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Raccontare Milano con i numeri di imprese, lavoro, scienza.
E pretendere buone politiche di sviluppo e inclusione sociale

Raccontare Milano con i numeri: lavoro, redditi, brevetti, imprese, università d’avanguardia. Ritratto suggestivo, per una metropoli di scienza e creatività, industria e commerci, lavoro e investimenti, tutte dimensioni che si traducono in numeri. Qui, dove giocano l’attenzione al Pil, la ricchezza prodotta, e l’inclusione sociale, le persone di cui ci si prende cura. E dove da sempre si respira un’aria concreta, pragmatica, poche parole, rigorosa attenzione ai fatti e ai dati. Una città riformista, ragionevole e severa, attenta ai sentimenti ma non melensa e lamentosa. Tutt’altro. Una città che adesso, forte del suo sviluppo economico di respiro internazionale e delle sue ribadite capacità di inclusione sociale, può rivendicare una politica seria attenta alla crescita, alla sostenibilità, alla solidarietà e può fare sentire la sua voce critica e propositiva a un governo che preferisce scelte assistenziali (reddito di cittadinanza, nazionalizzazioni, condoni fiscali, pensioni anzi-tempo) a politiche economiche sull’innovazione, la crescita di lungo periodo, la competitività (se ne parlerà molto giovedì 18, all’Assemblea di Assolombarda, 6mila imprese iscritte, l’associazione territoriale più grande e dinamica di Confindustria).

Che numeri, per Milano? Eccoli, alcuni. 153 miliardi di Pil, il 10% di quello italiano. Ed esportazioni per 41 miliardi, il 9% del totale Italia. 90 grandi imprese, con fatturato superiore a 1 miliardo: Monaco ne ha 61, Barcellona 39. E 4.224 multinazionali estere (un terzo di tutte quelle presenti in Italia) con 431mila dipendenti e 208 miliardi di fatturato.

Milano è otto università di grande prestigio, con Bocconi e Politecnico in posizioni di rilievo nei ranking internazionali. E 204 mila studenti universitari, 13mila dei quali stranieri, un numero in crescita. Il 30% delle lauree specialistiche in Bocconi e Politecnico sono di studenti arrivati dall’estero, che restano poi qui a lavorare o portano, nel mondo, il meglio della cultura politecnica italiana.

Milano e la Lombardia producono 1.424 brevetti, lo scorso anno, un terzo di quelli italiani. Il 20% di tutte le pubblicazioni scientifiche. 4,8 miliardi spesi in ricerca e sviluppo (il 21% del totale Italia).

Milano è città turistica, con 8,8 milioni di turisti stranieri nel 2017, più di Roma (7,7 milioni) e di Venezia. E’ tra le prime 15 metropoli del mondo (in cima alla classifica ci sono Bangkok, Londra, Parigi, Dubai) e tra le prime cinque in Europa. E può dunque vantare un altro primato, dopo quelli legati all’economia, alle università, alla scienza, all’arredamento e alla moda. La notizia arriva dal Global Destination Cities Index di Mastercard, che documenta pure che quei turisti lasciano in città 2,7 miliardi all’anno (alberghi, ristoranti, servizi, shopping). La previsione di crescita per il 2018 è del 4,36%, oltre dunque i 9 milioni.

Qual è il motore? Funziona ancora il traino di un grande evento globale come l’Expo 2015. E i media internazionali, di carta e sulla rete, continuano a parlare di Milano come “the place to be” (“New York Times”) e d’una eccellenza per affari, cibo e qualità della vita (il giudizio recente è di “The Wall Street Journal”). “Un modello virtuoso che unisce ricerca della bellezza e produttività intelligente”, commenta il “Corriere della Sera”.

Tali e tanti numeri sono lo sfondo dell’Assemblea di Assolombarda, in programma giovedì mattina in un luogo dalla grande forza simbolica: la Scala. E motivano la scelta del presidente dell’associazione Carlo Bonomi d’avere come punto di riferimento della sua relazione il ruolo degli imprenditori, attori sociali con sguardo lungo e pensiero generale, verso lo sviluppo di tutto il Paese. Un impegno forte pensando all’Europa, da difendere e cambiare. Una scelta di iniziative verso i ceti sociali più deboli, da coinvolgere e includere. Non un’assemblea di categoria. Ma un vero e proprio appuntamento con una forte rilevanza culturale e “politica”, non certo militante, da da indicazione di “policy”: progetti, programmi, riforme.

