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Un patto per la ripresa tra Bankitalia, il governo e le imprese per usare bene i fondi della Ue

Ci sono tre parole chiave, in questa faticosa fine di primavera 2020, per ragionare sulla ripartenza, dopo la fase più acuta e dolorosa della pandemia ma ancora in piena recessione. La prima è “insieme”. La seconda è “progetto”. La terza è “responsabilità”.

La prima indica il tessuto di valori condivisi che avvolge la società italiana e che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ben indicato nella sobria ed essenziale cerimonia del 2 giugno, ricordando che “c’è qualcosa che viene prima della politica ed è l’unità morale, la condivisione di un unico destino”. Senza naturalmente sospendere la dialettica politica, forza vitale d’una democrazia, è necessario comunque che le forze politiche ritrovino “lo spirito costituente che rappresentò il principale motore della rinascita”.

Il richiamo ai valori condivisi e alla capacità di stare “insieme” è fondamentale proprio adesso, in un’Italia in cui la crisi ha aggravato vecchie divisioni e ne ha creato di nuove. Crescono polemiche tra regioni, trovano sfogo rancori del Sud verso il Nord, si alimentano ingiuste critiche contro Milano e la Lombardia trattate come una sorta di “untori” (e Mattarella giustamente va, proprio il 2 giugno, a Codogno, proprio là dove è cominciata la drammatica stagione dei malati e dei morti). Tornano alla ribalta le pressioni politiche contro la Ue e l’euro. Si animano piazza sgangherate, agitante da “forconi” e “gilet arancioni”. Si batte sul tasto delle divisioni, in vocianti talk show televisivi. E sui social tornano ad agitarsi i propagandisti dell’odio personale e sociale.

C’è, sul fondo della società italiana impaurita e impoverita, una quota di rabbia sociale, per motivi reali (i posti di lavoro persi o minacciati, i redditi drasticamente ridotti, le speranze di migliore qualità della vita andate in frantumi) e per ampia sofferenza psicologica che la pandemia e la crisi economica hanno reso più acuta. Ma c’è anche chi soffia sul fuoco della sfiducia, da “imprenditore della paura” in cerca di rapido e facile consenso politico. La tenuta istituzionale è una legittima preoccupazione politica, da non sottovalutare.

“Non usate le sofferenze degli uni contro gli altri”, dice il presidente Mattarella, preoccupato per il degrado del clima politico e sociale. Ed è proprio al Quirinale che bisogna continuare a guardare con attenzione e rispetto, da parte di tutte le forze politiche e delle organizzazioni economiche e sociali, come il luogo del senso di responsabilità e dell’equilibrio, della chiarezza, della consapevolezza dei valori comuni. Il luogo della ricostruzione della fiducia.

La seconda parola è “progetto”. Anzi, meglio, al plurale, “progetti”. Sono quelli che chiede giustamente la Ue, quando mette in campo i 750 miliardi del Recovery Fund, definito con fascino futuribile “Next Generation”: progetti concreti per la green economy e per lo sviluppo dell’economia digitale, cioè per un ambizioso piano di crescita equilibrata e sostenibile fondato sulla sinergia virtuosa tra ambiente e Intelligenza Artificiale, qualità della vita e nuove e migliori opportunità di lavoro. E’ il “cambio di paradigma” chiesto da economisti e ambientalisti, imprenditori sensibili alla sostenibilità dell’industria e dei servizi secondo la buona cultura d’impresa degli stakeholder values e ben espressa dal “Manifesto di Assisi” firmato da Fondazione Symbola e francescani, Confindustria e personalità della cultura, sulla scia della lezione sulla “economia giusta” di Papa Francesco.

Ecco il punto: la Ue indica la strada della solidarietà, sospende e pensa di riscrivere il “Patto di Stabilità”, si muove in concordia con la Bce per mettere grandi risorse a disposizione di imprese e famiglie, affrontando bene la crisi da Covid 19 ma non è giustamente incline a dare via libera alla spesa pubblica assistenziale e improduttiva. La strada indicata è seria e impegnativa: infrastrutture e riforme per la produttività e la competitività, l’economia digitale e le nuove filiere produttive, l’innovazione e la formazione, la ricerca e la scienza, la salute nell’accezione più ampia (benvenuti, dunque, gli stanziamenti del Mes, 36 miliardi per l’Italia). Non c’è spazio per un’economia clientelare dei sussidi, tanto cara purtroppo ancora ad ambienti di governo né per  generici e demagogici tagli alle tasse e improponibili flat tax. Le risorse della Ue, insomma, hanno condizioni: investimenti e non spesa corrente, trasformazioni positive dell’Europa per reggere una aspra e difficile competizione economica e politica globale, non egoismi di provincia. Il Commissario Ue per l’economia, Paolo Gentiloni, è molto chiaro: “Il Recovery Fund non è una torta da spartire. Ci vuole molta serietà, è un’occasione irripetibile” (Corriere della Sera, 30 maggio).

