Servono più donne Stem per ricerca e scienza, ma costruendo anche una cultura politecnica
Una civiltà più equilibrata e sicura, una migliore qualità della vita, un futuro in cui sperare con fiducia hanno bisogno della scienza. E la ricerca scientifica e lo sviluppo di nuove tecnologie a misura delle persone hanno bisogno di una maggiore presenza di donne scienziate. “Sono ancora troppo poche le ragazze che scelgono studi scientifici, bisogna fare di più”, ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi a metà della scorsa settimana, andando in visita ai laboratori dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso, uno dei luoghi più prestigiosi a livello internazionale.
Quel “fare di più” ha la concretezza di un numero: un miliardo di investimenti per potenziare l’insegnamento delle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e superare gli stereotipi di genere, confermati dal fatto che oggi solo una ragazza su cinque, all’università, sceglie quelle discipline.
Il miliardo è parte di un pacchetto ampio di investimenti, da 30 miliardi, in istruzione e ricerca, con i fondi del Pnrr. 6,9 miliardi andranno alla ricerca di base. E la scelta di fondo è chiara: cercare rapidamente, proprio grazie ai finanziamenti della Ue con il Recovery Plan, di colmare il divario storico tra l’Italia e gli altri grandi paesi europei. Un divario purtroppo crescente. In Italia – secondo dati della Confindustria illustrati il 15 febbraio in Parlamento – si investono nella ricerca pubblica (università e Cnr) appena 158 euro pro capite, contro i 263 euro della media Ue e i 415 della Germania. Il dato equivale allo 0,56% del Pil 8un dato stabile negli ultimi vent’anni), contro lo 0,8% della media Ue e l’1% della Germania. Troppo poco, insomma.
Quell’investimento viene rafforzato dagli investimenti privati, cresciuti dallo 0,5% del 2000 allo 0,94% del 2020. Ma, se le imprese si muovono per cercare di essere competitive su mercati internazionali sempre più tecnologici e selettivi, da noi manca un adeguato sostegno alla ricerca di base, senza la quale anche la ricerca applicata, naturalmente, va avanti a fatica.
Serve dunque – suggerisce Confindustria – un maggiore investimento pubblico, almeno a livello della media Ue. E un solido stimolo fiscale di lungo periodo per sostenere gli investimenti privati. Con una sinergia pubblico-privato che caratterizza gli esempi migliori di collaborazione tra università e imprese (le esperienze positive dei due Politecnici di Milano e Torino sono quanto mai indicative).
Più ricerca e più scienza, dunque. E più donne impegnate, sulla scia degli esempi di Fabiola Giannotti, direttrice del CERN di Ginevra, di Lucia Votano, prima direttrice donna del Laboratorio del Gran Sasso, di Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr, della ministra dell’Università Maria Cristina Messa (medico impegnata nel lavoro di ricerca) e delle altre donne che incontrano un crescente successo in prestigiose università e centri di ricerca internazionali.
Più donne scienziate. Più donne ricercatrici, con ruoli di responsabilità di primo piano, come succede agli uomini. Più donne Stem.
A proposito delle lauree Stem vale però la pena aggiungere una considerazione. Che si può condensare in una lettera. In una A. A come arts, e cioè il complesso dei saperi umanistici da intrecciare con le conoscenze scientifiche. Passando dunque da Stem a Steam. E investendo su una caratteristica ben radicata nella cultura italiana, nelle stagioni migliori dell’Umanesimo e del Rinascimento e poi nel corso del Novecento del progresso industriale: una “cultura politecnica”, multidisciplinare, capace di fare della diversità dei saperi un punto di forza. Con un incrocio tra matematica e filosofia, ingegneria e letteratura, neuroscienze e sociologia, storia, economia e chimica, estetica e information technology. Proprio le caratteristiche dell’intelligenza e della sensibilità femminile spingono in questa direzione.
Steam, invece che soltanto Stem, era il frutto di una lunga, dettagliata elaborazione di Assolombarda, negli anni scorsi. L’evoluzione della cosiddetta “economia della conoscenza” conferma quell’elaborazione, nel segno dell’incrocio di differenti punti di vista, di diversi saperi complementari. Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale pone, contemporaneamente, questioni tecniche e problemi di senso e di indirizzo.
La scienza e la bellezza, in sintesi. E la bellezza dalla scienza. Come d’altronde ci hanno insegnato Primo Levi, nelle affascinanti pagine de “Il sistema periodico” e Leonardo Sinisgalli in “Furor mathematicus”. Levi, un chimico e uno scrittore. Sinisgalli, un ingegnere e un poeta. Entrambi da studiare, leggere, rileggere. Da parte di ragazzi e ragazze. Scienziate.
