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Reshoring, si torna a fare industria in Italia per puntare su qualità e competenze

Reshoring, ovvero ritorno a fare industria nei paesi di più antica e solida tradizione manifatturiera. Cominciato negli Usa del presidente Obama, evidente anche nella Gran Bretagna che durante gli anni Ottanta e Novanta aveva smantellato interi settori industriali (a cominciare dall’auto) per puntare quasi esclusivamente su finanza e servizi hi tech, da qualche tempo il fenomeno del reshoring caratterizza positivamente anche il panorama delle imprese italiane. Ne abbiamo già parlato altre volte, nello spazio di questo blog sulla cultura d’impresa. Nuove considerazioni arrivano adesso da un recente studio del Cer (il Centro Europa Ricerche) su “Attrarre sviluppo”, realizzato con il sostegno di Unindustria, l’organizzazione confindustriale delle imprenditori di Roma e del Lazio.

Sono 101 i casi di “rilocalizzazione produttiva” documentati dal Cer (ultimi dati disponibili: giugno 2015), concentrati per l’80% nel Nord Italia (con prevalenza nel Nord Ovest). Attività innovative e competitive, con presenza nei principali settori manifatturieri: l’abbigliamento, le attrezzature elettriche, le industrie della pelle (tornano le fabbriche conciarie di alta qualità nel distretto di Arzignano, oramai un caso di scuola), i macchinari industriali, ma anche le industrie del mobile e quelle chimiche e gli strumenti di misurazione e controllo.

A guardar bene, il reshoring è evidente proprio nei settori in cui la manifattura italiana è più attiva e robusta, nei settori leader del nostro export (la meccanica, innanzitutto e poi abbigliamento, arredamento, agroindustria e farmaceutica). Un processo che ha senso: si torna a produrre in Italia là dove ci sono competenze, esperienza, cultura d’impresa del “bello e ben fatto”, nelle aree cioè in cui si giocano bene le carte della competitività internazionale facendo leva su quei fattori (il capitale umano, il capitale sociale, le esperienze di territori di antica e solida industrializzazione, l’attitudine alla flessibilità e all’innovazione di processo) che legano in modo originale tradizione e innovazione, qualità e impiego intelligente delle conoscenze produttive hi tech e medium tech. Anche in tempi di Industry 4.0, di digital manifacturing, di nuove dimensioni delle “neo-fabbriche”.

Fenomeno complesso, il reshoring. Da favorire. E da considerare nel contesto della scommessa della crescita dell’industria italiana come cardine per lo sviluppo del Paese. Una scommessa fondata sull’attrazione di investimenti internazionali (in aumento, da alcuni anni, anche se ancora insufficienti), sulla promozione di nuovi investimenti interni, ma anche sulle acquisizioni e sull’espansione di imprese italiane sui mercati esteri. E sul reshoring, appunto. Strategie convergenti nel segno del valore industriale italiano. Un attivismo manifatturiero adatto a sfide industriali europee, globali.

Per reggere questa sfida, servono alcune cose essenziali. Una pubblica amministrazione “leggera”, trasparente ed efficiente (illegalità, corruzione diffusa e concorrenza impropria delle imprese mafiose frenano gli investimenti). Una giustizia tempestiva ed efficace. Un fisco snello e non esoso e complicato. Infrastrutture materiali e immateriali di alto livello (a cominciare dalla banda larga). Attenzione per ricerca e formazione di qualità. La costruzione, insomma, di un ambiente favorevole all’impresa, alla cultura di mercato, alla competizione.

Le riforme avviate dal governo Renzi ma anche in alcune Regioni (non nel Mezzogiorno, purtroppo) vanno in questa direzione. Si tratta di fare di più, e meglio.

Milano smart city competitiva e inclusiva (lo documenta bene Aldo Bonomi su “IlSole24Ore” dell’8 maggio), in una stretta relazione metropolitana con Torino e Bologna, può fare da punto di riferimento, mostrando come legare manifattura, servizi, finanza, formazione, ricerca ma anche solidarietà sociale come leva di sviluppo sostenibile. E il suo essere, secondo le elaborazioni di Assolombarda, metropoli steam (l’acronimo costruito dalle iniziali di science, technology, education, arts e manifactuting) è un buon paradigma per attrarre multinazionali, favorire start up, facilitare anche quel reshoring di cui stiamo parlando. Un circuito virtuoso per l’economia italiana, In chiave di sviluppo sostenibile.

