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Riscoprire valori e bellezza della scrittura nel tempo frettoloso di like e invettive

“Credo nel mistero delle parole e che le parole possano diventare vita, destino, così come diventano bellezza”. Leonardo Sciascia le sapeva usare bene, con misurata severità e robusta capacità espressiva. E ne ha lasciato tracce preziose, in romanzi e saggi che ancora oggi raccontano tensioni e dolori, caute speranze e ragionevoli progetti d’un futuro migliore.

Ecco una parola essenziale: futuro. “A futura memoria”, scriveva infatti, in una raccolta di articoli pubblicata da Bompiani nel 1989 e poi, da Adelphi, nel 2017. Naturalmente, “se la memoria ha un futuro”, aggiungeva, con l’ironica e malinconica consapevolezza dei limiti della condizione umana.

La bellezza evocativa delle parole, la potenza ben controllata della scrittura. E se forse non è del tutto esatto che “il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, come sosteneva Stéphane Mallarmé, è sicuro che la caratteristica fondamentale dell’animale-uomo è di saper affrontare la vita costruendo racconti, dando dunque spessore di storia, fascino di poesia, senso di prospettiva a esistenze che, altrimenti, si esaurirebbero nell’istante dell’esperienza, nel tempo corto di una vita. Ricordando la lezione di Yuval Noah Harari, storico israeliano, Gianrico Carofiglio, nelle pagine su “La nuova manomissione delle parole”, Feltrinelli, nota che “la rivoluzione cognitiva che ha permesso all’Homo sapiens di avere la meglio sulle altre specie animali è consistita proprio nella capacità di elaborare e raccontare storie, nell’attitudine a costruire metafore. E la storie, dalle leggende delle antiche religioni ai miti della società di massa, tengono insieme le grandi collettività umane e permettono imprese che sarebbero impossibili senza la capacità di raccontare il passato e di immaginare il futuro”.

Scrivendo e raccontando, la persona umana sfida la morte e supera il tempo. Dunque, racconto e scrittura sono essenziali per dire e interpretare la realtà in movimento e lasciare tracce oltre il limite del sé. Torniamo alle parole care a Sciascia (e a ogni altro scrittore): memoria e futuro.

E’ dunque fonte di doloroso stupore sapere che su www.change.org  più di 30mila firme accompagnino una petizione di ragazzi delle scuole superiori che chiedono di abolire la prova scritta agli esami di maturità del 2022, limitandosi alle prove orali. La prova scritta, è vero, è più difficile. E nei confronti a voce con i professori, possono valere anche altre attitudini: la capacità di improvvisare, la disinvoltura nell’esposizione, l’abilità di surfare sull’onda dei concetti senza approfondire, la simpatia personale. Ma verba volant. Ed è invece la scrittura che testimonia la comprensione di un concetto, di un racconto, di una storia. La capacità di sintesi che ne deriva. La chiarezza di una descrizione esatta.

“Se la scrittura fa paura”, ha commentato Paolo Di Paolo su “la Repubblica” (8 novembre). Paura ai ragazzi prima degli esami. Ma anche paura agli adulti spaesati di fronte a un foglio bianco da riempire di pensieri e giudizi da rendere comprensibili o a un foglio scritto di cui non si è capaci di capire il senso. E la povertà di linguaggio è impoverimento umano. Causa di degrado personale. Ferita sociale. Spinta alla marginalità. I dati Invalsi resi noti nello scorso settembre sono preoccupanti, perché confermano l’ignoranza crescente dei nostri ragazzi: il 44% degli studenti delle superiori non raggiunge il livello minimo in Italiano, il 51% in Matematica. E i dati sono ancora più pesanti nel Mezzogiorno e nelle famiglie economicamente disagiate.

Il quadro dell’istruzione è in generale molto grave. L’Italia, infatti, è in coda all’Europa per numerato di laureati (appena il 19,6% nella fascia d’età tra i 25 e i 64 anni, rispetto a una media Ue del 33,2%) e ha una quota elevatissima di persone con un bassissimo livello scolastico: 13 milioni di persone con appena la licenza media inferiore. Un limite gravissimo, non solo per le prospettive di crescita economica, ma anche e soprattutto per una maggiore diffusione di uno sviluppo socialmente equilibrato.