Una civiltà più equilibrata e sicura, una migliore qualità della vita, un futuro in cui sperare con fiducia hanno bisogno della scienza. E la ricerca scientifica e lo sviluppo di nuove tecnologie a misura delle persone hanno bisogno di una maggiore presenza di donne scienziate. “Sono ancora troppo poche le ragazze che scelgono studi scientifici, bisogna fare di più”, ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi a metà della scorsa settimana, andando in visita ai laboratori dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso, uno dei luoghi più prestigiosi a livello internazionale.
Quel “fare di più” ha la concretezza di un numero: un miliardo di investimenti per potenziare l’insegnamento delle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e superare gli stereotipi di genere, confermati dal fatto che oggi solo una ragazza su cinque, all’università, sceglie quelle discipline.
Il miliardo è parte di un pacchetto ampio di investimenti, da 30 miliardi, in istruzione e ricerca, con i fondi del Pnrr. 6,9 miliardi andranno alla ricerca di base. E la scelta di fondo è chiara: cercare rapidamente, proprio grazie ai finanziamenti della Ue con il Recovery Plan, di colmare il divario storico tra l’Italia e gli altri grandi paesi europei. Un divario purtroppo crescente. In Italia – secondo dati della Confindustria illustrati il 15 febbraio in Parlamento – si investono nella ricerca pubblica (università e Cnr) appena 158 euro pro capite, contro i 263 euro della media Ue e i 415 della Germania. Il dato equivale allo 0,56% del Pil 8un dato stabile negli ultimi vent’anni), contro lo 0,8% della media Ue e l’1% della Germania. Troppo poco, insomma.
Quell’investimento viene rafforzato dagli investimenti privati, cresciuti dallo 0,5% del 2000 allo 0,94% del 2020. Ma, se le imprese si muovono per cercare di essere competitive su mercati internazionali sempre più tecnologici e selettivi, da noi manca un adeguato sostegno alla ricerca di base, senza la quale anche la ricerca applicata, naturalmente, va avanti a fatica.
Serve dunque – suggerisce Confindustria – un maggiore investimento pubblico, almeno a livello della media Ue. E un solido stimolo fiscale di lungo periodo per sostenere gli investimenti privati. Con una sinergia pubblico-privato che caratterizza gli esempi migliori di collaborazione tra università e imprese (le esperienze positive dei due Politecnici di Milano e Torino sono quanto mai indicative).
Più ricerca e più scienza, dunque. E più donne impegnate, sulla scia degli esempi di Fabiola Giannotti, direttrice del CERN di Ginevra, di Lucia Votano, prima direttrice donna del Laboratorio del Gran Sasso, di Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr, della ministra dell’Università Maria Cristina Messa (medico impegnata nel lavoro di ricerca) e delle altre donne che incontrano un crescente successo in prestigiose università e centri di ricerca internazionali.
Più donne scienziate. Più donne ricercatrici, con ruoli di responsabilità di primo piano, come succede agli uomini. Più donne Stem.
A proposito delle lauree Stem vale però la pena aggiungere una considerazione. Che si può condensare in una lettera. In una A. A come arts, e cioè il complesso dei saperi umanistici da intrecciare con le conoscenze scientifiche. Passando dunque da Stem a Steam. E investendo su una caratteristica ben radicata nella cultura italiana, nelle stagioni migliori dell’Umanesimo e del Rinascimento e poi nel corso del Novecento del progresso industriale: una “cultura politecnica”, multidisciplinare, capace di fare della diversità dei saperi un punto di forza. Con un incrocio tra matematica e filosofia, ingegneria e letteratura, neuroscienze e sociologia, storia, economia e chimica, estetica e information technology. Proprio le caratteristiche dell’intelligenza e della sensibilità femminile spingono in questa direzione.
Steam, invece che soltanto Stem, era il frutto di una lunga, dettagliata elaborazione di Assolombarda, negli anni scorsi. L’evoluzione della cosiddetta “economia della conoscenza” conferma quell’elaborazione, nel segno dell’incrocio di differenti punti di vista, di diversi saperi complementari. Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale pone, contemporaneamente, questioni tecniche e problemi di senso e di indirizzo.
La scienza e la bellezza, in sintesi. E la bellezza dalla scienza. Come d’altronde ci hanno insegnato Primo Levi, nelle affascinanti pagine de “Il sistema periodico” e Leonardo Sinisgalli in “Furor mathematicus”. Levi, un chimico e uno scrittore. Sinisgalli, un ingegnere e un poeta. Entrambi da studiare, leggere, rileggere. Da parte di ragazzi e ragazze. Scienziate.