Quei 2 miliardi di crediti da superbonus in mani mafiose e il bisogno d’una giustizia efficace
Nelle mani delle cosche mafiose ci sono 2 miliardi di falsi crediti d’imposta per i superbonus del 110%. Truffe ai danni dello Stato, con la complicità di professionisti apparentemente “insospettabili”. E risorse a vantaggio delle famiglie criminali della ‘ndrangheta, della camorra e della Stidda siciliana (un tempo antagonista di Cosa Nostra). La stima è stata fatta nei giorni scorsi dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia (IlSole24Ore, 18 maggio) ed è ritenuta approssimata per difetto. Con quei miliardi, le organizzazioni mafiose finanzierebbero traffici di droga e altre attività illecite.
Le operazioni sul superbonus sono soltanto l’ultima notizia emersa sull’economia criminale. Un’economia fiorente, prosperata anche in un clima di apparente disattenzione per i reati di mafia. “Temo la mafia quando non spara”, perché vuol dire che può organizzare con calma e silenziose complicità i suoi affari, devastando politica, economia e pubblica amministrazione, aveva insegnato Leonardo Sciascia, l’intellettuale forse più sensibile all’allarme per l’inquinamento eversivo dei boss. E infatti cronache recenti svelano il proliferare di attività mafiose nel cuore delle principali città italiane, con il dominio su bar e ristoranti famosi, comodi paraventi per riciclare denaro sporco e controllare il territorio. E ombre di mafia si sospettano anche dietro grandi appalti pubblici, a Genova e in Sicilia, in Puglia e in Lombardia.
Nulla di nuovo, a pensarci bene. Gli occhi dei capimafia hanno sempre guardato ai business più remunerativi. E le operazioni criminali sono oramai talmente diffuse su tutto il territorio nazionale da confermare quanto sia desueto il termine “infiltrazioni” e invece oramai d’attualità una vera e propria presenza strutturata dei boss.
Fa dunque bene IlSole24Ore a pubblicare in prima pagina, con grande evidenza, le notizie su quei 2 miliardi di falsi crediti d’imposta e segnalare così, con l’autorevolezza della principale testata economica nazionale, l’allarme profondo delle imprese per una deriva criminale che crea profondi danni alla competitività delle aziende sane, ai mercati e al corretto funzionamento della macchina pubblica.
La legalità sta a cuore alle imprese e la mafia è nemica radicale dello sviluppo, è stato a lungo un tema caro ai vertici di Confindustria, di Assolombarda e di altre organizzazioni industriali territoriali e di settore. Viene distorta la concorrenza, peggiora la qualità dei prodotti e dei servizi, è compromessa la sicurezza sui posti di lavoro. E grazie anche a livelli diffusi di evasione fiscale e contrattuale, le imprese regolari sono messe in serie difficoltà, con danni per l’ambiente (con lo smaltimento illegale dei rifiuti), la salute, la qualità della vita e della convivenza civile. Edilizia, appalti, sanità, servizi commerciali e finanziari sono i primi settori a risentire dell’inquinamento mafioso. Nel tempo, tutta la macchina economica ne viene radicalmente compromessa.
Nascono da queste considerazioni, che proprio la truffa mafiosa del superbonus riporta d’attualità, le crescenti sensibilità aziendali sui temi della qualità della giustizia (se ne è sentita l’eco alla talvolta rotonda organizzata a metà maggio, a Milano, dallo studio legale Bonelli Erede e dall’Aidaf, l’associazione della aziende familiari, sul tema “Imprese e Giustizia: sfide per le imprese e attrattività per gli investitori”).
Serve maggiore impegno contro la criminalità economica, quindi, a cominciare dal contrasto antimafia. E più responsabile attenzione per una riforma della giustizia che consenta alla macchina giudiziaria di essere efficiente, efficace, tempestiva, anche spendendo bene le risorse messe a disposizione dal Pnrr.