Rendere gli esami più facili può migliorare la situazione? Naturalmente no.

Al di là delle profonde modifiche di cui ha bisogno tutto il nostro processo formativo e degli investimenti necessari (il Pnrr del governo Draghi e le misure annunciate dal ministro dell’Istruzione Bianchi vanno pur se parzialmente in questa direzione), c’è una grande battaglia sociale e culturale da sostenere nel Paese. A cominciare dall’impegno per dare valore a scrittura e lettura. E insegnare a raccontare meglio e più profondamente società, economia, lavoro, imprese, comunità.

Rem tene, verba sequentur, dicevano i latini. O anche Nomina sunt consequentia rerum. Il nesso tra cose e parole, fatti e nomi è imprescindibile. La scrittura ne consacra il senso.

Scrivere permette di mettere in ordine i pensieri, di esprimere con compiutezza emozioni e desideri, di motivare scelte. Di tradurre la complessità del reale in una forma ben articolata e controllata che altri può comprendere e condividere.

Viviamo, è vero, in una società segnata dalla prevalenza delle immagini e da un’idea del tempo istantaneo, dal “presentiamo”, dalle velleità del “tutto e subito” (“Instant economics – The real-time revolution”, ha titolato “The Economist” del 23 ottobre per un’inchiesta sulle frenesie finanziarie e il consumismo frettoloso). I social media, con la prevalenza del linguaggio dei like, hanno schiacciato i giudizi in sentimenti estremi di amore fanatico e odio. La scrittura s’è ridotta alla povertà dell’invettiva o dell’esagerata meraviglia. La potenza comunicativa s’è dilatata. Ma il  controllo latita. La manipolazione è devastante.

Anche per questo è necessario tornare al valore profondo delle parole, alla riscoperta del loro senso. Alla distanza che la buona scrittura impone per poter “dire” con chiarezza di sé, definire il mondo, raccontare esperienze e sensazioni. Superando la paura della scrittura. E ritrovando il gusto della chiarezza e, rileggendo Sciascia, della bellezza.

“Credo nel mistero delle parole e che le parole possano diventare vita, destino, così come diventano bellezza”. Leonardo Sciascia le sapeva usare bene, con misurata severità e robusta capacità espressiva. E ne ha lasciato tracce preziose, in romanzi e saggi che ancora oggi raccontano tensioni e dolori, caute speranze e ragionevoli progetti d’un futuro migliore.

Ecco una parola essenziale: futuro. “A futura memoria”, scriveva infatti, in una raccolta di articoli pubblicata da Bompiani nel 1989 e poi, da Adelphi, nel 2017. Naturalmente, “se la memoria ha un futuro”, aggiungeva, con l’ironica e malinconica consapevolezza dei limiti della condizione umana.

La bellezza evocativa delle parole, la potenza ben controllata della scrittura. E se forse non è del tutto esatto che “il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, come sosteneva Stéphane Mallarmé, è sicuro che la caratteristica fondamentale dell’animale-uomo è di saper affrontare la vita costruendo racconti, dando dunque spessore di storia, fascino di poesia, senso di prospettiva a esistenze che, altrimenti, si esaurirebbero nell’istante dell’esperienza, nel tempo corto di una vita. Ricordando la lezione di Yuval Noah Harari, storico israeliano, Gianrico Carofiglio, nelle pagine su “La nuova manomissione delle parole”, Feltrinelli, nota che “la rivoluzione cognitiva che ha permesso all’Homo sapiens di avere la meglio sulle altre specie animali è consistita proprio nella capacità di elaborare e raccontare storie, nell’attitudine a costruire metafore. E la storie, dalle leggende delle antiche religioni ai miti della società di massa, tengono insieme le grandi collettività umane e permettono imprese che sarebbero impossibili senza la capacità di raccontare il passato e di immaginare il futuro”.

Scrivendo e raccontando, la persona umana sfida la morte e supera il tempo. Dunque, racconto e scrittura sono essenziali per dire e interpretare la realtà in movimento e lasciare tracce oltre il limite del sé. Torniamo alle parole care a Sciascia (e a ogni altro scrittore): memoria e futuro.

