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Responsabilità sociale e regole Ue, una sfida per le imprese e il governo

Responsabilità sociale d’impresa come dimensione chiave della competitività. E sostenibilità ambientale e sociale come caratteristiche di fondo dell’industria italiana. C’è una direttiva della Ue, la 2014/95, da introdurre nell’ordinamento italiano, sulla “comunicazione delle informazioni non finanziarie” (il bilancio ambientale, il bilancio sociale, i documenti sui rapporti con gli stakeholders, le regole sull’inclusione e contro le discriminazioni, etc.). C’è una crescente attenzione ai temi dei rapporti tra imprese e i territori su cui insistono le attività produttive (l’ONU e l’Ocse hanno varato importanti documenti, per dare conto con dati e fatti di tali rapporti). Ma c’è già un gran cammino fatto dalle imprese italiane più competitive e abituate agli standard dei mercati internazionali per prodotti e sistemi di produzione rispettosi di ambiente, persone, etc.

Se n’è discusso alla fine della scorsa settimana, a Roma, nelle sale della Presidenza del Consiglio, con un convegno su “Trasparenza e sostenibilità – Dall’Europa una sfida per le imprese italiane“, organizzato dal Gruppo Cultura di Confindustria con la partecipazione di imprenditori, manager, economisti, dirigenti del ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro e con la partecipazione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Direttiva Ue già diventata provvedimento del governo, legge delega, ha detto Gozi, e adesso da mettere a punto entro l’agosto 2016, dopo un confronto con Confindustria, altre organizzazioni d’impresa, sindacati.

Ci sono parecchie opinioni comuni. Una applicazione della Direttiva Ue non burocratica, “leggera”, che comporti pochi adempimenti formali per le imprese. Una flessibilità, per le imprese, di scegliere a quali standard internazionali uniformare i loro documenti, dai bilanci ambientali a quelli sociali (Iso 26000, Global Compact, Global Reporting Iniziative, Linee Guida OCSE, Principi guida dell’ONU su imprese e diritti umani, etc.). Un’attenzione per le piccole e medie imprese, da coinvolgere in percorsi di responsabilità sociale e non da gravare con ulteriori complesse burocraticità.

Siamo di fronte all’esigenza di una vera e propria svolta culturale, nell’attività dell’impresa. Che insiste sulla qualità come cardine della competitività. E che deve trovare anche nuove e migliori ragioni di legittimazione sociale. Le imprese italiane, ha certificato Symbola (vedi blog della scorsa settimana) sono campioni di eco-sostenibilità. Molte imprese grandi e medie sono già in linea con i più esigenti parametri internazionali. Si può andare avanti, coinvolgendo tutto il sistema imprenditoriale. Con buoni vantaggi per tutti.

Responsabilità sociale d’impresa come dimensione chiave della competitività. E sostenibilità ambientale e sociale come caratteristiche di fondo dell’industria italiana. C’è una direttiva della Ue, la 2014/95, da introdurre nell’ordinamento italiano, sulla “comunicazione delle informazioni non finanziarie” (il bilancio ambientale, il bilancio sociale, i documenti sui rapporti con gli stakeholders, le regole sull’inclusione e contro le discriminazioni, etc.). C’è una crescente attenzione ai temi dei rapporti tra imprese e i territori su cui insistono le attività produttive (l’ONU e l’Ocse hanno varato importanti documenti, per dare conto con dati e fatti di tali rapporti). Ma c’è già un gran cammino fatto dalle imprese italiane più competitive e abituate agli standard dei mercati internazionali per prodotti e sistemi di produzione rispettosi di ambiente, persone, etc.

Se n’è discusso alla fine della scorsa settimana, a Roma, nelle sale della Presidenza del Consiglio, con un convegno su “Trasparenza e sostenibilità – Dall’Europa una sfida per le imprese italiane“, organizzato dal Gruppo Cultura di Confindustria con la partecipazione di imprenditori, manager, economisti, dirigenti del ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro e con la partecipazione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Direttiva Ue già diventata provvedimento del governo, legge delega, ha detto Gozi, e adesso da mettere a punto entro l’agosto 2016, dopo un confronto con Confindustria, altre organizzazioni d’impresa, sindacati.

Ci sono parecchie opinioni comuni. Una applicazione della Direttiva Ue non burocratica, “leggera”, che comporti pochi adempimenti formali per le imprese. Una flessibilità, per le imprese, di scegliere a quali standard internazionali uniformare i loro documenti, dai bilanci ambientali a quelli sociali (Iso 26000, Global Compact, Global Reporting Iniziative, Linee Guida OCSE, Principi guida dell’ONU su imprese e diritti umani, etc.). Un’attenzione per le piccole e medie imprese, da coinvolgere in percorsi di responsabilità sociale e non da gravare con ulteriori complesse burocraticità.

Siamo di fronte all’esigenza di una vera e propria svolta culturale, nell’attività dell’impresa. Che insiste sulla qualità come cardine della competitività. E che deve trovare anche nuove e migliori ragioni di legittimazione sociale. Le imprese italiane, ha certificato Symbola (vedi blog della scorsa settimana) sono campioni di eco-sostenibilità. Molte imprese grandi e medie sono già in linea con i più esigenti parametri internazionali. Si può andare avanti, coinvolgendo tutto il sistema imprenditoriale. Con buoni vantaggi per tutti.

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