“Una giustizia efficiente incentiva l’innovazione, favorisce gli investimenti e l’attrattività del doing business, migliora la qualità del credito e ne riduce il costo, rinnova la filosofia dei cittadini nel funzionamento dello Stato democratico”, sostiene uno studio dell’Assonime dell’aprile ‘24, citando i dati che mostrano un miglioramento della situazione ma anche il perdurare di gravi inefficienze, carenze, ritardi.
Le imprese insistono sulla necessità di “certezza del diritto”. Dunque sui tempi delle risoluzioni delle controversie civili (cresce il favore per gli strumenti alternativi, come l’arbitrato e la mediazione, grazie pure al buon funzionamento della Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Milano) e sul completamento tempestivo delle indagini penali. Sull’equilibrio e l’efficacia delle sanzioni attraverso sentenze chiare e ben fondate. Ma anche – ecco un punto cardine – sulla chiarezza delle leggi (con un richiamo critico a una legislazione spesso di discutibile qualità), sulle convergenze tra norme nazionali e legislazione europea e internazionale e sulla stabilità delle norme stesse nel corso del tempo (le continue modifiche delle disposizioni fiscali e tributarie, per fare un esempio, mettono seriamente in difficoltà le imprese e impediscono loro una pianificazione fiscale certa e di lungo periodo).
Nelle pieghe di una legislazione confusa e contraddittoria e nella farraginosità delle norme e della loro applicazione, chi vive comodamente è proprio un clan mafioso. Che sfrutta ogni opportunità per distorcere le regole e aggirare le sanzioni. accrescendo così anche ricchezza e potere. Il campanello d’allarme sui crediti da superbonus nelle mani di mafia e le preoccupazioni su appalti e subappalti meritano, appunto, ascolto e attenzione. E chiare scelte antimafia, giudiziarie e politiche. In nome della giustizia, naturalmente. Ma anche della qualità dello sviluppo economico sostenibile, della vita civile e – perché no? – della speranza di una migliore politica.
(foto Getty Images)
Nelle mani delle cosche mafiose ci sono 2 miliardi di falsi crediti d’imposta per i superbonus del 110%. Truffe ai danni dello Stato, con la complicità di professionisti apparentemente “insospettabili”. E risorse a vantaggio delle famiglie criminali della ‘ndrangheta, della camorra e della Stidda siciliana (un tempo antagonista di Cosa Nostra). La stima è stata fatta nei giorni scorsi dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia (IlSole24Ore, 18 maggio) ed è ritenuta approssimata per difetto. Con quei miliardi, le organizzazioni mafiose finanzierebbero traffici di droga e altre attività illecite.
Le operazioni sul superbonus sono soltanto l’ultima notizia emersa sull’economia criminale. Un’economia fiorente, prosperata anche in un clima di apparente disattenzione per i reati di mafia. “Temo la mafia quando non spara”, perché vuol dire che può organizzare con calma e silenziose complicità i suoi affari, devastando politica, economia e pubblica amministrazione, aveva insegnato Leonardo Sciascia, l’intellettuale forse più sensibile all’allarme per l’inquinamento eversivo dei boss. E infatti cronache recenti svelano il proliferare di attività mafiose nel cuore delle principali città italiane, con il dominio su bar e ristoranti famosi, comodi paraventi per riciclare denaro sporco e controllare il territorio. E ombre di mafia si sospettano anche dietro grandi appalti pubblici, a Genova e in Sicilia, in Puglia e in Lombardia.
Nulla di nuovo, a pensarci bene. Gli occhi dei capimafia hanno sempre guardato ai business più remunerativi. E le operazioni criminali sono oramai talmente diffuse su tutto il territorio nazionale da confermare quanto sia desueto il termine “infiltrazioni” e invece oramai d’attualità una vera e propria presenza strutturata dei boss.
