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Next-shoring, le nuove sfide dell’industria e le supply chain innovative

Shaping the future of manifacturing”, titola in copertina la “McKinsey Quarterly”, la rivista internazionale della grande società di consulenza. Nelle pagine, c’è una documentata inchiesta sulle strategie e le attività per “dare nuova forma” all’industria manifatturiera, ristrutturando e rilanciando l’economia industriale, facendo leva sulle tecnologie sofisticate delle stampanti 3D (una vera rivoluzione dei processi produttivi), cercando inedite sintesi tra manifattura e servizi, dall’Ict alla logistica, dalle forniture energetiche alla finanza. Finita la stagione del primato della finanza sull’industria, adesso si torna, appunto, all’economia reale, alla manifattura. “Manifacturing the future”, notava il McKinsey Global Institute già nel novembre 2013. E di “manifacturing reinassance” scrivevano lo scorso anno Gary P. Pisano e Willy C. Shih, professori della Harvard Business School, in “Producing prosperity”, strategie di crescita della ricchezza e del potere economico Usa.

E’ il nuovo corso dell’economia, in cerca di sostenibilità sociale, ambientale, economica di lunga durata. Negli Usa di Obama (che insiste da tempo sulla centralità dell’industria dell’auto) e nella Gran Bretagna di Cameron, nella Francia di Hollande e, naturalmente, nella Germania della Merkel, forte della leadership di primo paese manifatturiero europeo e, perchè no? In un’Italia che è pur sempre il secondo paese manifatturiero della Ue, vanta un grande dinamismo delle sue imprese eccellenti ma è finora priva di una vera e propria “politica industriale” attenta all’innovazione, alla ricerca, al recupero di produttività e di competitività internazionale. La Ue, com’è noto, si è data una strategia impegnativa, portare entro il 2020 al 20% il peso dell’industria sul Pil europeo (adesso siamo in media al 16%). E dunque c’è molto da fare. E in fretta.

Cosa fare e come? La “McKinsey Quarterly” parla di “next-shoring”, insistendo sull’importanza di un’industria che sia vicina alla domanda (sia nei paesi sviluppati che sui mercati emergenti) ma attenta anche a un “innovativo ecosistema delle forniture”. Una “proximity” che può fare crescere in modo determinante la competitività.

Next shoring”, dunque come nuova strategia industrale, dopo le stagioni dell’”offshoring”, il decentramento produttivo verso le aree a minor costo del lavoro e dopo le più recenti tendenze al “reshoring”, il ritorno della manifattura nei paesi di più antica tradizione industriale, a cominciare appunto dagli Usa, in cerca di una migliore qualità dei prodotti e di una competitività sui segmenti “premium”, sulle fasce del mercato a maggior valore aggiunto e nelle nicchie dell’eccellenza.

Non si tratta, infatti, per l’industria Usa e Ue, di competere con Cina, Far East o paesi dell’America Latina sul costo del lavoro (competizione persa, pur se, dal Brasile alle aree industriali cinesi più avanzate, il costo del lavoro è in crescita). Ma di puntare sulla qualità, su cui quel costo incide poco (anche se naturalmente va ridotto, per esempio in Italia, tagliando drasticamente il cuneo fiscale), mentre sono determinanti altri fattori: design, efficienza, sicurezza, alte prestazioni, valenze simboliche, avanguardia tecnologica, etc.

In altri termini, secondo i criteri del “next shoring”, si vanno a produrre auto o pneumatici, per esempio, in Brasile (o se ne incrementa la produzione) perché la domanda, in un Paese in crescita, si va qualificando verso l’alto valore aggiunto e le migliori prestazioni e perché lì si è formata una supply chain  efficiente e di qualità. E, ancora, perché sono migliorate competenze e capacità del capitale umano, cioè di una mano d’opera sempre più qualificata. “Proximity to demand and proximity to innovation”, sintetizza bene la “McKinsey Quarterly”. Una innovazione intesa, naturalmente, in senso ampio: le tecnologie digitali, comprese appunto le stampanti 3D, ma anche le bio-tecnologie e le nano-tecnologie indispensabili per i “nuovi materiali” e tutte le componenti di una “economia della conoscenza”  che portano alle dimensioni di una produzione di qualità, efficiente, esteticamente bella e tecnicamente funzionale (ecco, appunto, anche il design,  su cui Cina e Brasile stanno molto investendo, in raccordo con le migliori scuole europee e, naturalmente, italiane, a cominciare dai Politecnici di Milano e Torino) e con originali sintesi tra ricerca, sviluppo, produzione, distribuzione.  E’ una stimolante strada del futuro. Dall’Europa verso il resto del mondo. “Next-shoring” scommessa aperta. Che si può vincere.

