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Scuola e lavoro, si parte con i percorsi comuni per gli studenti: è la “cultura politecnica”

La scuola e l’impresa fanno un passo importante nella costruzione d’un cammino comune. E il lavoro entra a far parte stabile della formazione, come già avviene in parecchi altri grandi paesi Ue. “Studenti in azienda, si parte in ottobre”, titola Il Sole 24Ore (giovedì 17 settembre), dando notizia della circolare che il Miur (il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca) ha preparato per tutte le scuole superiori italiane, per l’applicazione della riforma Renzi-Giannini sulla “nuova” alternanza scuola-lavoro, dando così una forte spinta a norme già in vigore dal 2005 ma recepite finora da istituti che hanno coinvolto appena il 10% degli studenti. “Si riconosce al lavoro una funzione educativa, è una vera rivoluzione”, si entusiasma Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione.

Le ore di formazione on the job salgono, per l’ultimo triennio delle superiori, dalle attuali 90 a 400 per gli istituti tecnici e professionali e a 400 nei licei. E il lavoro entra a far parte dell’offerta didattica, dei piani formativi delle scuole cioè, e dei curricula degli studenti. Ci si avvicina al mondo dell’impresa. Si costruiscono percorsi verso un miglior orientamento professionale dei giovani già durante gli anni di studio con effetti positivi sia verso il mercato del lavoro subito dopo il diploma sia nella scelta dei percorsi universitari). E’ un progresso innovativo di grande portata, in un’Italia che vive sì esperienze di impresa diffusa sul territorio (siamo rimasti, nonostante la grande Crisi, il secondo paese manifatturiero dell’Europa e uno dei primi cinque al mondo a vantare un surplus manifatturiero superiore ai 100 miliardi di dollari) ma in cui è scarsa la consapevolezza del ruolo determinante dell’impresa come luogo in cui non solo si costruisce ricchezza e si crea lavoro, ma anche si fanno crescere valori e responsabilità e si intessono relazioni che fanno da collante sociale.

L’obiettivo: studiare e lavorare, entrare in aule e laboratori, intrecciare discipline umanistiche e scientifiche e saperi produttivi, rafforzando così l’identità di un’Italia “abituata a produrre, fin dal Medio Evo, all’ombra dei campanili, cose belle e che piacciono al mondo” (la sintesi esemplare di Carlo Maria Cipolla andrebbe ricordata, appunto, in tutte le scuole) e stimolando studenti e famiglie a essere protagonisti, fin dai tempi della scuola, della costruzione d’un futuro di migliore sviluppo.

Impresa è cultura”, si è detto più volte nelle pagine di questo blog. Per i valori del lavoro, del premio al merito, della responsabilità, della accentuata tendenza alla ricerca e all’innovazione (nell’accezione più ampia, non solo hi tech). Adesso, “impresa è formazione “. Nel senso migliore del termine.

Le scuole, infatti, firmeranno con le imprese delle convenzioni, per la definizione di spazi adeguati al training on the job, per la messa a disposizione di attrezzature tecnologiche, per la garanzia d’avere tutor che rendano il percorso formativo utile. E i risultati di tanto impegno a lavorare/studiare avranno una ricaduta anche nella valutazione per gli esami di maturità.

Siamo dunque di fronte a una sfida complessa. Per le imprese e per la cultura d’impresa, di fronte alle domande poste da nuove generazioni innovative ed esigenti. E per le scuole, impegnate a superare false dicotomie tra “le due culture” (umanistica e scientifica) e a rivalutare lavoro, manifattura, manualità (evitando la cattiva interpretazione del  “vile meccanico” di memoria manzoniana) ma anche a darsi da fare per coniugare in modo originale capacità critiche dei ragazzi e competenze tecniche (ci sono delle ottime esperienze, già vissute in alcuni dei migliori istituti professionali, che possono fare da guida).

Teoria e pratica. In direzione di una “cultura politecnica” che, fin dai tempi di scuola, contribuisca a fare crescere meglio l’Italia.