Quali? “Domus”, prestigiosa rivista milanese d’urbanistica, grandi firme e respiro internazionale, ha dedicato 36 pagine del suo ultimo numero alle “grandi trasformazioni di Milano”, parlando di “umanesimo industriale”, innovazione, metamorfosi urbane (a cominciare dall’area di Human Technopole, luogo d’eccellenza per formazione, ricerca e imprese hi tech), vocazioni metropolitane: scienze della vita, industria agro-alimentare trainata da originale food culture ed esportazioni globali, manifattura 4.0 e cambiamenti digital di industria e servizi, sintesi tra arte, cultura e design e finanza legata ai grani mercati internazionali e finalmente attenta (anche se ancora poco) alle start up. Sono tutte dimensioni in movimento, in cui il ruolo dell’impresa privata è fondamentale. Ma che chiedono buona politica. Non solo quella del Comune ben amministrato dal sindaco Beppe Sala, con una giunta capace di coniugare competitività e inclusività. Ma anche quella della Regione e e soprattutto quella del governo nazionale, guardando all’Europa. Tutti temi chiave dell’Assemblea di Assolombarda e già ribaditi, nei giorni scorsi, da un “DomusForum” su “The future of cities”. Un futuro difficile, in metropoli che sono “complesse e incomplete”, per usare la brillante sintesi di Saskia Sassen, famosa sociologa della Colombia University di New York.

Milano ha buone carte da giocare. I suoi cittadini hanno coscienza critica ma anche sguardo consapevole: una ricerca fatta per “Domus” dalla Nielsen ha confermato che il milanesi, per l’85%, sono sodisfatti della loro città, mediamente di più degli altri abitanti di Chicago, Londra e San Paolo, appena un gradino sotto la soddisfazione dei cinesi per Shanghai.

Milano in movimento, dunque. “La città che sale” ha pur sempre un’anima intraprendente e dinamica. E il suo carattere costante è appunto quello del cambiamento. Ancora adesso.

Milano crocevia di scambi e relazioni inclusive (“milanese è chi lavora a Milano”, sostenevano gli statuti medioevali), ha costruito “cultura politecnica” con Bramante e soprattutto Leonardo, nella stagione più fertile del Rinascimento, fra creatività artistica e sapienza tecnologica. Anticipando la modernità del Paese, è stata “città delle fabbriche” tra Ottocento e Novecento, mai company town d’unica dimensione culturale, come la Torino dell’auto, ma luogo di sinergie originali tra manifatture e finanza, centri di ricerca e università, con l’orgoglio del “fare” e l’acutezza critica del “raccontare” (non c’è artista di livello che non abbia fatto i conti con Milano). Il “paradigma Natta”, per ricordare il premio Nobel per la Chimica Giulio Natta (formazione milanese nei laboratori Pirelli e Montecatini, ricerca applicata da cui nasce un’eccellenza internazionale dell’industria italiana anni 60, la plastica), vale ancora oggi per indicare la sintesi tra scienza, tecnica e industria. Una dimensione cardine di Milano, appunto. Umanesimo industriale. Un patrimonio vitale, utilissimo proprio in una stagione che, varcato il confine del Duemila, pone nuove sfide di cambiamento tra digital e sharing economy.

La Grande Crisi esplosa a livello internazionale giusto dieci anni fa ha imposto un vero e proprio “cambio di paradigma” su produzione, consumo, mercati, servizi, culture della crescita letta secondo parametri non più solo quantitativi (il Pil) ma soprattutto qualitativi (il Bes, l’indice del benessere equo e sostenibile). E sono venuti in primo piano, per larghi settori dell’opinione pubblica e degli attori economici, i temi dell’etica dello sviluppo, dei migliori equilibri economici, della sostenibilità ambientale e sociale, della responsabilità delle imprese, in cerca, con una vera e propria “morale del tornio” (la qualità del lavoro ben fatto e la sicurezza di prodotti e meccanismi di produzione, in una relazione positiva con territori e stakeholders) di una rilegittimazione dell’impresa stessa e della cultura del mercato.