Shaping the future of manifacturing”, titola in copertina la “McKinsey Quarterly”, la rivista internazionale della grande società di consulenza. Nelle pagine, c’è una documentata inchiesta sulle strategie e le attività per “dare nuova forma” all’industria manifatturiera, ristrutturando e rilanciando l’economia industriale, facendo leva sulle tecnologie sofisticate delle stampanti 3D (una vera rivoluzione dei processi produttivi), cercando inedite sintesi tra manifattura e servizi, dall’Ict alla logistica, dalle forniture energetiche alla finanza. Finita la stagione del primato della finanza sull’industria, adesso si torna, appunto, all’economia reale, alla manifattura. “Manifacturing the future”, notava il McKinsey Global Institute già nel novembre 2013. E di “manifacturing reinassance” scrivevano lo scorso anno Gary P. Pisano e Willy C. Shih, professori della Harvard Business School, in “Producing prosperity”, strategie di crescita della ricchezza e del potere economico Usa.

E’ il nuovo corso dell’economia, in cerca di sostenibilità sociale, ambientale, economica di lunga durata. Negli Usa di Obama (che insiste da tempo sulla centralità dell’industria dell’auto) e nella Gran Bretagna di Cameron, nella Francia di Hollande e, naturalmente, nella Germania della Merkel, forte della leadership di primo paese manifatturiero europeo e, perchè no? In un’Italia che è pur sempre il secondo paese manifatturiero della Ue, vanta un grande dinamismo delle sue imprese eccellenti ma è finora priva di una vera e propria “politica industriale” attenta all’innovazione, alla ricerca, al recupero di produttività e di competitività internazionale. La Ue, com’è noto, si è data una strategia impegnativa, portare entro il 2020 al 20% il peso dell’industria sul Pil europeo (adesso siamo in media al 16%). E dunque c’è molto da fare. E in fretta.

Cosa fare e come? La “McKinsey Quarterly” parla di “next-shoring”, insistendo sull’importanza di un’industria che sia vicina alla domanda (sia nei paesi sviluppati che sui mercati emergenti) ma attenta anche a un “innovativo ecosistema delle forniture”. Una “proximity” che può fare crescere in modo determinante la competitività.

Next shoring”, dunque come nuova strategia industrale, dopo le stagioni dell’”offshoring”, il decentramento produttivo verso le aree a minor costo del lavoro e dopo le più recenti tendenze al “reshoring”, il ritorno della manifattura nei paesi di più antica tradizione industriale, a cominciare appunto dagli Usa, in cerca di una migliore qualità dei prodotti e di una competitività sui segmenti “premium”, sulle fasce del mercato a maggior valore aggiunto e nelle nicchie dell’eccellenza.

Non si tratta, infatti, per l’industria Usa e Ue, di competere con Cina, Far East o paesi dell’America Latina sul costo del lavoro (competizione persa, pur se, dal Brasile alle aree industriali cinesi più avanzate, il costo del lavoro è in crescita). Ma di puntare sulla qualità, su cui quel costo incide poco (anche se naturalmente va ridotto, per esempio in Italia, tagliando drasticamente il cuneo fiscale), mentre sono determinanti altri fattori: design, efficienza, sicurezza, alte prestazioni, valenze simboliche, avanguardia tecnologica, etc.

In altri termini, secondo i criteri del “next shoring”, si vanno a produrre auto o pneumatici, per esempio, in Brasile (o se ne incrementa la produzione) perché la domanda, in un Paese in crescita, si va qualificando verso l’alto valore aggiunto e le migliori prestazioni e perché lì si è formata una supply chain  efficiente e di qualità. E, ancora, perché sono migliorate competenze e capacità del capitale umano, cioè di una mano d’opera sempre più qualificata. “Proximity to demand and proximity to innovation”, sintetizza bene la “McKinsey Quarterly”. Una innovazione intesa, naturalmente, in senso ampio: le tecnologie digitali, comprese appunto le stampanti 3D, ma anche le bio-tecnologie e le nano-tecnologie indispensabili per i “nuovi materiali” e tutte le componenti di una “economia della conoscenza”  che portano alle dimensioni di una produzione di qualità, efficiente, esteticamente bella e tecnicamente funzionale (ecco, appunto, anche il design,  su cui Cina e Brasile stanno molto investendo, in raccordo con le migliori scuole europee e, naturalmente, italiane, a cominciare dai Politecnici di Milano e Torino) e con originali sintesi tra ricerca, sviluppo, produzione, distribuzione.  E’ una stimolante strada del futuro. Dall’Europa verso il resto del mondo. “Next-shoring” scommessa aperta. Che si può vincere.

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