasione del Salone del mobile il “prezzo di tendenza” di 181 euro a notte è raddoppiato o addirittura triplicato nei “distretti del design”, superando quota 500 euro (“Corriere della Sera”). In queste condizioni, cresce il fenomeno degli “affitti brevi” e altamente redditizi, si paralizza il mercato degli affitti regolari di lungo periodo. Milano diventa uno spazio urbano da city users saltuari e perde cittadini. Modifica le tradizioni di accoglienza. Si svuota dei valori di comunità. Nel tempo, rischia il deperimento sociale, il degrado civile.

Il fenomeno è oramai da tempo al centro del discorso pubblico milanese. Trova ascolto attento nelle stanze della pubblica amministrazione guidata dal sindaco Beppe Sala ma anche negli altri

Comuni dell’area metropolitana. Suscita riflessioni sui limiti da imporre per gli “affitti brevi” (Parigi ha preso da tempo misure nette di contenimento) e sulla necessità di politiche e scelte urbanistiche per il social housing. Con un obiettivo strategico chiaro: rivitalizzare nei tempi nuovi la tradizione milanese del legame forte tra produttività e inclusività, competitività economica internazionale e solidarietà sociale.

Milano, insomma, sostiene Dario Di Vico, “può riprendere in mano il suo destino, può pensare di gestire la sua evoluzione di città globale guardando in faccia ai problemi vecchi e a quelli nuovi che la modernità diseguale inevitabilmente crea, può riannodare i fili che si sono spezzati e rammendare i legami sociali laddove si sono scuciti. L’errore che non deve commettere chi può contribuire fattivamente a questo processo è girarsi dall’altra parte e pensare cinicamente che sia da preferire il pilota automatico”.

(foto Getty Images)

Eccola, la Design Week di Milano, per la 61° volta al suo tradizionale appuntamento di metà aprile, di anno in anno più affollata, dinamica, ricca di incontri e di affari. Eccola in scena, come il più importante appuntamento mondiale dell’arredamento, tra esposizioni al Salone del Mobile in Fiera ed eventi del Fuorisalone che coinvolgono oramai venti quartieri, dai “distretti” centrali di Brera e Tortona alle vivaci periferie ai margini di Lambrate.

Eccole, la sintesi originali tra “cultura del progetto” e “cultura del prodotto”, grazie a un dialogo che via via si intensifica e si qualifica tra antichi e nuovi protagonisti internazionali del design e imprese costruttrici che proprio in Lombardia e soprattutto a Milano e in Brianza vantano eccellenze produttive non solo nell’arredo, ma anche nella metalmeccanica: i mobili “alto di gamma” che colpiscono i pubblici più sofisticati di New York e Shanghai e le cerniere d’acciaio che ne consentono un perfetto e durevole funzionamento.

“Milano pigliatutto”, sintetizza “la Repubblica” (18 aprile), documentando come “eventi, esposizioni, personaggi, show room e aree coinvolte in città non sono mai state così numerose” come in questa Settimana del Design. Ecco, appunto, i numeri: 1.200 eventi, 1.962 espositori, 327mila visitatori attesi, il 65% dei quali stranieri, con una robusta presenza americana e cinese (erano 262mila lo scorso anno), un indotto generato sul territorio di 223,2 milioni di euro, il 37% in più della scorsa edizione (secondo stime della Confcommercio).

Milano attrattiva di talenti e business, dunque. Milano punto di riferimento di un settore tra i più competitivi del made in Italy. Ma anche Milano che, proprio nel vortice delle grandi manifestazioni, dall’arredamento alla moda, mostra non tanto al grande pubblico internazionale quanto soprattutto ai suoi abitanti alcune crepe che, dietro “le mille luci”, rivelano disagi e tensioni che fanno temere, nel medio-lungo periodo, una crisi del suo attuale modo di stare alla ribalta dell’economia e della società. Come sottolinea, in efficace sintesi, proprio il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Dario Di Vico sul Salone del Mobile (17 aprile): “Mentre si celebrano le virtù dell’attrattività, si fa largo il fantasma di una città che smarrisce la sua inclusività”.

Cerchiamo allora di capire meglio, nella consapevolezza che “il corso delle cose è sinuoso” (Maurice Merleau-Ponty) e che è caratteristica tipica delle metropoli più dinamiche crescere tra contrasti e contraddizioni, fratture e conflitti, rispetto ai quali tocca sia alla politica e alla pubblica amministrazione sia alla sensibilità sociale della società civile proporre e attuare riforme e rimedi che ne smussino incisivamente spigoli e ruvidità.

