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Symbola, ecco i vantaggi economici della sostenibilità: le imprese coesive sono più competitive e apprezzate

“Dobbiamo fare in modo che la ripresa sia equa e sostenibile”, sostiene il presidente del Consiglio Mario Draghi. Non basta tornare a crescere, dopo la crisi scatenata dalla pandemia e dalla recessione conseguente. Se nel passato “ci siamo dimenticati della coesione sociale”, se “abbiamo dato la democrazia per scontata” e ignorato “il rischio del populismo” adesso è necessario guardare alla qualità dello sviluppo, in società che “stanno attraversando cambiamenti economici importanti”. E dunque “dobbiamo dare un sostegno ai lavoratori attraverso politiche attive del mercato del lavoro”, creando “nuove opportunità per le donne e per i giovani, oltre a riqualificare coloro che hanno perso il lavoro”.

Equità, sostenibilità ambientale e sociale, lavoro, come cardini della nuova stagione economica che stiamo cercando di costruire. Mario Draghi, convinto che “la coesione sia un dovere morale” oltre che una positiva opportunità economica, parla a Barcellona, accanto al premier spagnolo Pedro Sánchez, ricevendo il premio “Cercle d’Economia”, venerdì 18 giugno. Ed è lo stesso giorno in cui in Italia scoppia il caso del sindacalista ucciso e travolto da un camionista che cercava di forzare il blocco dei lavoratori in sciopero contro “l’inferno della logistica” nei piazzali di Biandrate (Novara).

Coincidenze (“incidenze”, avrebbe detto Leonardo Sciascia), con un forte valore simbolico. Ci sono molte facce, nel mondo del lavoro. Le trasformazioni high tech nelle fabbriche digitali e attive sui mercati internazionali, con un sofisticato miglioramento di condizioni d’impegno e salari. E le arretratezze in settori dei servizi in cui la rincorsa del costo più basso determina drammatici squilibri economici e sociali. Contraddizioni pesanti, contrasti ruvidi. Da cercare di risolvere e appianare.

La cornice è appunto quella della ripresa “equa e sostenibile” di cui parla giustamente Draghi. Gli strumenti sono le riforme che riguardano il lavoro, le leggi che lo regolano, i contratti, gli ammortizzatori sociali. Un impegno serissimo da affrontare, senza demagogie, con lungimiranza riformista da parte della politica, delle rappresentanze sociali e delle imprese. L’attuazione del Recovery Plan della Ue secondo i binari della green e della digital economy e dei processi di diffusione della conoscenza (scuola, formazione di lunga durata) e della coesione sociale e la sua traduzione nelle misure del Pnrr (il Piano italiano di ripresa e resilienza), appena approvato a pieni voti da Bruxelles sono gli strumenti in uso. E la sfida è comunque più generale, in quel “cambio di paradigma” di prodotti, produzioni e consumi da anni indicato dalla migliore letteratura economica internazionale, ma anche da Papa Francesco e dalle stesse imprese più sensibili alla necessità di legare sostenibilità e competitività, produttività e solidarietà.

Riforme, dunque. Investimenti, cui destinare risorse che derivano dai debiti contratti dalla Ue e dagli Stati (è il “debito buono” di cui parla Draghi, contrapposto al “debito cattivo” dell’assistenzialismo clientelare, la spesa pubblica produttiva che crea sviluppo). E una strategia di collaborazione tra pubblico e privato, Stato e imprese di mercato.

Indicazioni molto interessanti, guardando proprio alle imprese e alla loro evoluzione, arrivano adesso dal Rapporto annuale di Fondazione Symbola, Unioncamere e Intesa San Paolo su “Coesione e competizione – Nuove geografie della produzione del valore in Italia”. Per usare una sintesi efficace, “la coesione è un formidabile fattore produttivo, soprattutto in Italia”, sostiene Ermete Realacci, presidente di Symbola.

