Politecnico, l’attualità d’una storia lunga 150 anni
“Cultura politecnica”, come capacità di coniugare umanesimo e scienza, cercando continuamente nuove sintesi che costruiscano sviluppo, economico e sociale: un’attitudine di cui la Lombardia e Milano hanno ancora oggi un primato, in Italia. E dunque anche “la cultura del Politecnico” milanese, come luogo che lega formazione e ricerca, innovazione di pensiero e attività di imprese, tanto da essere tra le prime 50 università del mondo in ingegneria e tecnologia (secondo la classifica Top Universities per la Times Higher Education). Le ricorrenze sono scelte simboliche, utili a rinsaldare memorie e a rafforzare le basi della consapevolezza dell’impegno a costruire futuro. E i 150 anni del Politecnico, con tutto il corollario di manifestazioni celebrative, convegni, dibattiti, pubblicazioni e mostre (come quella in corso al Museo della Scienza e della Tecnica) servono a dire ai milanesi, al Paese e al resto d’Europa come e perché proprio qui sia maturata una istituzione d’eccellenza che, dopo un secolo e mezzo di vita, è ancora tra i principali luoghi europei del sapere e dell’innovazione.
Storia, dunque. Dalla fondazione, con il contributo determinante di un uomo di scienza e di impresa come Giuseppe Colombo (tra i “padri “ della Edison, con la costruzione della prima centrale elettrica cittadina d’Europa, nel 1883) agli studi di Enrico Forlanini, con il primo prototipo di elicottero (1877), dal primo calcolatore elettronico europeo portato da Luigi Dadda dagli Usa, nel 1954 agli studi di chimica che contribuiscono all’assegnazione del premio Nobel a Giulio Natta nel 1963 (con la nascita di un rivoluzionario prodotto industriale come il Moplen, la plastica che cambia consumi e costumi nell’Italia del boom economico). Sino all’oggi in cui il Poli è in una fitta rete di relazioni con i grandi centri internazionali di ricerca e innovazione e dai suoi laboratori escono alcune tra le migliori start up italiane con robusti contenuti hi tech.
Dici Politecnico. E viene in mente l’industria, come le imprese degli Schiapparelli e degli Ucelli, o la Edison o ancora la Pirelli, dalla nascita dell’impresa nel 1872, per iniziativa di Giovan Battista Pirelli, laureato appunto al Poli, al termine di un viaggio di istruzione europeo sollecitato dall’università. Vengono in mente le architetture di Gio Ponti e Aldo Rossi, Renzo Piano e Gae Aulenti. Il design di Marco Zanuso e Vico Magistretti. E quella particolare attitudine a coniugare scienza, letteratura e arte che segna le opere di Carlo Emilio Gadda e Fausto Melotti. Appunto un secolo e mezzo di storia ricco di tantissimi nomi, di ingegneri e imprenditori, tecnologi visionari e concretissimi gestori di processi in cui l’innovazione non è solo la scoperta di nuove strade tecnico-scientifiche, ma è soprattutto quel particolare percorso tipicamente italiano che si chiana “innovazione incrementale”, una modifica, un aggiustamento geniale di un macchinario che cambia radicalmente il processo produttivo, un’aggiunta di un composto chimico che rafforza o alleggerisce i materiali, una nuova relazione tra apparecchiature tecniche e organizzazione del lavoro. Una vera e propria “civiltà delle macchine” che non è un ossimoro, ma la bella e poetica metafora di una sintesi tra intelligenza dell’uomo e trasformazione della struttura meccanica, perchè proprio la macchina sia più docile ai comandi dell’uomo, più produttiva, più sicura, Civiltà, appunto.
Cultura del progetto e cultura del prodotto, potremmo dire, con una frase ricorrente in molte conversazioni tra tecnologi e imprenditori, ingegneri e designer, persone politecniche, insomma. Nell’Italia che si affacciava alla modernità, il Politecnico di Milano, un secolo e mezzo fa, è stato il luogo d’incubazione di una robusta storia industriale. Oggi che il cosiddetto “post moderno” ha mostrato il volto fragile dei suoi miti frettolosi e squilibranti (troppa finanza, troppa distorsione nell’effimera “cultura o meglio sub cultura dell’immagine”), una struttura formativa e di rierca come un grande Politecnico può ribadire la sua attualità e il suo ruolo futuribile, in un mondo che riscopre, politecnicamente, la centralità dell’industria. Un ruolo molto milanese. E dunque molto italiano e internazionale.