E’ dunque fonte di doloroso stupore sapere che su www.change.org  più di 30mila firme accompagnino una petizione di ragazzi delle scuole superiori che chiedono di abolire la prova scritta agli esami di maturità del 2022, limitandosi alle prove orali. La prova scritta, è vero, è più difficile. E nei confronti a voce con i professori, possono valere anche altre attitudini: la capacità di improvvisare, la disinvoltura nell’esposizione, l’abilità di surfare sull’onda dei concetti senza approfondire, la simpatia personale. Ma verba volant. Ed è invece la scrittura che testimonia la comprensione di un concetto, di un racconto, di una storia. La capacità di sintesi che ne deriva. La chiarezza di una descrizione esatta.

“Se la scrittura fa paura”, ha commentato Paolo Di Paolo su “la Repubblica” (8 novembre). Paura ai ragazzi prima degli esami. Ma anche paura agli adulti spaesati di fronte a un foglio bianco da riempire di pensieri e giudizi da rendere comprensibili o a un foglio scritto di cui non si è capaci di capire il senso. E la povertà di linguaggio è impoverimento umano. Causa di degrado personale. Ferita sociale. Spinta alla marginalità. I dati Invalsi resi noti nello scorso settembre sono preoccupanti, perché confermano l’ignoranza crescente dei nostri ragazzi: il 44% degli studenti delle superiori non raggiunge il livello minimo in Italiano, il 51% in Matematica. E i dati sono ancora più pesanti nel Mezzogiorno e nelle famiglie economicamente disagiate.

Il quadro dell’istruzione è in generale molto grave. L’Italia, infatti, è in coda all’Europa per numerato di laureati (appena il 19,6% nella fascia d’età tra i 25 e i 64 anni, rispetto a una media Ue del 33,2%) e ha una quota elevatissima di persone con un bassissimo livello scolastico: 13 milioni di persone con appena la licenza media inferiore. Un limite gravissimo, non solo per le prospettive di crescita economica, ma anche e soprattutto per una maggiore diffusione di uno sviluppo socialmente equilibrato.

Rendere gli esami più facili può migliorare la situazione? Naturalmente no.

Al di là delle profonde modifiche di cui ha bisogno tutto il nostro processo formativo e degli investimenti necessari (il Pnrr del governo Draghi e le misure annunciate dal ministro dell’Istruzione Bianchi vanno pur se parzialmente in questa direzione), c’è una grande battaglia sociale e culturale da sostenere nel Paese. A cominciare dall’impegno per dare valore a scrittura e lettura. E insegnare a raccontare meglio e più profondamente società, economia, lavoro, imprese, comunità.

Rem tene, verba sequentur, dicevano i latini. O anche Nomina sunt consequentia rerum. Il nesso tra cose e parole, fatti e nomi è imprescindibile. La scrittura ne consacra il senso.

Scrivere permette di mettere in ordine i pensieri, di esprimere con compiutezza emozioni e desideri, di motivare scelte. Di tradurre la complessità del reale in una forma ben articolata e controllata che altri può comprendere e condividere.

Viviamo, è vero, in una società segnata dalla prevalenza delle immagini e da un’idea del tempo istantaneo, dal “presentiamo”, dalle velleità del “tutto e subito” (“Instant economics – The real-time revolution”, ha titolato “The Economist” del 23 ottobre per un’inchiesta sulle frenesie finanziarie e il consumismo frettoloso). I social media, con la prevalenza del linguaggio dei like, hanno schiacciato i giudizi in sentimenti estremi di amore fanatico e odio. La scrittura s’è ridotta alla povertà dell’invettiva o dell’esagerata meraviglia. La potenza comunicativa s’è dilatata. Ma il  controllo latita. La manipolazione è devastante.

Anche per questo è necessario tornare al valore profondo delle parole, alla riscoperta del loro senso. Alla distanza che la buona scrittura impone per poter “dire” con chiarezza di sé, definire il mondo, raccontare esperienze e sensazioni. Superando la paura della scrittura. E ritrovando il gusto della chiarezza e, rileggendo Sciascia, della bellezza.

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