La sfida, per la classe dirigente politica, imprenditoriale e sindacale italiana, dunque, è essere all’altezza del rinnovamento e del cambiamento. Senza ubbìe e piccinerie anti-euro. Senza polemiche di basso profilo.

Dopo il Quirinale, il riferimento è la Banca d’Italia. Il Governatore Ignazio Visco, nelle Considerazioni Finali lette il 29 maggio, ha indicato l’urgenza di “un patto per la ripresa tra governo, imprese e società”, parlando di digitalizzazione, infrastrutture, capitale umano, ricerca, innovazione, patrimonio naturale e artistico e risorse da impiegare bene (il che vuol dire non esasperare il debito pubblico per sprechi e assistenzialismi e lavorare per la crescita economica, in modo da ridurre stabilmente il rapporto tra debito e Pil). “La valanga di sussidi e aiuti non potrà durare per sempre: serve una svolta per la ripresa”, ha aggiunto Visco. E c’è una significativa sintonia con le posizioni della Chiesa: “Bisogna alleviare il dolore. Non con il cerotto dell’assistenzialismo ma con il vaccino del lavoro, che dona serenità”, ha detto domenica 31 maggio il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, a Walter Veltroni sul “Corriere della Sera”.

Proprio una nuova politica per la ripresa chiedono anche le imprese italiane, con un appello al governo Conte pubblicato dai quotidiani il 31 maggio e firmato da Carlo Bonomi (Confindustria), Antonio Patuelli (le banche dell’Abi), Ettore Prandini (Coldiretti), Gabriele Buia (i costruttori edili dell’Anci), Massimo Giansanti (Confagricoltura), Mauro Lusetti (Alleanza delle cooperative), Dino Scanavino (gli artigiani della Cia), Maurizio Casasco (Confapi) e Franco Verrascina (Copagri): i presidenti delle grandi associazioni imprenditoriali dell’industria e della finanza, dell’agricoltura, dell’artigianato e della cooperazione. L’indicazione è comunque chiara: al di là dei necessari provvedimenti d’emergenza (che purtroppo tardano a produrre i loro effetti e alleviare le sofferenze di imprese, famiglie, lavoratori in cassa integrazione, professionisti in drammatica crisi di reddito), bisogna fare di tutto per mettere rapidamente in piedi progetti realizzabili per ammodernare e rilanciare l’Italia. E di “patto per la ripresa” parla pure il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Le sintonie possibili, insomma, non mancano, dall’emergenza al medio periodo per la crescita. Si può fare meglio, e di più. Per l’Italia, è possibile rompere vecchi vincoli che hanno bloccato o rallentato la crescita e costruire un futuro migliore.

La cornice sono le indicazioni per i fondi Ue. Le volontà, nell’Italia responsabile, non mancano. Le energie migliori da mettere, “insieme”, al tavolo della ripresa, hanno già cominciato a dichiarare la loro disponibilità.

Ecco la terza parola: “responsabilità”. Le imprese italiane ne hanno dato ancora una volta prove significative, negli anni recenti. Investendo, innovando, esportando, hanno contributo in modo determinante a fare uscire l’Italia dalle secche della Grande Crisi finanziaria del 2008, anche se la scarsa produttività del sistema (della pubblica amministrazione soprattutto) ha schiacciato verso il basso la crescita del Paese. E sempre le imprese hanno trovato nuovi spazi di crescita su difficili mercati internazionali, mantenendo l’Italia tra i primi cinque paesi al mondo per bilancia commerciale positiva. Hanno mantenuto i valori dell’ascensore sociale (il premio ai capaci e ai meritevoli) in un’Italia ancora afflitta da clientele, parentele, corporazioni e consorterie. E hanno  fronteggiato un difficile clima ostile all’industria, al mercato, alle competenze, alle conoscenze, alla scienza, che ha purtroppo trovato ascolto anche in ambienti di governo.

Se di innovazione, investimenti, ricerca e sviluppo sostenibile è necessario parlare, le imprese italiane sono in prima linea. Fare progetti e realizzarli è il loro mestiere. Il nuovo corso di Confindustria, con la presidenza di Carlo Bonomi, se si leggono con attenzione documenti e ricerche, discorsi ufficiali e prese di posizione, indica appunto un forte senso di responsabilità e di assunzione di impegno per valori e interessi generali. E i riferimenti sono le indicazioni dei valori che vengono dal Quirinale e dalla Banca d’Italia. In sintonia con la Ue.

