Riparlare di umanesimo, ricerca e cultura, per dare senso critico all’Intelligenza Artificiale
“Un umanesimo approfondito e rigenerato è necessario se vogliamo anche riumanizzare e rigenerare i nostri paesi, i nostri continenti, il nostro pianeta”, scrive Edgar Morin nelle pagine del suo ultimo libro, “Ancora un momento”, pubblicato da Raffaello Cortina, una raccolta di “testi personali, politici, sociologici, filosofici e letterati” scritti da una delle intelligenze europee più longeve e comunque ancora lucida, spregiudicata e creativa.
“Impiantare l’umanesimo nell’Intelligenza Artificiale”, sostiene il cardinale Gianfranco Ravasi (“la Repubblica”, 9 febbraio), spiegando che “la differenza radicale forse non è nella ragione, che l’Intelligenza Artificiale può avere più sofisticata dell’uomo, ma nell’umanesimo, cioè nella coscienza, nel sentimento, nella passione, nella tenerezza”, seguendo i richiami “antropologici” di Papa Francesco sull’etica e sul senso di responsabilità che devono ispirare anche chi lavora nel mondo della scienza e della tecnologia.
Ecco la parola chiave su cui riflettere, dunque – umanesimo – in tempi in cui gli straordinari e controversi sviluppi dell’Intelligenza Artificiale generativa pongono a tutti noi domande di senso e di prospettiva sui vari campi coinvolti: la scienza e la conoscenza in generale, la politica, l’informazione e la formazione, l’economia e il lavoro, le stesse forme della convivenza civile che nel tempo abbiamo sviluppato. Umanesimo come visione del mondo che ha al centro la persona umana, con il complesso delle relazioni tra libertà e responsabilità, diritti e doveri (il richiamo di Morin va a una rilettura necessaria e a un rilancio della “trinità ‘Libertà, Uguaglianza, Fraternità’ che diventi la nostra norma di vita personale e sociale e non la maschera che copre l’aumento delle servitù, delle disuguaglianze e degli egoismi”).
Umanesimo come incrocio tra senso della bellezza e rigore scientifico. Umanesimo, ancora, come consapevolezza profonda della complessità dell’essere umani, compreso lo sguardo verso l’abisso del “cuore di tenebra” e come coscienza “del cielo stellato sopra di me e della legge morale dentro di me” secondo la lezione sempre attuale di Immanuel Kant.
Morin, che ha la “complessità” come parola chiave del suo lessico filosofico (nota Massimiliano Panerari su “La Stampa”, 10 febbraio) richiama gli scritti di Michel Eyquem de Montaigne e ricorda, appunto, che “nella fondazione della razionalità scettica risiede il suo carattere di padre dell’umanesimo”, insistendo sulla necessità di espandere le capacità di pensiero critico per affrontare le questioni poste da una impetuosa e travolgente modernità, Intelligenza Artificiale compresa.
Il cardinale Ravasi, ragionando sull’annuncio di Elon Musk sull’impianto, da parte di Neuralink, di un microchip nel cervello di un paziente, ricorda che “la tradizione classica distingue tra cervello e mente, mentre ora domina la visione fisicalista che riduce tutto a neuroni e sinapsi e considera il cervello come un computer straordinario” e dunque si chiede: “E l’io, la coscienza, la libertà, l’estetica, la volontà, l’anima?”.
La risposta può essere trovata anche nelle parole di un uomo di tecnologia e d’impresa come Steve Jobs, citato da Ravasi per ricordarne l’attenzione alla “necessità di un connubio tra la scienza e l’umanesimo”, secondo la lezione del suo modello, Leonardo da Vinci, “perché – diceva Jobs – solo attraverso questo connubio siamo in grado di fare uscire un canto dal cuore”. Commenta Ravasi: “Al di là dell’immagine un po’ nazional-popolare, Jobs dice una cosa vera: la tecnica procede in modo binario, vedi il caso Oppenheimer, ma è necessario che ci sia l’umanità. L’umanesimo”.
Dalle grandi riflessioni alla cronaca delle iniziative imprenditoriali: ArtGlass, del gruppo Capitale Cultura, una sede a Monza e un’altra negli Usa, prodotti high tech nel mondo della realtà aumentata, racconta di essere alla ricerca di laureati in materie umanistiche (artisti, storici, archeologi), da fare lavorare con ingegneri e sofisticati tecnologi per creare “esperienze interattive” nei settori del turismo e della conoscenza (“Corriere della Sera”, 11 febbraio): “Partendo da una nostra piattaforma tecnologica basata su cinque brevetti – spiega Antonio Scuderi, uno dei fondatori di ArtGlass – abbiamo creato un linguaggio che valorizza la cultura attraverso lo strumento della tecnologia”. Cultura politecnica, potremmo aggiungere, come sintesi originale tra conoscenze scientifiche e saperi umanistici. Scrittura multidisciplinare degli algoritmi.