Reshoring, ovvero ritorno a fare industria nei paesi di più antica e solida tradizione manifatturiera. Cominciato negli Usa del presidente Obama, evidente anche nella Gran Bretagna che durante gli anni Ottanta e Novanta aveva smantellato interi settori industriali (a cominciare dall’auto) per puntare quasi esclusivamente su finanza e servizi hi tech, da qualche tempo il fenomeno del reshoring caratterizza positivamente anche il panorama delle imprese italiane. Ne abbiamo già parlato altre volte, nello spazio di questo blog sulla cultura d’impresa. Nuove considerazioni arrivano adesso da un recente studio del Cer (il Centro Europa Ricerche) su “Attrarre sviluppo”, realizzato con il sostegno di Unindustria, l’organizzazione confindustriale delle imprenditori di Roma e del Lazio.

Sono 101 i casi di “rilocalizzazione produttiva” documentati dal Cer (ultimi dati disponibili: giugno 2015), concentrati per l’80% nel Nord Italia (con prevalenza nel Nord Ovest). Attività innovative e competitive, con presenza nei principali settori manifatturieri: l’abbigliamento, le attrezzature elettriche, le industrie della pelle (tornano le fabbriche conciarie di alta qualità nel distretto di Arzignano, oramai un caso di scuola), i macchinari industriali, ma anche le industrie del mobile e quelle chimiche e gli strumenti di misurazione e controllo.

A guardar bene, il reshoring è evidente proprio nei settori in cui la manifattura italiana è più attiva e robusta, nei settori leader del nostro export (la meccanica, innanzitutto e poi abbigliamento, arredamento, agroindustria e farmaceutica). Un processo che ha senso: si torna a produrre in Italia là dove ci sono competenze, esperienza, cultura d’impresa del “bello e ben fatto”, nelle aree cioè in cui si giocano bene le carte della competitività internazionale facendo leva su quei fattori (il capitale umano, il capitale sociale, le esperienze di territori di antica e solida industrializzazione, l’attitudine alla flessibilità e all’innovazione di processo) che legano in modo originale tradizione e innovazione, qualità e impiego intelligente delle conoscenze produttive hi tech e medium tech. Anche in tempi di Industry 4.0, di digital manifacturing, di nuove dimensioni delle “neo-fabbriche”.

Fenomeno complesso, il reshoring. Da favorire. E da considerare nel contesto della scommessa della crescita dell’industria italiana come cardine per lo sviluppo del Paese. Una scommessa fondata sull’attrazione di investimenti internazionali (in aumento, da alcuni anni, anche se ancora insufficienti), sulla promozione di nuovi investimenti interni, ma anche sulle acquisizioni e sull’espansione di imprese italiane sui mercati esteri. E sul reshoring, appunto. Strategie convergenti nel segno del valore industriale italiano. Un attivismo manifatturiero adatto a sfide industriali europee, globali.

Per reggere questa sfida, servono alcune cose essenziali. Una pubblica amministrazione “leggera”, trasparente ed efficiente (illegalità, corruzione diffusa e concorrenza impropria delle imprese mafiose frenano gli investimenti). Una giustizia tempestiva ed efficace. Un fisco snello e non esoso e complicato. Infrastrutture materiali e immateriali di alto livello (a cominciare dalla banda larga). Attenzione per ricerca e formazione di qualità. La costruzione, insomma, di un ambiente favorevole all’impresa, alla cultura di mercato, alla competizione.

Le riforme avviate dal governo Renzi ma anche in alcune Regioni (non nel Mezzogiorno, purtroppo) vanno in questa direzione. Si tratta di fare di più, e meglio.

Milano smart city competitiva e inclusiva (lo documenta bene Aldo Bonomi su “IlSole24Ore” dell’8 maggio), in una stretta relazione metropolitana con Torino e Bologna, può fare da punto di riferimento, mostrando come legare manifattura, servizi, finanza, formazione, ricerca ma anche solidarietà sociale come leva di sviluppo sostenibile. E il suo essere, secondo le elaborazioni di Assolombarda, metropoli steam (l’acronimo costruito dalle iniziali di science, technology, education, arts e manifactuting) è un buon paradigma per attrarre multinazionali, favorire start up, facilitare anche quel reshoring di cui stiamo parlando. Un circuito virtuoso per l’economia italiana, In chiave di sviluppo sostenibile.

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