Il mondo – dice il Rapporto – sta cambiando e l’economia che ci ha guidato per decenni è inadeguata a gestire le crisi attuali. E “con la sostenibilità avanzano nuovi modelli nell’uso delle risorse (green economy,sharing economy, circular economy, bioeconomy), nell’uso delle competenze diffuse (open innovation, crowdsourcing), nell’accesso all’informazione (platform economy), nell’accesso ai finanziamenti (crowdfunding, sustainable bond), abilitati dalle nuove tecnologie e dal digitale. Sfide che chiamano a un’azione comune imprese, comunità, istituzioni, cittadini”.

Le imprese coesive, quelle cioè più attente ai propri dipendenti, ai territori con cui hanno rapporti e a tutti gli altri stakeholders, sono 49mila, tra le manifatturiere, soprattuto piccole e medie. Crescono di numero e capacità competitive. E hanno migliori risultati economici: esportano di più (il 58% contro il 39% delle non coesive); fanno più eco-investimenti (il 39% contro il 19% delle non coesive); investono di più per migliorare prodotti e servizi (il 58% contro il 46% delle non coesive); adottano misure legate al Piano di Transizione 4.0 (il 28% contro l’11% delle non coesive). E le imprese coesive che investiranno in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e minor impatto ambientale nel triennio 2021-23 sono il 26%, contro il 12% delle altre.

Tra le imprese coesive – continua il Rapporto Symbola – è anche significativamente maggiore la capacità di stabilire buoni rapporti con il mondo della cultura (con quali donazioni, sponsorizzazioni, partnership con istituzioni culturali, ecc.): sono il 26%, rispetto alle 11% non coesive.

Un altro dato significativo riguarda la digitalizzazione: la quota delle imprese che hanno adottato o stanno pianificando di adottare misure legate alla Transizione 4.0 è pari a 28% per le imprese coesive e dell’11% per le altre.

Anche se c’è ancora molto da fare, coesione vuol dire pure “miglioramento del bilanciamento di genere”: nel Rapporto si evidenzia un incremento delle donne nei cda delle società quotate passato da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, il 36,3%, mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41,6% del 2019, con 475 sindaci donne.

La coesione rappresenta per le imprese un’occasione per accrescere il senso di appartenenza e soddisfazione di vita dei propri dipendenti (nel 2020 le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale sono cresciute del 19,5%), per rafforzare le relazioni di filiera e distrettuali (le imprese ricadenti nei distretti secondo il monitor di Intesa Sanpaolo negli ultimi anni hanno visto crescere la produttività più delle imprese non distrettuali), ma anche per competere in un mercato che premia sempre di più gli atteggiamenti virtuosi.

Sul versante degli investimenti, crescono quelli diretti verso aziende che dimostrano attenzione alla dimensione sociale e ambientale. E i consumatori, “votando con il portafoglio o con i click, scelgono sempre più consapevolmente prodotti rispettosi dell’uomo e dell’ambiente e talvolta con il crowdfunding supportano le aziende più sostenibili”.

La coesione, come dimostra l’indagine condotta da Ipsos per Symbola, insieme alla sostenibilità, incrocia sempre di più nella percezione dei cittadini il tema della qualità. Già oggi due italiani su tre sono disposti a riconoscere, alle imprese che hanno atteggiamenti coesivi, un premium price sui prodotti e servizi offerti. Un differenziale di prezzo che in media è del 10% in più a favore delle imprese coesive.

Dove sono concentrate le imprese coesive? Quasi il 70% è al Nord e più del 50% in tre regioni: Lombardia (26,3%), Veneto (13,6%) ed Emilia-Romagna (13,4%). Nel Rapporto Symbola si rileva inoltre una relazione positiva con il benessere economico: le regioni in cui l’incidenza di imprese coesive è più elevata sono anche quelle con un Pil pro capite più elevato. Benessere economico, ma anche sociale e ambientale dei territori. Mettendo in relazione la presenza di imprese coesive e gli indicatori BES (Benessere Equo Sostenibile) dell’Istat, ci sono correlazioni positive elevate per la “qualità del lavoro”, la “qualità dei servizi” e la “politica e le istituzioni”.

