Un Rinascimento industriale e civile, tra università, neofabbriche e smart cities
“Shaping the future”, è il motto che connota il nuovo anno accademico ’22-’23 dell’Università Bicocca di Milano, 37mila studenti, 1200 professori in 73 corsi di laurea e una rapida crescita nelle classifiche internazionali sulla qualità della didattica e della ricerca. Un futuro, commenta la Magnifica Rettrice Giovanna Iannantuoni, da costruire sulla consapevolezza del passato. C’è una seconda indicazione strategica, su cui si fa affidamento e che sta in una frase di Ursula von der Leyen, presidentessa della Commissione Ue: “La storia d’Europa è una storia di Rinascimento”.
Il Rinascimento come riferimento identitario e fondamento di sviluppo, dunque. La memoria come asset di crescita. Tutto un progetto “a futura memoria”, per usare l’affascinante sintesi del titolo dell’ultima opera di Leonardo Sciascia, una delle migliori intelligenze letterarie e civili dell’Europa del Novecento. Avendo consapevolezza del dubbio (…“se la memoria ha un futuro”) ma anche sensibilità acuta per la forza della ragione. Confidando, cioè, in un ritrovato illuminismo, essenziale in un’epoca in cui in tanti diffidano di scienza e conoscenza critica e preferiscono abbandonarsi al “pensiero magico” e, più miseramente, alle suggestioni delle fake news e alle inclinazioni della cosiddetta “utopia della fuga” che preferisce gli “idoli” alla durezza della realtà e alle faticose responsabilità di una “utopia della ricostruzione” (secondo la severa lezione di Lewis Mumford).
Un Rinascimento critico, insomma, che celebra le sue luci ma non ha paura di fare i conti con le sue ombre (andare a vedere, appunto a Milano, la straordinaria mostra sulle opere di Hieronymus Bosch a Palazzo Reale, per averne conferma).
L’Università Bicocca entra nel suo 25° anno di attività. E’ stata costruita e poi ampliata in un’area, la Bicocca appunto, a nord della città, dove nel corso del Novecento, si è espansa la grande industria, la Pirelli innanzitutto e poi, verso Sesto San Giovanni, la Breda metalmeccanica e la Falck siderurgica. Catene di montaggio e officine, fonderie e laminatoi, i fischi delle sirene che scandivano i turni di lavoro, i binari dei freni che entravano negli stabilimenti per caricare le merci e i binari dei tram affollati dagli operai. Un modo rigoroso e difficile, attivo e orgoglioso, produttivo e denso di capacità tecniche e consapevolezze politiche, sindacali e civili.
Di tutto questo, restano memorie (grazie anche ai documenti e alle immagini custodite nell’archivio storico della Fondazione Pirelli e in quelli dell’Isec, l’Istituto di Storia Contemporanea). Ed eredità di cultura e passioni. In un quartiere ben progettato da Vittorio Gregotti, alla fine del Novecento, per tenere insieme università e imprese, luoghi della cultura e spazi sportivi, abitazioni civili e centri di servizio: una dimensione urbana capace di dare seguito alla sintesi di bellezza e funzionalità del Grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti e di anticipare le tendenze della Milano che sarebbe arrivata, con Porta Nuova e City Life, la Bovisa trasformata e Mind (Milano Innovation District).
“Umanesimo industriale”, si ripete spesso nei convegni sull’attualità della cultura d’impresa, anche per ricordare il ruolo delle riviste aziendali che hanno animato la migliore cultura degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (la Rivista “Pirelli”, “Civiltà delle Macchine” della Finmeccanica/Iri, “Comunità” dell’Olivetti e “Il Gatto Selvatico” dell’Eni). Si aggiunge: “cultura politecnica”, per indicare la sintesi tra saperi umanistici e conoscenze scientifiche, rigore della techne e sofisticato senso della bellezza, ingegneria e filosofia. E, per parlare di qualità dell’industria italiana negli anni Duemila della meccatronica e della digital economy, anche sulla stampa internazionale si parla di “Rinascimento manifatturiero”.
