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Per evitare i guasti di un “Paese senza…” serve insistere sul buon governo Draghi

Un Paese senza”, aveva scritto Alberto Arbasino, nel 1980, per Garzanti, cercando di fare i conti con i difficili anni Settanta, tra violenza politica (le bombe neofasciste, il terrorismo delle Brigate Rosse) e crisi sociale, fratture della vita democratica (il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, per interrompere il dialogo Dc-Pci intenzionato a rinnovare profondamente la politica italiana) e smarrimenti culturali. Lo riscrisse dieci anni dopo, nel 1990, in condizioni di crisi aggravata, dopo la futilità di una stagione carica di promesse poi deluse (l’avvio della modernizzazione benestante) e l’emergere di nuove fratture (l’irrisolto declino della politica, l’esplosione del debito pubblico ai danni delle nuove generazioni). Un testo comunque lucido, critico, severo.

“Un Paese senza”, dunque. E cioè “Un Paese senza memoria/ Un Paese senza storia/ Un Paese senza passato/ Un Paese senza esperienza/ Un Paese senza grandezza/ Un Paese senza dignità/ Un Paese senza realtà/ Un Paese senza motivazioni/ Un Paese senza programmi/ Un Paese senza progetti/ Un Paese senza testa/ Un Paese senza gambe/ Un Paese senza conoscenze/ Un Paese senza senso/ Un Paese senza sapere/ Un Paese senza sapersi vedere/ Un Paese senza guardarsi/ Un Paese senza capirsi/ Un Paese senza avvenire?”.

Vale la pena, proprio in questi nostri giorni così difficili e controversi, rileggere quelle pagine di Arbasino, dense di sapida ironia e mirabile passione civile, per ragionare con consapevolezza di memoria e bisogno di fiducia nel futuro sul passaggio stretto che l’attualità politica ci costringe ad affrontare: le nubi di crisi sul governo Draghi, proprio mentre l’Italia, questo nostro comunque amato “Paese senza”, deve affrontare tensioni economiche e sociali ed emergenze climatiche, lampi di guerra nel cuore dell’Europa e una transizione energetica che ha implicazioni geopolitiche e complessità ambientali.

Le severe denunce civili sui limiti e le contraddizioni dell’identità italiana sono parte essenziale della nostra storia letteraria, da Dante a Machiavelli e Guicciardini, da Leopardi a Manzoni e Carducci, da D’Azeglio a Croce, da Gobetti a Gramsci. Eppure proprio quelle righe di Arbasino sul Paese “senza programmi”, “senza conoscenze”, “senza guardarsi”, “senza capirsi” fotografano con esattezza profetica il contesto di una certa presenza politica populista e sciatta che, “senza sapere”, si muove contro gli interessi e i valori generali degli italiani in nome di piccoli interessi di parte e di congrega, di volatili consensi, di miserie di potere.

Finiremo per ritrovarci “senza avvenire” proprio mentre l’Europa si prepara a ridiscutere le regole del Patto di stabilità, abbiamo preso l’impegno su 200 miliardi di fondi Ue da spendere bene per rinnovare e riformare il Paese e possiamo giocare un ruolo di primo piano nella ridefinizione degli equilibri geopolitici nel Mediterraneo e nel mondo? Il pericolo è grave.

La rottura della maggioranza che regge il governo Draghi, decisa dai Cinque Stelle capitanati da Conte ha determinato una drammatica torsione della situazione politica e portato il presidente del Consiglio all’annuncio delle dimissioni. Si vivono giorni carichi di preoccupazione. Il futuro immediato è quanto mai incerto.

Il Quirinale, punto di riferimento essenziale per tutti gli italiani che hanno a cuore il destino del Paese, lavora per la stabilità delle istituzioni e del Paese, perché prevalga il senso di responsabilità.

E proprio in momenti così duri, è necessario dare peso e spazio agli appelli che vengono da tutto il mondo economico, dagli oltre 1500 sindaci delle grandi e piccole città, dalla Chiesa, da parecchi rettori delle principali università, da una lunga fila di personalità della cultura e della società civile oltre che dalla Commissione UE di Bruxelles e dai governi nelle capitali dei paesi europei e negli Usa. Affinché il governo Draghi vada avanti si muove “il partito del Pil” (Confindustria in prima fila, con tutte le associazioni di territorio e di categoria). E un quotidiano battagliero come “Il Foglio” rispolvera in prima pagina, per la continuità di governo, quel “Whatever it takes” con cui Draghi, appunto, da presidente della BCE, salvò l’euro (e dunque la Ue e l’Italia appesantita dal debito pubblico).