“Dobbiamo fare in modo che la ripresa sia equa e sostenibile”, sostiene il presidente del Consiglio Mario Draghi. Non basta tornare a crescere, dopo la crisi scatenata dalla pandemia e dalla recessione conseguente. Se nel passato “ci siamo dimenticati della coesione sociale”, se “abbiamo dato la democrazia per scontata” e ignorato “il rischio del populismo” adesso è necessario guardare alla qualità dello sviluppo, in società che “stanno attraversando cambiamenti economici importanti”. E dunque “dobbiamo dare un sostegno ai lavoratori attraverso politiche attive del mercato del lavoro”, creando “nuove opportunità per le donne e per i giovani, oltre a riqualificare coloro che hanno perso il lavoro”.

Equità, sostenibilità ambientale e sociale, lavoro, come cardini della nuova stagione economica che stiamo cercando di costruire. Mario Draghi, convinto che “la coesione sia un dovere morale” oltre che una positiva opportunità economica, parla a Barcellona, accanto al premier spagnolo Pedro Sánchez, ricevendo il premio “Cercle d’Economia”, venerdì 18 giugno. Ed è lo stesso giorno in cui in Italia scoppia il caso del sindacalista ucciso e travolto da un camionista che cercava di forzare il blocco dei lavoratori in sciopero contro “l’inferno della logistica” nei piazzali di Biandrate (Novara).

Coincidenze (“incidenze”, avrebbe detto Leonardo Sciascia), con un forte valore simbolico. Ci sono molte facce, nel mondo del lavoro. Le trasformazioni high tech nelle fabbriche digitali e attive sui mercati internazionali, con un sofisticato miglioramento di condizioni d’impegno e salari. E le arretratezze in settori dei servizi in cui la rincorsa del costo più basso determina drammatici squilibri economici e sociali. Contraddizioni pesanti, contrasti ruvidi. Da cercare di risolvere e appianare.

La cornice è appunto quella della ripresa “equa e sostenibile” di cui parla giustamente Draghi. Gli strumenti sono le riforme che riguardano il lavoro, le leggi che lo regolano, i contratti, gli ammortizzatori sociali. Un impegno serissimo da affrontare, senza demagogie, con lungimiranza riformista da parte della politica, delle rappresentanze sociali e delle imprese. L’attuazione del Recovery Plan della Ue secondo i binari della green e della digital economy e dei processi di diffusione della conoscenza (scuola, formazione di lunga durata) e della coesione sociale e la sua traduzione nelle misure del Pnrr (il Piano italiano di ripresa e resilienza), appena approvato a pieni voti da Bruxelles sono gli strumenti in uso. E la sfida è comunque più generale, in quel “cambio di paradigma” di prodotti, produzioni e consumi da anni indicato dalla migliore letteratura economica internazionale, ma anche da Papa Francesco e dalle stesse imprese più sensibili alla necessità di legare sostenibilità e competitività, produttività e solidarietà.

Riforme, dunque. Investimenti, cui destinare risorse che derivano dai debiti contratti dalla Ue e dagli Stati (è il “debito buono” di cui parla Draghi, contrapposto al “debito cattivo” dell’assistenzialismo clientelare, la spesa pubblica produttiva che crea sviluppo). E una strategia di collaborazione tra pubblico e privato, Stato e imprese di mercato.

Indicazioni molto interessanti, guardando proprio alle imprese e alla loro evoluzione, arrivano adesso dal Rapporto annuale di Fondazione Symbola, Unioncamere e Intesa San Paolo su “Coesione e competizione – Nuove geografie della produzione del valore in Italia”. Per usare una sintesi efficace, “la coesione è un formidabile fattore produttivo, soprattutto in Italia”, sostiene Ermete Realacci, presidente di Symbola.