Una cultura dei valori, non solo del “valore per gli azionisti” in cui proprio Milano, per storia e attualità, ha molto da dire. Assolombarda, nella sua assemblea, ne rifletterà ancora una volta le inclinazioni. Economiche. Ed etiche.

“Lavoro e genio creativo per un nuovo ordine economico”, ha detto di recente Papa Francesco (intervista a “Il Sole24Ore”, 7 settembre), riprendendo i temi della sua enciclica “Laudato si’” sulla “cura della casa comune”, per lavoro e dignità, persona, sviluppo e giustizia sociale. Indicazioni importanti. Di cui proprio la cultura economica lombarda, tra impresa e “saper fare”, ha sempre dato importanti testimonianze (le parole del cardinal Martini e, oggi, del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura su “fare impresa per creare valori” ne sono conferma).

Milano, dunque, attiva, inclusiva, solidale. Con sguardo lungo sulle mutazioni in corso. Metropoli smart segnata da “un elevato grado di integrazione nell’economica globale” tra le 50 Global Cities, secondo il “Globalization and World Cities Research Network”. In crescita, più che altrove nel paese (è sopra del 3,2% rispetto al Pil dell’inizio della Grande Crisi del 2008, mentre l’Italia è indietro del 4,4%). E forte d’una dimensione europea: nel raggio di 60 chilometri si produce il 25% dell’export italiano e altrettanto valore aggiunto manifatturiero.

Eccola, dunque, Milano al centro di un sistema di relazioni che, nella trasformazione digital dell’economia, tra robotica, big data e Internet of things, tengono insieme manifattura (il 29% del suo Pil), servizi hi tech, ricerca, formazione, cultura. E baricentro di industria, finanza ed “economia della conoscenza” in una “città infinita” che riguarda Piemonte, Lombardia, Emilia e Nord Est, cuore dinamico della migliore impresa europea. Un cuore attrattivo di talenti e capitali. L’innovazione ne è il motore. L’apertura culturale e creativa la caratteristica di fondo. Un buon futuro possibile.

Raccontare Milano con i numeri: lavoro, redditi, brevetti, imprese, università d’avanguardia. Ritratto suggestivo, per una metropoli di scienza e creatività, industria e commerci, lavoro e investimenti, tutte dimensioni che si traducono in numeri. Qui, dove giocano l’attenzione al Pil, la ricchezza prodotta, e l’inclusione sociale, le persone di cui ci si prende cura. E dove da sempre si respira un’aria concreta, pragmatica, poche parole, rigorosa attenzione ai fatti e ai dati. Una città riformista, ragionevole e severa, attenta ai sentimenti ma non melensa e lamentosa. Tutt’altro. Una città che adesso, forte del suo sviluppo economico di respiro internazionale e delle sue ribadite capacità di inclusione sociale, può rivendicare una politica seria attenta alla crescita, alla sostenibilità, alla solidarietà e può fare sentire la sua voce critica e propositiva a un governo che preferisce scelte assistenziali (reddito di cittadinanza, nazionalizzazioni, condoni fiscali, pensioni anzi-tempo) a politiche economiche sull’innovazione, la crescita di lungo periodo, la competitività (se ne parlerà molto giovedì 18, all’Assemblea di Assolombarda, 6mila imprese iscritte, l’associazione territoriale più grande e dinamica di Confindustria).

Che numeri, per Milano? Eccoli, alcuni. 153 miliardi di Pil, il 10% di quello italiano. Ed esportazioni per 41 miliardi, il 9% del totale Italia. 90 grandi imprese, con fatturato superiore a 1 miliardo: Monaco ne ha 61, Barcellona 39. E 4.224 multinazionali estere (un terzo di tutte quelle presenti in Italia) con 431mila dipendenti e 208 miliardi di fatturato.

Milano è otto università di grande prestigio, con Bocconi e Politecnico in posizioni di rilievo nei ranking internazionali. E 204 mila studenti universitari, 13mila dei quali stranieri, un numero in crescita. Il 30% delle lauree specialistiche in Bocconi e Politecnico sono di studenti arrivati dall’estero, che restano poi qui a lavorare o portano, nel mondo, il meglio della cultura politecnica italiana.