“Ma è l’ora dei doveri”, ha titolato in prima pagina, domenica, “Avvenire”, il quotidiano della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana. E in quel “Ma” c’è tutta la forza di una critica severa per chi cincischia in valutazioni partigiane, rancori personali, invidie, furbizie di propaganda, visioni politiche anguste. I “doveri” sono quelli dell’interesse generale. Cui il presidente della Repubblica Mattarella e il presidente del Consiglio Draghi hanno fatto e continuano, responsabilmente, a fare riferimento.

L’Italia e gli italiani, infatti, nonostante i limiti e i guasti del “Paese senza”, le inclinazioni clientelari e le scuse del “tengo famiglia”, sono migliori del ritratto negativo che, anche per loro complicità, ne viene comunemente fatto. E meritano un migliore racconto di se stessi. Hanno affrontato la pandemia con grande spirito di solidarietà e senso civico. Le imprese, già dopo la Grande Crisi finanziaria del 2008, hanno investito, innovato, esportato, creato lavoro e benessere, tanto da garantire anche un eccellente “rimbalzo” del Pil (il più forte in Europa) dopo i mesi durissimi del lock down. Il “capitale sociale” è positivo. E pure sui temi della sostenibilità, ambientale e sociale, il mondo economico si muove con maggiore impegno e migliore efficacia che nel resto dell’Europa (lo testimonia il documento di Symbola su “L’Italia in dieci selfie”, parlando di economia circolare, energia rinnovabile, qualità di prodotti e produzioni, relazioni virtuose tra imprese e territori). Con un’autorevole conferma proprio nelle parole del presidente Mattarella: “La nostra economia è più forte quando ha alle spalle una rete robusta di solidarietà, un sistema di imprese coscienti della propria funzione sociale, un retroterra di legalità, conoscenze diffuse, passioni civili”.

Oltre Arbasino, nelle riletture è necessario tornare con la memoria pure alle parole di Eugenio Scalfari, maestro laico di buona informazione come stimolo indispensabile per una politica di qualità: “Per fortuna, c’è anche un Paese che cresce e nonostante tutto è più robusto dei pesi che si porta sulle spalle”, aveva scritto nell’editoriale del primo numero de “la Repubblica”, il 14 gennaio del 1976. Una lezione che resta.

Un “Paese con”, potremmo dunque dire, seguendo Scalfari e capovolgendo in speranza la lucidità critica di Arbasino.

Ecco, proprio quest’Italia merita fiducia. Una strategia di progresso e sviluppo, senza avventure. Una storia declinata al futuro.

Un buon governo, dunque. “Whatever it takes”.

(photo by Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)

Un Paese senza”, aveva scritto Alberto Arbasino, nel 1980, per Garzanti, cercando di fare i conti con i difficili anni Settanta, tra violenza politica (le bombe neofasciste, il terrorismo delle Brigate Rosse) e crisi sociale, fratture della vita democratica (il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, per interrompere il dialogo Dc-Pci intenzionato a rinnovare profondamente la politica italiana) e smarrimenti culturali. Lo riscrisse dieci anni dopo, nel 1990, in condizioni di crisi aggravata, dopo la futilità di una stagione carica di promesse poi deluse (l’avvio della modernizzazione benestante) e l’emergere di nuove fratture (l’irrisolto declino della politica, l’esplosione del debito pubblico ai danni delle nuove generazioni). Un testo comunque lucido, critico, severo.

“Un Paese senza”, dunque. E cioè “Un Paese senza memoria/ Un Paese senza storia/ Un Paese senza passato/ Un Paese senza esperienza/ Un Paese senza grandezza/ Un Paese senza dignità/ Un Paese senza realtà/ Un Paese senza motivazioni/ Un Paese senza programmi/ Un Paese senza progetti/ Un Paese senza testa/ Un Paese senza gambe/ Un Paese senza conoscenze/ Un Paese senza senso/ Un Paese senza sapere/ Un Paese senza sapersi vedere/ Un Paese senza guardarsi/ Un Paese senza capirsi/ Un Paese senza avvenire?”.

Vale la pena, proprio in questi nostri giorni così difficili e controversi, rileggere quelle pagine di Arbasino, dense di sapida ironia e mirabile passione civile, per ragionare con consapevolezza di memoria e bisogno di fiducia nel futuro sul passaggio stretto che l’attualità politica ci costringe ad affrontare: le nubi di crisi sul governo Draghi, proprio mentre l’Italia, questo nostro comunque amato “Paese senza”, deve affrontare tensioni economiche e sociali ed emergenze climatiche, lampi di guerra nel cuore dell’Europa e una transizione energetica che ha implicazioni geopolitiche e complessità ambientali.