Proprio perché l’Intelligenza Artificiale sta radicalmente cambiando conoscenza e lavoro, meccanismi di socialità, strumenti per l’orientamento politico e sociale, è indispensabile chiedersi come e perché tutto questo sta già succedendo, come provare a governare i processi, come utilizzarne bene i vantaggi e reagire alle conseguenze che non ci piacciono, alle “esternatità negative”.
È una questione che chiama in causa l’etica, il sistema di valori, i giudizi di fondo secondo cui indirizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione. Ha senso profondo, adesso, che il presidente della Commissione italiana per l’Intelligenza Artificiale per l’informazione sia un teologo di grande sapienza, come padre Benanti, esperto di tecnologie, l’unico membro italiano del Comitato sull’AI delle Nazioni Unite e consigliere di Papa Francesco sui temi dell’etica delle tecnologie. Così come ha un particolare valore che eccellenti giuristi come Giusella Finocchiaro, professoressa all’università di Bologna e fondatrice e partner di DigitalMediaLaws (una boutique legale specializzata in diritto delle nuove tecnologie), nelle pagine di “Intelligenza artificiale. Quali regole?” per la casa editrice Il Mulino, ragioni sulle norme nazionali e Ue che cercano di governare fenomeni di complessa regolazione internazionale.
Etica, cultura critica, diritto, sono in primo piano, cercando una strada, impervia per quanto sia, che consenta alla scienza, alla ricerca tecnologica e all’attività di impresa di andare avanti in modo competitivo rispetto ad altre aree del mondo più disinvolte, senza dimenticare la sfera dei diritti e degli interessi dei ceti sociali e delle persone più in difficoltà o comunque più svantaggiate dalle evoluzioni di tecnologie e mercati.
Ecco perché è indispensabile ragionare a fondo di umanesimo. Di libertà e responsabilità. Di sviluppo. Di qualità della vita e dunque di libertà critica di pensiero. Nel segno di Galileo, umanista scienziato. O, appunto, alla Steve Jobs, di Leonardo. E della sua intelligenza del cuore. Un’intelligenza tutt’altro che artificiale. Semmai, profondamente umana.
(Foto Getty Images)
“Un umanesimo approfondito e rigenerato è necessario se vogliamo anche riumanizzare e rigenerare i nostri paesi, i nostri continenti, il nostro pianeta”, scrive Edgar Morin nelle pagine del suo ultimo libro, “Ancora un momento”, pubblicato da Raffaello Cortina, una raccolta di “testi personali, politici, sociologici, filosofici e letterati” scritti da una delle intelligenze europee più longeve e comunque ancora lucida, spregiudicata e creativa.
“Impiantare l’umanesimo nell’Intelligenza Artificiale”, sostiene il cardinale Gianfranco Ravasi (“la Repubblica”, 9 febbraio), spiegando che “la differenza radicale forse non è nella ragione, che l’Intelligenza Artificiale può avere più sofisticata dell’uomo, ma nell’umanesimo, cioè nella coscienza, nel sentimento, nella passione, nella tenerezza”, seguendo i richiami “antropologici” di Papa Francesco sull’etica e sul senso di responsabilità che devono ispirare anche chi lavora nel mondo della scienza e della tecnologia.
Ecco la parola chiave su cui riflettere, dunque – umanesimo – in tempi in cui gli straordinari e controversi sviluppi dell’Intelligenza Artificiale generativa pongono a tutti noi domande di senso e di prospettiva sui vari campi coinvolti: la scienza e la conoscenza in generale, la politica, l’informazione e la formazione, l’economia e il lavoro, le stesse forme della convivenza civile che nel tempo abbiamo sviluppato. Umanesimo come visione del mondo che ha al centro la persona umana, con il complesso delle relazioni tra libertà e responsabilità, diritti e doveri (il richiamo di Morin va a una rilettura necessaria e a un rilancio della “trinità ‘Libertà, Uguaglianza, Fraternità’ che diventi la nostra norma di vita personale e sociale e non la maschera che copre l’aumento delle servitù, delle disuguaglianze e degli egoismi”).
Umanesimo come incrocio tra senso della bellezza e rigore scientifico. Umanesimo, ancora, come consapevolezza profonda della complessità dell’essere umani, compreso lo sguardo verso l’abisso del “cuore di tenebra” e come coscienza “del cielo stellato sopra di me e della legge morale dentro di me” secondo la lezione sempre attuale di Immanuel Kant.