Ci sono tre parole chiave, in questa faticosa fine di primavera 2020, per ragionare sulla ripartenza, dopo la fase più acuta e dolorosa della pandemia ma ancora in piena recessione. La prima è “insieme”. La seconda è “progetto”. La terza è “responsabilità”.

La prima indica il tessuto di valori condivisi che avvolge la società italiana e che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ben indicato nella sobria ed essenziale cerimonia del 2 giugno, ricordando che “c’è qualcosa che viene prima della politica ed è l’unità morale, la condivisione di un unico destino”. Senza naturalmente sospendere la dialettica politica, forza vitale d’una democrazia, è necessario comunque che le forze politiche ritrovino “lo spirito costituente che rappresentò il principale motore della rinascita”.

Il richiamo ai valori condivisi e alla capacità di stare “insieme” è fondamentale proprio adesso, in un’Italia in cui la crisi ha aggravato vecchie divisioni e ne ha creato di nuove. Crescono polemiche tra regioni, trovano sfogo rancori del Sud verso il Nord, si alimentano ingiuste critiche contro Milano e la Lombardia trattate come una sorta di “untori” (e Mattarella giustamente va, proprio il 2 giugno, a Codogno, proprio là dove è cominciata la drammatica stagione dei malati e dei morti). Tornano alla ribalta le pressioni politiche contro la Ue e l’euro. Si animano piazza sgangherate, agitante da “forconi” e “gilet arancioni”. Si batte sul tasto delle divisioni, in vocianti talk show televisivi. E sui social tornano ad agitarsi i propagandisti dell’odio personale e sociale.

C’è, sul fondo della società italiana impaurita e impoverita, una quota di rabbia sociale, per motivi reali (i posti di lavoro persi o minacciati, i redditi drasticamente ridotti, le speranze di migliore qualità della vita andate in frantumi) e per ampia sofferenza psicologica che la pandemia e la crisi economica hanno reso più acuta. Ma c’è anche chi soffia sul fuoco della sfiducia, da “imprenditore della paura” in cerca di rapido e facile consenso politico. La tenuta istituzionale è una legittima preoccupazione politica, da non sottovalutare.

“Non usate le sofferenze degli uni contro gli altri”, dice il presidente Mattarella, preoccupato per il degrado del clima politico e sociale. Ed è proprio al Quirinale che bisogna continuare a guardare con attenzione e rispetto, da parte di tutte le forze politiche e delle organizzazioni economiche e sociali, come il luogo del senso di responsabilità e dell’equilibrio, della chiarezza, della consapevolezza dei valori comuni. Il luogo della ricostruzione della fiducia.

La seconda parola è “progetto”. Anzi, meglio, al plurale, “progetti”. Sono quelli che chiede giustamente la Ue, quando mette in campo i 750 miliardi del Recovery Fund, definito con fascino futuribile “Next Generation”: progetti concreti per la green economy e per lo sviluppo dell’economia digitale, cioè per un ambizioso piano di crescita equilibrata e sostenibile fondato sulla sinergia virtuosa tra ambiente e Intelligenza Artificiale, qualità della vita e nuove e migliori opportunità di lavoro. E’ il “cambio di paradigma” chiesto da economisti e ambientalisti, imprenditori sensibili alla sostenibilità dell’industria e dei servizi secondo la buona cultura d’impresa degli stakeholder values e ben espressa dal “Manifesto di Assisi” firmato da Fondazione Symbola e francescani, Confindustria e personalità della cultura, sulla scia della lezione sulla “economia giusta” di Papa Francesco.

Ecco il punto: la Ue indica la strada della solidarietà, sospende e pensa di riscrivere il “Patto di Stabilità”, si muove in concordia con la Bce per mettere grandi risorse a disposizione di imprese e famiglie, affrontando bene la crisi da Covid 19 ma non è giustamente incline a dare via libera alla spesa pubblica assistenziale e improduttiva. La strada indicata è seria e impegnativa: infrastrutture e riforme per la produttività e la competitività, l’economia digitale e le nuove filiere produttive, l’innovazione e la formazione, la ricerca e la scienza, la salute nell’accezione più ampia (benvenuti, dunque, gli stanziamenti del Mes, 36 miliardi per l’Italia). Non c’è spazio per un’economia clientelare dei sussidi, tanto cara purtroppo ancora ad ambienti di governo né per  generici e demagogici tagli alle tasse e improponibili flat tax. Le risorse della Ue, insomma, hanno condizioni: investimenti e non spesa corrente, trasformazioni positive dell’Europa per reggere una aspra e difficile competizione economica e politica globale, non egoismi di provincia. Il Commissario Ue per l’economia, Paolo Gentiloni, è molto chiaro: “Il Recovery Fund non è una torta da spartire. Ci vuole molta serietà, è un’occasione irripetibile” (Corriere della Sera, 30 maggio).