La scuola e l’impresa fanno un passo importante nella costruzione d’un cammino comune. E il lavoro entra a far parte stabile della formazione, come già avviene in parecchi altri grandi paesi Ue. “Studenti in azienda, si parte in ottobre”, titola Il Sole 24Ore (giovedì 17 settembre), dando notizia della circolare che il Miur (il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca) ha preparato per tutte le scuole superiori italiane, per l’applicazione della riforma Renzi-Giannini sulla “nuova” alternanza scuola-lavoro, dando così una forte spinta a norme già in vigore dal 2005 ma recepite finora da istituti che hanno coinvolto appena il 10% degli studenti. “Si riconosce al lavoro una funzione educativa, è una vera rivoluzione”, si entusiasma Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione.

Le ore di formazione on the job salgono, per l’ultimo triennio delle superiori, dalle attuali 90 a 400 per gli istituti tecnici e professionali e a 400 nei licei. E il lavoro entra a far parte dell’offerta didattica, dei piani formativi delle scuole cioè, e dei curricula degli studenti. Ci si avvicina al mondo dell’impresa. Si costruiscono percorsi verso un miglior orientamento professionale dei giovani già durante gli anni di studio con effetti positivi sia verso il mercato del lavoro subito dopo il diploma sia nella scelta dei percorsi universitari). E’ un progresso innovativo di grande portata, in un’Italia che vive sì esperienze di impresa diffusa sul territorio (siamo rimasti, nonostante la grande Crisi, il secondo paese manifatturiero dell’Europa e uno dei primi cinque al mondo a vantare un surplus manifatturiero superiore ai 100 miliardi di dollari) ma in cui è scarsa la consapevolezza del ruolo determinante dell’impresa come luogo in cui non solo si costruisce ricchezza e si crea lavoro, ma anche si fanno crescere valori e responsabilità e si intessono relazioni che fanno da collante sociale.

L’obiettivo: studiare e lavorare, entrare in aule e laboratori, intrecciare discipline umanistiche e scientifiche e saperi produttivi, rafforzando così l’identità di un’Italia “abituata a produrre, fin dal Medio Evo, all’ombra dei campanili, cose belle e che piacciono al mondo” (la sintesi esemplare di Carlo Maria Cipolla andrebbe ricordata, appunto, in tutte le scuole) e stimolando studenti e famiglie a essere protagonisti, fin dai tempi della scuola, della costruzione d’un futuro di migliore sviluppo.

Impresa è cultura”, si è detto più volte nelle pagine di questo blog. Per i valori del lavoro, del premio al merito, della responsabilità, della accentuata tendenza alla ricerca e all’innovazione (nell’accezione più ampia, non solo hi tech). Adesso, “impresa è formazione “. Nel senso migliore del termine.

Le scuole, infatti, firmeranno con le imprese delle convenzioni, per la definizione di spazi adeguati al training on the job, per la messa a disposizione di attrezzature tecnologiche, per la garanzia d’avere tutor che rendano il percorso formativo utile. E i risultati di tanto impegno a lavorare/studiare avranno una ricaduta anche nella valutazione per gli esami di maturità.

Siamo dunque di fronte a una sfida complessa. Per le imprese e per la cultura d’impresa, di fronte alle domande poste da nuove generazioni innovative ed esigenti. E per le scuole, impegnate a superare false dicotomie tra “le due culture” (umanistica e scientifica) e a rivalutare lavoro, manifattura, manualità (evitando la cattiva interpretazione del  “vile meccanico” di memoria manzoniana) ma anche a darsi da fare per coniugare in modo originale capacità critiche dei ragazzi e competenze tecniche (ci sono delle ottime esperienze, già vissute in alcuni dei migliori istituti professionali, che possono fare da guida).

Teoria e pratica. In direzione di una “cultura politecnica” che, fin dai tempi di scuola, contribuisca a fare crescere meglio l’Italia.

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