Quando l’impresa fa bene al territorio
Le imprese possono creare benessere per il territorio. E non si tratta solamente di una questione economica, ma anche dal’altro. E’ un percorso difficile – quello che unisce profitto e benessere, territorio e impresa -, che vale la pena però osservare, studiare e, dove possibile, intraprendere. Esperienze che, a ben vedere, non sono dell’oggi ma possono essere fatte risalire a decenni indietro, quelle dell’industria che “fa bene” ad un territorio possono essere reperite anche in Italia. Nulla di perfetto e tutto di perfettibile, ciò che accade quando un’impresa incontro in maniera positiva un territorio e la sua comunità, è comunque interessante da analizzare. E può insegnare molto.
Per questo è utile leggere il rapporto “Welfare e Ben-essere: il ruolo delle imprese nello sviluppo della comunità” che l’ Assessorato alla Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e Terzo Settore Regione Emilia-Romagna ha pubblicato recentemente. Si tratta di un lavoro a più voci e a più mani (che gioca in maniera interessante fin dal titolo sul tema), e che parte da una considerazione: “La creazione di un nuovo modello di welfare passa necessariamente attraverso il coinvolgimento di più soggetti territoriali che contribuiscono alla messa a punto di risposte originali rispondenti ai bisogni emergenti. Tra gli attori più significativi, oltre al pubblico e al Terzo Settore, sicuramente le imprese giocano e possono giocare un ruolo determinante”.
La ricerca (che è stata svolta anche con il contributo di CNA, Confindustria e Unioncamere), ha quindi l’obiettivo di “di conoscere e valorizzare l’apporto dei soggetti altri rispetto alla Pubblica Amministrazione e di come questi contribuiscano alla creazione di servizi di welfare. Ciò soprattutto in riferimento al mondo del for profit”. Il succo dell’indagine è stato una vera ricerca sul campo dell’industria regionale che dall’intero universo delle imprese è arrivata a isolare sette casi da analizzare da vicino a loro volta, costituiti da esperienze fra aziende a tutto tondo e attori del territorio dedicati al sociale. Si è trattato, di volta in volta, di esperienze legate all’educazione alimentare (“Non congelateci il sorriso”), al cosiddetto “volontariato d’impresa” in comparti ad alta tecnologia (“VolontAriamo”), al soddisfacimento delle necessità di sussistenza della popolazione disagiata (“Portobello”, “Emporio di Parma” e “Cibo Amico”), al recupero di produzioni tradizionali (“Alici per gli amici”), al lavoro con persone disabili (“L’antiBARriera”).
Ogni volta la cultura d’impresa si è estesa al territorio circostante, fondendosi con le necessità dello stesso e scambiando informazioni e spunti di sviluppo.
“Il punto di riferimento teorico – dice ancora l’indagine – è quello di valore condiviso”, cioè una “nuova modalità per perseguire obiettivi di natura economica mettendo al centro anche quelli di natura sociale”. Ne nasce così l’immagine di un’impresa diversa dallo stereotipo fondato solo sul profitto. “L’impresa che assume alla base del suo agire il concetto di valore condiviso – viene spiegato nel testo -, mette in campo le strategie, le tecnologie ed i processi atti a coinvolgere sistematicamente tutti gli individui che compongono il proprio ecosistema (dipendenti, clienti, partner, fornitori), nella massimizzazione del valore scambiato”. Niente buonismi, quindi, ma qualcosa di diverso, più completo, più alto.
Welfare e Ben-essere: il ruolo delle imprese nello sviluppo della comunità
AA.VV.
Assessorato Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e Terzo Settore Regione Emilia-Romagna
Bologna, agosto 2014
Le imprese possono creare benessere per il territorio. E non si tratta solamente di una questione economica, ma anche dal’altro. E’ un percorso difficile – quello che unisce profitto e benessere, territorio e impresa -, che vale la pena però osservare, studiare e, dove possibile, intraprendere. Esperienze che, a ben vedere, non sono dell’oggi ma possono essere fatte risalire a decenni indietro, quelle dell’industria che “fa bene” ad un territorio possono essere reperite anche in Italia. Nulla di perfetto e tutto di perfettibile, ciò che accade quando un’impresa incontro in maniera positiva un territorio e la sua comunità, è comunque interessante da analizzare. E può insegnare molto.
Per questo è utile leggere il rapporto “Welfare e Ben-essere: il ruolo delle imprese nello sviluppo della comunità” che l’ Assessorato alla Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e Terzo Settore Regione Emilia-Romagna ha pubblicato recentemente. Si tratta di un lavoro a più voci e a più mani (che gioca in maniera interessante fin dal titolo sul tema), e che parte da una considerazione: “La creazione di un nuovo modello di welfare passa necessariamente attraverso il coinvolgimento di più soggetti territoriali che contribuiscono alla messa a punto di risposte originali rispondenti ai bisogni emergenti. Tra gli attori più significativi, oltre al pubblico e al Terzo Settore, sicuramente le imprese giocano e possono giocare un ruolo determinante”.
La ricerca (che è stata svolta anche con il contributo di CNA, Confindustria e Unioncamere), ha quindi l’obiettivo di “di conoscere e valorizzare l’apporto dei soggetti altri rispetto alla Pubblica Amministrazione e di come questi contribuiscano alla creazione di servizi di welfare. Ciò soprattutto in riferimento al mondo del for profit”. Il succo dell’indagine è stato una vera ricerca sul campo dell’industria regionale che dall’intero universo delle imprese è arrivata a isolare sette casi da analizzare da vicino a loro volta, costituiti da esperienze fra aziende a tutto tondo e attori del territorio dedicati al sociale. Si è trattato, di volta in volta, di esperienze legate all’educazione alimentare (“Non congelateci il sorriso”), al cosiddetto “volontariato d’impresa” in comparti ad alta tecnologia (“VolontAriamo”), al soddisfacimento delle necessità di sussistenza della popolazione disagiata (“Portobello”, “Emporio di Parma” e “Cibo Amico”), al recupero di produzioni tradizionali (“Alici per gli amici”), al lavoro con persone disabili (“L’antiBARriera”).
Ogni volta la cultura d’impresa si è estesa al territorio circostante, fondendosi con le necessità dello stesso e scambiando informazioni e spunti di sviluppo.
“Il punto di riferimento teorico – dice ancora l’indagine – è quello di valore condiviso”, cioè una “nuova modalità per perseguire obiettivi di natura economica mettendo al centro anche quelli di natura sociale”. Ne nasce così l’immagine di un’impresa diversa dallo stereotipo fondato solo sul profitto. “L’impresa che assume alla base del suo agire il concetto di valore condiviso – viene spiegato nel testo -, mette in campo le strategie, le tecnologie ed i processi atti a coinvolgere sistematicamente tutti gli individui che compongono il proprio ecosistema (dipendenti, clienti, partner, fornitori), nella massimizzazione del valore scambiato”. Niente buonismi, quindi, ma qualcosa di diverso, più completo, più alto.
Welfare e Ben-essere: il ruolo delle imprese nello sviluppo della comunità
AA.VV.
Assessorato Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e Terzo Settore Regione Emilia-Romagna
Bologna, agosto 2014