“Cultura politecnica”, come capacità di coniugare umanesimo e scienza, cercando continuamente nuove sintesi che costruiscano sviluppo, economico e sociale: un’attitudine di cui la Lombardia e Milano hanno ancora oggi un primato, in Italia. E dunque anche “la cultura del Politecnico” milanese, come luogo che lega formazione e ricerca, innovazione di pensiero e attività di imprese, tanto da essere tra le prime 50 università del mondo in ingegneria e tecnologia (secondo la classifica Top Universities per la Times Higher Education). Le ricorrenze sono scelte simboliche, utili a rinsaldare memorie e a rafforzare le basi della consapevolezza dell’impegno a costruire futuro. E i 150 anni del Politecnico, con tutto il corollario di manifestazioni celebrative, convegni, dibattiti, pubblicazioni e mostre (come quella in corso al Museo della Scienza e della Tecnica) servono a dire ai milanesi, al Paese e al resto d’Europa come e perché proprio qui sia maturata una istituzione d’eccellenza che, dopo un secolo e mezzo di vita, è ancora tra i principali luoghi europei del sapere e dell’innovazione.
Storia, dunque. Dalla fondazione, con il contributo determinante di un uomo di scienza e di impresa come Giuseppe Colombo (tra i “padri “ della Edison, con la costruzione della prima centrale elettrica cittadina d’Europa, nel 1883) agli studi di Enrico Forlanini, con il primo prototipo di elicottero (1877), dal primo calcolatore elettronico europeo portato da Luigi Dadda dagli Usa, nel 1954 agli studi di chimica che contribuiscono all’assegnazione del premio Nobel a Giulio Natta nel 1963 (con la nascita di un rivoluzionario prodotto industriale come il Moplen, la plastica che cambia consumi e costumi nell’Italia del boom economico). Sino all’oggi in cui il Poli è in una fitta rete di relazioni con i grandi centri internazionali di ricerca e innovazione e dai suoi laboratori escono alcune tra le migliori start up italiane con robusti contenuti hi tech.
Dici Politecnico. E viene in mente l’industria, come le imprese degli Schiapparelli e degli Ucelli, o la Edison o ancora la Pirelli, dalla nascita dell’impresa nel 1872, per iniziativa di Giovan Battista Pirelli, laureato appunto al Poli, al termine di un viaggio di istruzione europeo sollecitato dall’università. Vengono in mente le architetture di Gio Ponti e Aldo Rossi, Renzo Piano e Gae Aulenti. Il design di Marco Zanuso e Vico Magistretti. E quella particolare attitudine a coniugare scienza, letteratura e arte che segna le opere di Carlo Emilio Gadda e Fausto Melotti. Appunto un secolo e mezzo di storia ricco di tantissimi nomi, di ingegneri e imprenditori, tecnologi visionari e concretissimi gestori di processi in cui l’innovazione non è solo la scoperta di nuove strade tecnico-scientifiche, ma è soprattutto quel particolare percorso tipicamente italiano che si chiana “innovazione incrementale”, una modifica, un aggiustamento geniale di un macchinario che cambia radicalmente il processo produttivo, un’aggiunta di un composto chimico che rafforza o alleggerisce i materiali, una nuova relazione tra apparecchiature tecniche e organizzazione del lavoro. Una vera e propria “civiltà delle macchine” che non è un ossimoro, ma la bella e poetica metafora di una sintesi tra intelligenza dell’uomo e trasformazione della struttura meccanica, perchè proprio la macchina sia più docile ai comandi dell’uomo, più produttiva, più sicura, Civiltà, appunto.
Cultura del progetto e cultura del prodotto, potremmo dire, con una frase ricorrente in molte conversazioni tra tecnologi e imprenditori, ingegneri e designer, persone politecniche, insomma. Nell’Italia che si affacciava alla modernità, il Politecnico di Milano, un secolo e mezzo fa, è stato il luogo d’incubazione di una robusta storia industriale. Oggi che il cosiddetto “post moderno” ha mostrato il volto fragile dei suoi miti frettolosi e squilibranti (troppa finanza, troppa distorsione nell’effimera “cultura o meglio sub cultura dell’immagine”), una struttura formativa e di rierca come un grande Politecnico può ribadire la sua attualità e il suo ruolo futuribile, in un mondo che riscopre, politecnicamente, la centralità dell’industria. Un ruolo molto milanese. E dunque molto italiano e internazionale.