Rieccoci, così, alle parole care all’università. Testimonianza vivace del passaggio dalla fabbrica alla “fabbrica delle idee e della conoscenza”, dall’industria a un luogo denso di cultura in cui si costruiscono le competenze utili per un migliore futuro. Luoghi multidisciplinari, così com’è sempre stata multidisciplinare l’industria. E particolarmente essenziali oggi, nel tempo in cui la diffusione dell’Intelligenza artificiale chiede ingegneri-filosofi e matematici che degli algoritmi sappiano pensare non solo lo sviluppo tecnico ma il senso sociale e morale, chimici e sociologhi, data scientist e giuristi, architetti ed esperti di digital economy, psicologi e tecnici della cyber security. Tutti insieme, nelle neo-fabbriche ibride di produzione e ricerca, servizi high tech e sofisticati centri di elaborazione dei criteri di sostenibilità ambientale e sociale messi in relazione alle attitudini al “fare, fare bene e fare del bene”.
Di questo processo complesso, l’università è un cardine essenziale. L’eco si avverte forte anche nei discorsi delle cerimonie di inaugurazione degli anni accademici in Bicocca e al Politecnico, in Bocconi e alla Cattolica, alla Statale e allo Iulm e nelle altre sedi degli atenei che fanno della Grande Milano un luogo speciale della sapienza e del cambiamento.
L’orizzonte è quello delle smart cities (cui, appunto in Bicocca, ha dedicato la sua lectio lectio magistralis Carlo Ratti, direttore del “Senseable City Lab” del Massachussets Institute of Technology di Boston). Che per vivere e crescere, secondo nuovi e migliori equilibri economici e sociali, hanno bisogno di smart lands, territori in cui qualità della vita, competitività e inclusività sociale si tengano insieme. E soprattutto di smart citizens, attori sociali capaci di cittadinanza attiva, consapevole, critica, responsabile. Rieccolo, dunque, il futuro. E la scommessa di fiducia verso le nuove generazioni. Una buona università ne è pilastro fondamentale.
(photo Getty images)
“Shaping the future”, è il motto che connota il nuovo anno accademico ’22-’23 dell’Università Bicocca di Milano, 37mila studenti, 1200 professori in 73 corsi di laurea e una rapida crescita nelle classifiche internazionali sulla qualità della didattica e della ricerca. Un futuro, commenta la Magnifica Rettrice Giovanna Iannantuoni, da costruire sulla consapevolezza del passato. C’è una seconda indicazione strategica, su cui si fa affidamento e che sta in una frase di Ursula von der Leyen, presidentessa della Commissione Ue: “La storia d’Europa è una storia di Rinascimento”.
Il Rinascimento come riferimento identitario e fondamento di sviluppo, dunque. La memoria come asset di crescita. Tutto un progetto “a futura memoria”, per usare l’affascinante sintesi del titolo dell’ultima opera di Leonardo Sciascia, una delle migliori intelligenze letterarie e civili dell’Europa del Novecento. Avendo consapevolezza del dubbio (…“se la memoria ha un futuro”) ma anche sensibilità acuta per la forza della ragione. Confidando, cioè, in un ritrovato illuminismo, essenziale in un’epoca in cui in tanti diffidano di scienza e conoscenza critica e preferiscono abbandonarsi al “pensiero magico” e, più miseramente, alle suggestioni delle fake news e alle inclinazioni della cosiddetta “utopia della fuga” che preferisce gli “idoli” alla durezza della realtà e alle faticose responsabilità di una “utopia della ricostruzione” (secondo la severa lezione di Lewis Mumford).
Un Rinascimento critico, insomma, che celebra le sue luci ma non ha paura di fare i conti con le sue ombre (andare a vedere, appunto a Milano, la straordinaria mostra sulle opere di Hieronymus Bosch a Palazzo Reale, per averne conferma).