Fa dunque bene IlSole24Ore a pubblicare in prima pagina, con grande evidenza, le notizie su quei 2 miliardi di falsi crediti d’imposta e segnalare così, con l’autorevolezza della principale testata economica nazionale, l’allarme profondo delle imprese per una deriva criminale che crea profondi danni alla competitività delle aziende sane, ai mercati e al corretto funzionamento della macchina pubblica.
La legalità sta a cuore alle imprese e la mafia è nemica radicale dello sviluppo, è stato a lungo un tema caro ai vertici di Confindustria, di Assolombarda e di altre organizzazioni industriali territoriali e di settore. Viene distorta la concorrenza, peggiora la qualità dei prodotti e dei servizi, è compromessa la sicurezza sui posti di lavoro. E grazie anche a livelli diffusi di evasione fiscale e contrattuale, le imprese regolari sono messe in serie difficoltà, con danni per l’ambiente (con lo smaltimento illegale dei rifiuti), la salute, la qualità della vita e della convivenza civile. Edilizia, appalti, sanità, servizi commerciali e finanziari sono i primi settori a risentire dell’inquinamento mafioso. Nel tempo, tutta la macchina economica ne viene radicalmente compromessa.
Nascono da queste considerazioni, che proprio la truffa mafiosa del superbonus riporta d’attualità, le crescenti sensibilità aziendali sui temi della qualità della giustizia (se ne è sentita l’eco alla talvolta rotonda organizzata a metà maggio, a Milano, dallo studio legale Bonelli Erede e dall’Aidaf, l’associazione della aziende familiari, sul tema “Imprese e Giustizia: sfide per le imprese e attrattività per gli investitori”).
Serve maggiore impegno contro la criminalità economica, quindi, a cominciare dal contrasto antimafia. E più responsabile attenzione per una riforma della giustizia che consenta alla macchina giudiziaria di essere efficiente, efficace, tempestiva, anche spendendo bene le risorse messe a disposizione dal Pnrr.
“Una giustizia efficiente incentiva l’innovazione, favorisce gli investimenti e l’attrattività del doing business, migliora la qualità del credito e ne riduce il costo, rinnova la filosofia dei cittadini nel funzionamento dello Stato democratico”, sostiene uno studio dell’Assonime dell’aprile ‘24, citando i dati che mostrano un miglioramento della situazione ma anche il perdurare di gravi inefficienze, carenze, ritardi.
Le imprese insistono sulla necessità di “certezza del diritto”. Dunque sui tempi delle risoluzioni delle controversie civili (cresce il favore per gli strumenti alternativi, come l’arbitrato e la mediazione, grazie pure al buon funzionamento della Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Milano) e sul completamento tempestivo delle indagini penali. Sull’equilibrio e l’efficacia delle sanzioni attraverso sentenze chiare e ben fondate. Ma anche – ecco un punto cardine – sulla chiarezza delle leggi (con un richiamo critico a una legislazione spesso di discutibile qualità), sulle convergenze tra norme nazionali e legislazione europea e internazionale e sulla stabilità delle norme stesse nel corso del tempo (le continue modifiche delle disposizioni fiscali e tributarie, per fare un esempio, mettono seriamente in difficoltà le imprese e impediscono loro una pianificazione fiscale certa e di lungo periodo).
Nelle pieghe di una legislazione confusa e contraddittoria e nella farraginosità delle norme e della loro applicazione, chi vive comodamente è proprio un clan mafioso. Che sfrutta ogni opportunità per distorcere le regole e aggirare le sanzioni. accrescendo così anche ricchezza e potere. Il campanello d’allarme sui crediti da superbonus nelle mani di mafia e le preoccupazioni su appalti e subappalti meritano, appunto, ascolto e attenzione. E chiare scelte antimafia, giudiziarie e politiche. In nome della giustizia, naturalmente. Ma anche della qualità dello sviluppo economico sostenibile, della vita civile e – perché no? – della speranza di una migliore politica.
(foto Getty Images)