Il mondo – dice il Rapporto – sta cambiando e l’economia che ci ha guidato per decenni è inadeguata a gestire le crisi attuali. E “con la sostenibilità avanzano nuovi modelli nell’uso delle risorse (green economy,sharing economy, circular economy, bioeconomy), nell’uso delle competenze diffuse (open innovation, crowdsourcing), nell’accesso all’informazione (platform economy), nell’accesso ai finanziamenti (crowdfunding, sustainable bond), abilitati dalle nuove tecnologie e dal digitale. Sfide che chiamano a un’azione comune imprese, comunità, istituzioni, cittadini”.

Le imprese coesive, quelle cioè più attente ai propri dipendenti, ai territori con cui hanno rapporti e a tutti gli altri stakeholders, sono 49mila, tra le manifatturiere, soprattuto piccole e medie. Crescono di numero e capacità competitive. E hanno migliori risultati economici: esportano di più (il 58% contro il 39% delle non coesive); fanno più eco-investimenti (il 39% contro il 19% delle non coesive); investono di più per migliorare prodotti e servizi (il 58% contro il 46% delle non coesive); adottano misure legate al Piano di Transizione 4.0 (il 28% contro l’11% delle non coesive). E le imprese coesive che investiranno in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e minor impatto ambientale nel triennio 2021-23 sono il 26%, contro il 12% delle altre.

Tra le imprese coesive – continua il Rapporto Symbola – è anche significativamente maggiore la capacità di stabilire buoni rapporti con il mondo della cultura (con quali donazioni, sponsorizzazioni, partnership con istituzioni culturali, ecc.): sono il 26%, rispetto alle 11% non coesive.

Un altro dato significativo riguarda la digitalizzazione: la quota delle imprese che hanno adottato o stanno pianificando di adottare misure legate alla Transizione 4.0 è pari a 28% per le imprese coesive e dell’11% per le altre.

Anche se c’è ancora molto da fare, coesione vuol dire pure “miglioramento del bilanciamento di genere”: nel Rapporto si evidenzia un incremento delle donne nei cda delle società quotate passato da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, il 36,3%, mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41,6% del 2019, con 475 sindaci donne.

La coesione rappresenta per le imprese un’occasione per accrescere il senso di appartenenza e soddisfazione di vita dei propri dipendenti (nel 2020 le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale sono cresciute del 19,5%), per rafforzare le relazioni di filiera e distrettuali (le imprese ricadenti nei distretti secondo il monitor di Intesa Sanpaolo negli ultimi anni hanno visto crescere la produttività più delle imprese non distrettuali), ma anche per competere in un mercato che premia sempre di più gli atteggiamenti virtuosi.

Sul versante degli investimenti, crescono quelli diretti verso aziende che dimostrano attenzione alla dimensione sociale e ambientale. E i consumatori, “votando con il portafoglio o con i click, scelgono sempre più consapevolmente prodotti rispettosi dell’uomo e dell’ambiente e talvolta con il crowdfunding supportano le aziende più sostenibili”.

La coesione, come dimostra l’indagine condotta da Ipsos per Symbola, insieme alla sostenibilità, incrocia sempre di più nella percezione dei cittadini il tema della qualità. Già oggi due italiani su tre sono disposti a riconoscere, alle imprese che hanno atteggiamenti coesivi, un premium price sui prodotti e servizi offerti. Un differenziale di prezzo che in media è del 10% in più a favore delle imprese coesive.

Dove sono concentrate le imprese coesive? Quasi il 70% è al Nord e più del 50% in tre regioni: Lombardia (26,3%), Veneto (13,6%) ed Emilia-Romagna (13,4%). Nel Rapporto Symbola si rileva inoltre una relazione positiva con il benessere economico: le regioni in cui l’incidenza di imprese coesive è più elevata sono anche quelle con un Pil pro capite più elevato. Benessere economico, ma anche sociale e ambientale dei territori. Mettendo in relazione la presenza di imprese coesive e gli indicatori BES (Benessere Equo Sostenibile) dell’Istat, ci sono correlazioni positive elevate per la “qualità del lavoro”, la “qualità dei servizi” e la “politica e le istituzioni”.

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