La sfida, per la classe dirigente politica, imprenditoriale e sindacale italiana, dunque, è essere all’altezza del rinnovamento e del cambiamento. Senza ubbìe e piccinerie anti-euro. Senza polemiche di basso profilo.

Dopo il Quirinale, il riferimento è la Banca d’Italia. Il Governatore Ignazio Visco, nelle Considerazioni Finali lette il 29 maggio, ha indicato l’urgenza di “un patto per la ripresa tra governo, imprese e società”, parlando di digitalizzazione, infrastrutture, capitale umano, ricerca, innovazione, patrimonio naturale e artistico e risorse da impiegare bene (il che vuol dire non esasperare il debito pubblico per sprechi e assistenzialismi e lavorare per la crescita economica, in modo da ridurre stabilmente il rapporto tra debito e Pil). “La valanga di sussidi e aiuti non potrà durare per sempre: serve una svolta per la ripresa”, ha aggiunto Visco. E c’è una significativa sintonia con le posizioni della Chiesa: “Bisogna alleviare il dolore. Non con il cerotto dell’assistenzialismo ma con il vaccino del lavoro, che dona serenità”, ha detto domenica 31 maggio il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, a Walter Veltroni sul “Corriere della Sera”.

Proprio una nuova politica per la ripresa chiedono anche le imprese italiane, con un appello al governo Conte pubblicato dai quotidiani il 31 maggio e firmato da Carlo Bonomi (Confindustria), Antonio Patuelli (le banche dell’Abi), Ettore Prandini (Coldiretti), Gabriele Buia (i costruttori edili dell’Anci), Massimo Giansanti (Confagricoltura), Mauro Lusetti (Alleanza delle cooperative), Dino Scanavino (gli artigiani della Cia), Maurizio Casasco (Confapi) e Franco Verrascina (Copagri): i presidenti delle grandi associazioni imprenditoriali dell’industria e della finanza, dell’agricoltura, dell’artigianato e della cooperazione. L’indicazione è comunque chiara: al di là dei necessari provvedimenti d’emergenza (che purtroppo tardano a produrre i loro effetti e alleviare le sofferenze di imprese, famiglie, lavoratori in cassa integrazione, professionisti in drammatica crisi di reddito), bisogna fare di tutto per mettere rapidamente in piedi progetti realizzabili per ammodernare e rilanciare l’Italia. E di “patto per la ripresa” parla pure il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Le sintonie possibili, insomma, non mancano, dall’emergenza al medio periodo per la crescita. Si può fare meglio, e di più. Per l’Italia, è possibile rompere vecchi vincoli che hanno bloccato o rallentato la crescita e costruire un futuro migliore.

La cornice sono le indicazioni per i fondi Ue. Le volontà, nell’Italia responsabile, non mancano. Le energie migliori da mettere, “insieme”, al tavolo della ripresa, hanno già cominciato a dichiarare la loro disponibilità.

Ecco la terza parola: “responsabilità”. Le imprese italiane ne hanno dato ancora una volta prove significative, negli anni recenti. Investendo, innovando, esportando, hanno contributo in modo determinante a fare uscire l’Italia dalle secche della Grande Crisi finanziaria del 2008, anche se la scarsa produttività del sistema (della pubblica amministrazione soprattutto) ha schiacciato verso il basso la crescita del Paese. E sempre le imprese hanno trovato nuovi spazi di crescita su difficili mercati internazionali, mantenendo l’Italia tra i primi cinque paesi al mondo per bilancia commerciale positiva. Hanno mantenuto i valori dell’ascensore sociale (il premio ai capaci e ai meritevoli) in un’Italia ancora afflitta da clientele, parentele, corporazioni e consorterie. E hanno  fronteggiato un difficile clima ostile all’industria, al mercato, alle competenze, alle conoscenze, alla scienza, che ha purtroppo trovato ascolto anche in ambienti di governo.

Se di innovazione, investimenti, ricerca e sviluppo sostenibile è necessario parlare, le imprese italiane sono in prima linea. Fare progetti e realizzarli è il loro mestiere. Il nuovo corso di Confindustria, con la presidenza di Carlo Bonomi, se si leggono con attenzione documenti e ricerche, discorsi ufficiali e prese di posizione, indica appunto un forte senso di responsabilità e di assunzione di impegno per valori e interessi generali. E i riferimenti sono le indicazioni dei valori che vengono dal Quirinale e dalla Banca d’Italia. In sintonia con la Ue.

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