L’Università Bicocca entra nel suo 25° anno di attività. E’ stata costruita e poi ampliata in un’area, la Bicocca appunto, a nord della città, dove nel corso del Novecento, si è espansa la grande industria, la Pirelli innanzitutto e poi, verso Sesto San Giovanni, la Breda metalmeccanica e la Falck siderurgica. Catene di montaggio e officine, fonderie e laminatoi, i fischi delle sirene che scandivano i turni di lavoro, i binari dei freni che entravano negli stabilimenti per caricare le merci e i binari dei tram affollati dagli operai. Un modo rigoroso e difficile, attivo e orgoglioso, produttivo e denso di capacità tecniche e consapevolezze politiche, sindacali e civili.
Di tutto questo, restano memorie (grazie anche ai documenti e alle immagini custodite nell’archivio storico della Fondazione Pirelli e in quelli dell’Isec, l’Istituto di Storia Contemporanea). Ed eredità di cultura e passioni. In un quartiere ben progettato da Vittorio Gregotti, alla fine del Novecento, per tenere insieme università e imprese, luoghi della cultura e spazi sportivi, abitazioni civili e centri di servizio: una dimensione urbana capace di dare seguito alla sintesi di bellezza e funzionalità del Grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti e di anticipare le tendenze della Milano che sarebbe arrivata, con Porta Nuova e City Life, la Bovisa trasformata e Mind (Milano Innovation District).
“Umanesimo industriale”, si ripete spesso nei convegni sull’attualità della cultura d’impresa, anche per ricordare il ruolo delle riviste aziendali che hanno animato la migliore cultura degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (la Rivista “Pirelli”, “Civiltà delle Macchine” della Finmeccanica/Iri, “Comunità” dell’Olivetti e “Il Gatto Selvatico” dell’Eni). Si aggiunge: “cultura politecnica”, per indicare la sintesi tra saperi umanistici e conoscenze scientifiche, rigore della techne e sofisticato senso della bellezza, ingegneria e filosofia. E, per parlare di qualità dell’industria italiana negli anni Duemila della meccatronica e della digital economy, anche sulla stampa internazionale si parla di “Rinascimento manifatturiero”.
Rieccoci, così, alle parole care all’università. Testimonianza vivace del passaggio dalla fabbrica alla “fabbrica delle idee e della conoscenza”, dall’industria a un luogo denso di cultura in cui si costruiscono le competenze utili per un migliore futuro. Luoghi multidisciplinari, così com’è sempre stata multidisciplinare l’industria. E particolarmente essenziali oggi, nel tempo in cui la diffusione dell’Intelligenza artificiale chiede ingegneri-filosofi e matematici che degli algoritmi sappiano pensare non solo lo sviluppo tecnico ma il senso sociale e morale, chimici e sociologhi, data scientist e giuristi, architetti ed esperti di digital economy, psicologi e tecnici della cyber security. Tutti insieme, nelle neo-fabbriche ibride di produzione e ricerca, servizi high tech e sofisticati centri di elaborazione dei criteri di sostenibilità ambientale e sociale messi in relazione alle attitudini al “fare, fare bene e fare del bene”.
Di questo processo complesso, l’università è un cardine essenziale. L’eco si avverte forte anche nei discorsi delle cerimonie di inaugurazione degli anni accademici in Bicocca e al Politecnico, in Bocconi e alla Cattolica, alla Statale e allo Iulm e nelle altre sedi degli atenei che fanno della Grande Milano un luogo speciale della sapienza e del cambiamento.
L’orizzonte è quello delle smart cities (cui, appunto in Bicocca, ha dedicato la sua lectio lectio magistralis Carlo Ratti, direttore del “Senseable City Lab” del Massachussets Institute of Technology di Boston). Che per vivere e crescere, secondo nuovi e migliori equilibri economici e sociali, hanno bisogno di smart lands, territori in cui qualità della vita, competitività e inclusività sociale si tengano insieme. E soprattutto di smart citizens, attori sociali capaci di cittadinanza attiva, consapevole, critica, responsabile. Rieccolo, dunque, il futuro. E la scommessa di fiducia verso le nuove generazioni. Una buona università ne è pilastro fondamentale.
(photo Getty images)