Guardiamo alcuni numeri, dunque, per ragionare con consapevolezza dei fenomeni. L’industria italiana  dell’arredo, con le sue 16mila imprese e oltre 125mila addetti, ha avuto nel ’22 un fatturato di 28,1 miliardi di euro, con una crescita dell’11% sull’anno precedente. E le previsioni della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo parlano di una crescita del settore, tra il 2019 (pre Covid, dunque) e il 2025 del 42,4%. Un progresso straordinario, di una realtà che vale il 3,4% della manifattura italiana ma connota fortemente l’immagine dell’Italia all’estero e contribuisce a rafforzare la percezione di qualità e affidabili di tutto il made in Italy.

Il 60% delle imprese italiane è concentrato soprattutto in Lombardia e poi in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Ma ci sono importanti presenze anche nel Sud, in Campania e in Puglia (il “distretto del salotto” ad Altamura, per esempio). E attorno all’industria girano oltre 20mila professionisti nel mondo della progettazione e dei servizi, con una forte spinta alla creatività sui prodotti, i materiali, le tante evoluzioni di una “qualità del vivere italiano” che trova riscontri positivi sempre più netti in tutto il mondo.

La conferma sta nelle pagine del Report “Design Economy” curato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e PoliDesign (con il supporto dell’Adi, l’Associazione del Design Industriale che promuove “Il Compasso d’Oro”, il massimo riconoscimento del settore) e che mostra come l’Italia sia prima in Europa per numero di aziende, fatturato e addetti, superando anche il principale concorrente, la Germania (“Il Sole24Ore”, 15 aprile).

Un primato europeo importante, costruito nel tempo e oggi fondato anche sulla sostenibilità ambientale e sociale delle imprese produttrici, nei distretti e nelle filiere, come leva fondamentale di competitività. Commenta Ermete Realacci, presidente di Symbola: “L’identificazione di un prodotto sostenibile come prodotto di qualità migliore è una molla formidabile dell’economia italiana. La transizione è una grande opportunità. Ma bisogna guardarla capendo i punti di forza del Paese. E proprio il design è uno di questi”.

Milano, che di questi processi è capitale, ne vive i vantaggi e ne alimenta lo sviluppo. Come una vera e propria global city forte della straordinaria capacità di ibridare cultura e manifattura, progettualità e qualità dei prodotti, tecnologie avanzate e senso della bellezza, ricerca scientifica e conoscenze umanistiche, consapevolezza della storia industriale e sguardo verso il futuro.

Milano solida. Milano attrattiva. Milano talentuosa e dinamica.

Ma anche, com’è nella sua tradizione, Milano ancora inclusiva?

Ecco il punto della riflessione critica che oramai da tempo occupa parte rilevante delle riflessioni di chi ha a cuore proprio il destino di Milano e dei suoi equilibri economici e sociali e che vede, con fondato allarme, l’esplodere del costo della vita, a cominciare da quello che riguarda la casa.

Il boom dei valori immobiliari, sia per gli acquisti che per gli affitti, rischia di allontanare dalla città i ceti medi, le giovani coppie di professionisti e creativi, gli studenti e i professori delle dieci università che fanno da motore della “economia della conoscenza” e da collante sociale.

E sono appunto i cosiddetti “grandi eventi” a incidere in modo distorto sul mercato delle abitazioni.

Un dato, per riflettere: le ricerche di alloggi su Airbnb tra luglio e dicembre 2022 sono cresciute del duemila per cento e in occasione del Salone del mobile il “prezzo di tendenza” di 181 euro a notte è raddoppiato o addirittura triplicato nei “distretti del design”, superando quota 500 euro (“Corriere della Sera”). In queste condizioni, cresce il fenomeno degli “affitti brevi” e altamente redditizi, si paralizza il mercato degli affitti regolari di lungo periodo. Milano diventa uno spazio urbano da city users saltuari e perde cittadini. Modifica le tradizioni di accoglienza. Si svuota dei valori di comunità. Nel tempo, rischia il deperimento sociale, il degrado civile.

Il fenomeno è oramai da tempo al centro del discorso pubblico milanese. Trova ascolto attento nelle stanze della pubblica amministrazione guidata dal sindaco Beppe Sala ma anche negli altri

Comuni dell’area metropolitana. Suscita riflessioni sui limiti da imporre per gli “affitti brevi” (Parigi ha preso da tempo misure nette di contenimento) e sulla necessità di politiche e scelte urbanistiche per il social housing. Con un obiettivo strategico chiaro: rivitalizzare nei tempi nuovi la tradizione milanese del legame forte tra produttività e inclusività, competitività economica internazionale e solidarietà sociale.

Milano, insomma, sostiene Dario Di Vico, “può riprendere in mano il suo destino, può pensare di gestire la sua evoluzione di città globale guardando in faccia ai problemi vecchi e a quelli nuovi che la modernità diseguale inevitabilmente crea, può riannodare i fili che si sono spezzati e rammendare i legami sociali laddove si sono scuciti. L’errore che non deve commettere chi può contribuire fattivamente a questo processo è girarsi dall’altra parte e pensare cinicamente che sia da preferire il pilota automatico”.

(foto Getty Images)

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