Morin, che ha la “complessità” come parola chiave del suo lessico filosofico (nota Massimiliano Panerari su “La Stampa”, 10 febbraio) richiama gli scritti di Michel Eyquem de Montaigne e ricorda, appunto, che “nella fondazione della razionalità scettica risiede il suo carattere di padre dell’umanesimo”, insistendo sulla necessità di espandere le capacità di pensiero critico per affrontare le questioni poste da una impetuosa e travolgente modernità, Intelligenza Artificiale compresa.
Il cardinale Ravasi, ragionando sull’annuncio di Elon Musk sull’impianto, da parte di Neuralink, di un microchip nel cervello di un paziente, ricorda che “la tradizione classica distingue tra cervello e mente, mentre ora domina la visione fisicalista che riduce tutto a neuroni e sinapsi e considera il cervello come un computer straordinario” e dunque si chiede: “E l’io, la coscienza, la libertà, l’estetica, la volontà, l’anima?”.
La risposta può essere trovata anche nelle parole di un uomo di tecnologia e d’impresa come Steve Jobs, citato da Ravasi per ricordarne l’attenzione alla “necessità di un connubio tra la scienza e l’umanesimo”, secondo la lezione del suo modello, Leonardo da Vinci, “perché – diceva Jobs – solo attraverso questo connubio siamo in grado di fare uscire un canto dal cuore”. Commenta Ravasi: “Al di là dell’immagine un po’ nazional-popolare, Jobs dice una cosa vera: la tecnica procede in modo binario, vedi il caso Oppenheimer, ma è necessario che ci sia l’umanità. L’umanesimo”.
Dalle grandi riflessioni alla cronaca delle iniziative imprenditoriali: ArtGlass, del gruppo Capitale Cultura, una sede a Monza e un’altra negli Usa, prodotti high tech nel mondo della realtà aumentata, racconta di essere alla ricerca di laureati in materie umanistiche (artisti, storici, archeologi), da fare lavorare con ingegneri e sofisticati tecnologi per creare “esperienze interattive” nei settori del turismo e della conoscenza (“Corriere della Sera”, 11 febbraio): “Partendo da una nostra piattaforma tecnologica basata su cinque brevetti – spiega Antonio Scuderi, uno dei fondatori di ArtGlass – abbiamo creato un linguaggio che valorizza la cultura attraverso lo strumento della tecnologia”. Cultura politecnica, potremmo aggiungere, come sintesi originale tra conoscenze scientifiche e saperi umanistici. Scrittura multidisciplinare degli algoritmi.
Proprio perché l’Intelligenza Artificiale sta radicalmente cambiando conoscenza e lavoro, meccanismi di socialità, strumenti per l’orientamento politico e sociale, è indispensabile chiedersi come e perché tutto questo sta già succedendo, come provare a governare i processi, come utilizzarne bene i vantaggi e reagire alle conseguenze che non ci piacciono, alle “esternatità negative”.
È una questione che chiama in causa l’etica, il sistema di valori, i giudizi di fondo secondo cui indirizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione. Ha senso profondo, adesso, che il presidente della Commissione italiana per l’Intelligenza Artificiale per l’informazione sia un teologo di grande sapienza, come padre Benanti, esperto di tecnologie, l’unico membro italiano del Comitato sull’AI delle Nazioni Unite e consigliere di Papa Francesco sui temi dell’etica delle tecnologie. Così come ha un particolare valore che eccellenti giuristi come Giusella Finocchiaro, professoressa all’università di Bologna e fondatrice e partner di DigitalMediaLaws (una boutique legale specializzata in diritto delle nuove tecnologie), nelle pagine di “Intelligenza artificiale. Quali regole?” per la casa editrice Il Mulino, ragioni sulle norme nazionali e Ue che cercano di governare fenomeni di complessa regolazione internazionale.
Etica, cultura critica, diritto, sono in primo piano, cercando una strada, impervia per quanto sia, che consenta alla scienza, alla ricerca tecnologica e all’attività di impresa di andare avanti in modo competitivo rispetto ad altre aree del mondo più disinvolte, senza dimenticare la sfera dei diritti e degli interessi dei ceti sociali e delle persone più in difficoltà o comunque più svantaggiate dalle evoluzioni di tecnologie e mercati.
Ecco perché è indispensabile ragionare a fondo di umanesimo. Di libertà e responsabilità. Di sviluppo. Di qualità della vita e dunque di libertà critica di pensiero. Nel segno di Galileo, umanista scienziato. O, appunto, alla Steve Jobs, di Leonardo. E della sua intelligenza del cuore. Un’intelligenza tutt’altro che artificiale. Semmai, profondamente umana.
(Foto Getty Images)