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Sul Corriere della Sera, “L’Italia riparte dalla cultura d’impresa”

L’Italia riparte dalla cultura d’impresa”,  ha scritto nei giorni scorsi (20 febbraio) il professor  Carlo Bellavite Pellegrini (storico dell’Università  Cattolica di Milano) sulle pagine dei commenti del “Corriere della Sera”. Un ragionamento serio, che vale la pena riprendere per i lettori del nostro blog. Cultura d’impresa come “quadro di valori e di principi”. Valido per le imprese che ne sono protagoniste, naturalmente. Ma anche per il Paese nel suo complesso, soprattutto in tempi di grande crisi. Infatti, nota Bellavite Pellegrini, “nell’attuale contesto di progressivo svilimento della nostra identità, storia e memoria nazionale, la cultura aziendale di alcune imprese italiane può utilmente diventare segno tangibile e vessillo planetario, immediatamente riconoscibile, per comunicare ai mercati e al mondo gli straordinari talenti, la creatività e il gusto che da sempre hanno stabile dimora in Italia”. L’identità diventa motore di competitività. E rappresentazione di storia e di futuro. Lo storico cita gli Archivi Storici di Fondazione Pirelli, Intesa San Paolo e Mediobanca come testimonianze dell’impegno positivo di grandi imprese, non solo per la conservazione della memoria, ma anche per comunicare a tutti gli stakeholders e al mercato l’insieme dei valori che l’impresa ha interpretato e intende continuare a far vivere. C’è da costruire, inoltre, un sistema, simbolico e funzionale,  di relazioni tra creatività, ricerca artistica e scientifica (una nuova frontiera che vede protagonisti molti degli artisti contemporeanei più innovativi, come Saraceno e Nicolai, protagonisti di opere di gran successo di critica e di pubblico all’HangarBicocca),  interpretazione dei cambiamenti delle tendenze dei gusti e dei mercati, decifrazione delle metamorfosi sociali e dunque anche economiche.  E c’è da rafforzare un rapporto con il territorio (la Bicocca, per la Fondazione Pirelli). Nota infatti Bellavite Pellegrini: “La cultura e l’arte sono valori condivisi nella storia di una nazione e come tali rappresentano fattori di stabilità, fiducia civile e coesione sociale, prerequisiti indispensabili per il mantenimento di un adeguato ‘capitale sociale’ necessario per il corretto funzionamento dei mercati”. In questo senso “la cultura d’impresa rappresenta un’esternalità positiva a beneficio del paese”, anche attraverso “la riqualificazione di centri e periferie, a seconda delle vocazioni, che le culture aziendali compiono a favore delle comunità presso cui insistono” . Impresa è cultura, dunque, anche da questo punto di vista.

L’Italia riparte dalla cultura d’impresa”,  ha scritto nei giorni scorsi (20 febbraio) il professor  Carlo Bellavite Pellegrini (storico dell’Università  Cattolica di Milano) sulle pagine dei commenti del “Corriere della Sera”. Un ragionamento serio, che vale la pena riprendere per i lettori del nostro blog. Cultura d’impresa come “quadro di valori e di principi”. Valido per le imprese che ne sono protagoniste, naturalmente. Ma anche per il Paese nel suo complesso, soprattutto in tempi di grande crisi. Infatti, nota Bellavite Pellegrini, “nell’attuale contesto di progressivo svilimento della nostra identità, storia e memoria nazionale, la cultura aziendale di alcune imprese italiane può utilmente diventare segno tangibile e vessillo planetario, immediatamente riconoscibile, per comunicare ai mercati e al mondo gli straordinari talenti, la creatività e il gusto che da sempre hanno stabile dimora in Italia”. L’identità diventa motore di competitività. E rappresentazione di storia e di futuro. Lo storico cita gli Archivi Storici di Fondazione Pirelli, Intesa San Paolo e Mediobanca come testimonianze dell’impegno positivo di grandi imprese, non solo per la conservazione della memoria, ma anche per comunicare a tutti gli stakeholders e al mercato l’insieme dei valori che l’impresa ha interpretato e intende continuare a far vivere. C’è da costruire, inoltre, un sistema, simbolico e funzionale,  di relazioni tra creatività, ricerca artistica e scientifica (una nuova frontiera che vede protagonisti molti degli artisti contemporeanei più innovativi, come Saraceno e Nicolai, protagonisti di opere di gran successo di critica e di pubblico all’HangarBicocca),  interpretazione dei cambiamenti delle tendenze dei gusti e dei mercati, decifrazione delle metamorfosi sociali e dunque anche economiche.  E c’è da rafforzare un rapporto con il territorio (la Bicocca, per la Fondazione Pirelli). Nota infatti Bellavite Pellegrini: “La cultura e l’arte sono valori condivisi nella storia di una nazione e come tali rappresentano fattori di stabilità, fiducia civile e coesione sociale, prerequisiti indispensabili per il mantenimento di un adeguato ‘capitale sociale’ necessario per il corretto funzionamento dei mercati”. In questo senso “la cultura d’impresa rappresenta un’esternalità positiva a beneficio del paese”, anche attraverso “la riqualificazione di centri e periferie, a seconda delle vocazioni, che le culture aziendali compiono a favore delle comunità presso cui insistono” . Impresa è cultura, dunque, anche da questo punto di vista.

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