Milano e la Lombardia producono 1.424 brevetti, lo scorso anno, un terzo di quelli italiani. Il 20% di tutte le pubblicazioni scientifiche. 4,8 miliardi spesi in ricerca e sviluppo (il 21% del totale Italia).

Milano è città turistica, con 8,8 milioni di turisti stranieri nel 2017, più di Roma (7,7 milioni) e di Venezia. E’ tra le prime 15 metropoli del mondo (in cima alla classifica ci sono Bangkok, Londra, Parigi, Dubai) e tra le prime cinque in Europa. E può dunque vantare un altro primato, dopo quelli legati all’economia, alle università, alla scienza, all’arredamento e alla moda. La notizia arriva dal Global Destination Cities Index di Mastercard, che documenta pure che quei turisti lasciano in città 2,7 miliardi all’anno (alberghi, ristoranti, servizi, shopping). La previsione di crescita per il 2018 è del 4,36%, oltre dunque i 9 milioni.

Qual è il motore? Funziona ancora il traino di un grande evento globale come l’Expo 2015. E i media internazionali, di carta e sulla rete, continuano a parlare di Milano come “the place to be” (“New York Times”) e d’una eccellenza per affari, cibo e qualità della vita (il giudizio recente è di “The Wall Street Journal”). “Un modello virtuoso che unisce ricerca della bellezza e produttività intelligente”, commenta il “Corriere della Sera”.

Tali e tanti numeri sono lo sfondo dell’Assemblea di Assolombarda, in programma giovedì mattina in un luogo dalla grande forza simbolica: la Scala. E motivano la scelta del presidente dell’associazione Carlo Bonomi d’avere come punto di riferimento della sua relazione il ruolo degli imprenditori, attori sociali con sguardo lungo e pensiero generale, verso lo sviluppo di tutto il Paese. Un impegno forte pensando all’Europa, da difendere e cambiare. Una scelta di iniziative verso i ceti sociali più deboli, da coinvolgere e includere. Non un’assemblea di categoria. Ma un vero e proprio appuntamento con una forte rilevanza culturale e “politica”, non certo militante, da da indicazione di “policy”: progetti, programmi, riforme.

Quali? “Domus”, prestigiosa rivista milanese d’urbanistica, grandi firme e respiro internazionale, ha dedicato 36 pagine del suo ultimo numero alle “grandi trasformazioni di Milano”, parlando di “umanesimo industriale”, innovazione, metamorfosi urbane (a cominciare dall’area di Human Technopole, luogo d’eccellenza per formazione, ricerca e imprese hi tech), vocazioni metropolitane: scienze della vita, industria agro-alimentare trainata da originale food culture ed esportazioni globali, manifattura 4.0 e cambiamenti digital di industria e servizi, sintesi tra arte, cultura e design e finanza legata ai grani mercati internazionali e finalmente attenta (anche se ancora poco) alle start up. Sono tutte dimensioni in movimento, in cui il ruolo dell’impresa privata è fondamentale. Ma che chiedono buona politica. Non solo quella del Comune ben amministrato dal sindaco Beppe Sala, con una giunta capace di coniugare competitività e inclusività. Ma anche quella della Regione e e soprattutto quella del governo nazionale, guardando all’Europa. Tutti temi chiave dell’Assemblea di Assolombarda e già ribaditi, nei giorni scorsi, da un “DomusForum” su “The future of cities”. Un futuro difficile, in metropoli che sono “complesse e incomplete”, per usare la brillante sintesi di Saskia Sassen, famosa sociologa della Colombia University di New York.

Milano ha buone carte da giocare. I suoi cittadini hanno coscienza critica ma anche sguardo consapevole: una ricerca fatta per “Domus” dalla Nielsen ha confermato che il milanesi, per l’85%, sono sodisfatti della loro città, mediamente di più degli altri abitanti di Chicago, Londra e San Paolo, appena un gradino sotto la soddisfazione dei cinesi per Shanghai.

Milano in movimento, dunque. “La città che sale” ha pur sempre un’anima intraprendente e dinamica. E il suo carattere costante è appunto quello del cambiamento. Ancora adesso.