Le severe denunce civili sui limiti e le contraddizioni dell’identità italiana sono parte essenziale della nostra storia letteraria, da Dante a Machiavelli e Guicciardini, da Leopardi a Manzoni e Carducci, da D’Azeglio a Croce, da Gobetti a Gramsci. Eppure proprio quelle righe di Arbasino sul Paese “senza programmi”, “senza conoscenze”, “senza guardarsi”, “senza capirsi” fotografano con esattezza profetica il contesto di una certa presenza politica populista e sciatta che, “senza sapere”, si muove contro gli interessi e i valori generali degli italiani in nome di piccoli interessi di parte e di congrega, di volatili consensi, di miserie di potere.

Finiremo per ritrovarci “senza avvenire” proprio mentre l’Europa si prepara a ridiscutere le regole del Patto di stabilità, abbiamo preso l’impegno su 200 miliardi di fondi Ue da spendere bene per rinnovare e riformare il Paese e possiamo giocare un ruolo di primo piano nella ridefinizione degli equilibri geopolitici nel Mediterraneo e nel mondo? Il pericolo è grave.

La rottura della maggioranza che regge il governo Draghi, decisa dai Cinque Stelle capitanati da Conte ha determinato una drammatica torsione della situazione politica e portato il presidente del Consiglio all’annuncio delle dimissioni. Si vivono giorni carichi di preoccupazione. Il futuro immediato è quanto mai incerto.

Il Quirinale, punto di riferimento essenziale per tutti gli italiani che hanno a cuore il destino del Paese, lavora per la stabilità delle istituzioni e del Paese, perché prevalga il senso di responsabilità.

E proprio in momenti così duri, è necessario dare peso e spazio agli appelli che vengono da tutto il mondo economico, dagli oltre 1500 sindaci delle grandi e piccole città, dalla Chiesa, da parecchi rettori delle principali università, da una lunga fila di personalità della cultura e della società civile oltre che dalla Commissione UE di Bruxelles e dai governi nelle capitali dei paesi europei e negli Usa. Affinché il governo Draghi vada avanti si muove “il partito del Pil” (Confindustria in prima fila, con tutte le associazioni di territorio e di categoria). E un quotidiano battagliero come “Il Foglio” rispolvera in prima pagina, per la continuità di governo, quel “Whatever it takes” con cui Draghi, appunto, da presidente della BCE, salvò l’euro (e dunque la Ue e l’Italia appesantita dal debito pubblico).

“Ma è l’ora dei doveri”, ha titolato in prima pagina, domenica, “Avvenire”, il quotidiano della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana. E in quel “Ma” c’è tutta la forza di una critica severa per chi cincischia in valutazioni partigiane, rancori personali, invidie, furbizie di propaganda, visioni politiche anguste. I “doveri” sono quelli dell’interesse generale. Cui il presidente della Repubblica Mattarella e il presidente del Consiglio Draghi hanno fatto e continuano, responsabilmente, a fare riferimento.

L’Italia e gli italiani, infatti, nonostante i limiti e i guasti del “Paese senza”, le inclinazioni clientelari e le scuse del “tengo famiglia”, sono migliori del ritratto negativo che, anche per loro complicità, ne viene comunemente fatto. E meritano un migliore racconto di se stessi. Hanno affrontato la pandemia con grande spirito di solidarietà e senso civico. Le imprese, già dopo la Grande Crisi finanziaria del 2008, hanno investito, innovato, esportato, creato lavoro e benessere, tanto da garantire anche un eccellente “rimbalzo” del Pil (il più forte in Europa) dopo i mesi durissimi del lock down. Il “capitale sociale” è positivo. E pure sui temi della sostenibilità, ambientale e sociale, il mondo economico si muove con maggiore impegno e migliore efficacia che nel resto dell’Europa (lo testimonia il documento di Symbola su “L’Italia in dieci selfie”, parlando di economia circolare, energia rinnovabile, qualità di prodotti e produzioni, relazioni virtuose tra imprese e territori). Con un’autorevole conferma proprio nelle parole del presidente Mattarella: “La nostra economia è più forte quando ha alle spalle una rete robusta di solidarietà, un sistema di imprese coscienti della propria funzione sociale, un retroterra di legalità, conoscenze diffuse, passioni civili”.

Oltre Arbasino, nelle riletture è necessario tornare con la memoria pure alle parole di Eugenio Scalfari, maestro laico di buona informazione come stimolo indispensabile per una politica di qualità: “Per fortuna, c’è anche un Paese che cresce e nonostante tutto è più robusto dei pesi che si porta sulle spalle”, aveva scritto nell’editoriale del primo numero de “la Repubblica”, il 14 gennaio del 1976. Una lezione che resta.

Un “Paese con”, potremmo dunque dire, seguendo Scalfari e capovolgendo in speranza la lucidità critica di Arbasino.

Ecco, proprio quest’Italia merita fiducia. Una strategia di progresso e sviluppo, senza avventure. Una storia declinata al futuro.

Un buon governo, dunque. “Whatever it takes”.

(photo by Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)

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