Milano crocevia di scambi e relazioni inclusive (“milanese è chi lavora a Milano”, sostenevano gli statuti medioevali), ha costruito “cultura politecnica” con Bramante e soprattutto Leonardo, nella stagione più fertile del Rinascimento, fra creatività artistica e sapienza tecnologica. Anticipando la modernità del Paese, è stata “città delle fabbriche” tra Ottocento e Novecento, mai company town d’unica dimensione culturale, come la Torino dell’auto, ma luogo di sinergie originali tra manifatture e finanza, centri di ricerca e università, con l’orgoglio del “fare” e l’acutezza critica del “raccontare” (non c’è artista di livello che non abbia fatto i conti con Milano). Il “paradigma Natta”, per ricordare il premio Nobel per la Chimica Giulio Natta (formazione milanese nei laboratori Pirelli e Montecatini, ricerca applicata da cui nasce un’eccellenza internazionale dell’industria italiana anni 60, la plastica), vale ancora oggi per indicare la sintesi tra scienza, tecnica e industria. Una dimensione cardine di Milano, appunto. Umanesimo industriale. Un patrimonio vitale, utilissimo proprio in una stagione che, varcato il confine del Duemila, pone nuove sfide di cambiamento tra digital e sharing economy.

La Grande Crisi esplosa a livello internazionale giusto dieci anni fa ha imposto un vero e proprio “cambio di paradigma” su produzione, consumo, mercati, servizi, culture della crescita letta secondo parametri non più solo quantitativi (il Pil) ma soprattutto qualitativi (il Bes, l’indice del benessere equo e sostenibile). E sono venuti in primo piano, per larghi settori dell’opinione pubblica e degli attori economici, i temi dell’etica dello sviluppo, dei migliori equilibri economici, della sostenibilità ambientale e sociale, della responsabilità delle imprese, in cerca, con una vera e propria “morale del tornio” (la qualità del lavoro ben fatto e la sicurezza di prodotti e meccanismi di produzione, in una relazione positiva con territori e stakeholders) di una rilegittimazione dell’impresa stessa e della cultura del mercato.

Una cultura dei valori, non solo del “valore per gli azionisti” in cui proprio Milano, per storia e attualità, ha molto da dire. Assolombarda, nella sua assemblea, ne rifletterà ancora una volta le inclinazioni. Economiche. Ed etiche.

“Lavoro e genio creativo per un nuovo ordine economico”, ha detto di recente Papa Francesco (intervista a “Il Sole24Ore”, 7 settembre), riprendendo i temi della sua enciclica “Laudato si’” sulla “cura della casa comune”, per lavoro e dignità, persona, sviluppo e giustizia sociale. Indicazioni importanti. Di cui proprio la cultura economica lombarda, tra impresa e “saper fare”, ha sempre dato importanti testimonianze (le parole del cardinal Martini e, oggi, del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura su “fare impresa per creare valori” ne sono conferma).

Milano, dunque, attiva, inclusiva, solidale. Con sguardo lungo sulle mutazioni in corso. Metropoli smart segnata da “un elevato grado di integrazione nell’economica globale” tra le 50 Global Cities, secondo il “Globalization and World Cities Research Network”. In crescita, più che altrove nel paese (è sopra del 3,2% rispetto al Pil dell’inizio della Grande Crisi del 2008, mentre l’Italia è indietro del 4,4%). E forte d’una dimensione europea: nel raggio di 60 chilometri si produce il 25% dell’export italiano e altrettanto valore aggiunto manifatturiero.

Eccola, dunque, Milano al centro di un sistema di relazioni che, nella trasformazione digital dell’economia, tra robotica, big data e Internet of things, tengono insieme manifattura (il 29% del suo Pil), servizi hi tech, ricerca, formazione, cultura. E baricentro di industria, finanza ed “economia della conoscenza” in una “città infinita” che riguarda Piemonte, Lombardia, Emilia e Nord Est, cuore dinamico della migliore impresa europea. Un cuore attrattivo di talenti e capitali. L’innovazione ne è il motore. L’apertura culturale e creativa la caratteristica di fondo. Un buon futuro possibile.

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