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Una finanza da riportare al servizio dell’impresa

Dire “finanza”, nella stagione della Grande Crisi, evoca disvalori. L’avidità. La rapacità. Un mondo misterioso e incomprensibile. Montagne di carta che producono soldi, senza lavoro, senza produzione di beni e servizi utili. Speculazione. I predoni di Wall Street portati sullo schermo dal Gordon Gekko di Michael Douglas (un film profetico). Gli affaristi senza scrupoli del “Falò delle vanità” di Tom Wolfe (un libro bello, lucido, lettissimo ma inascoltato). I grandi banchieri dalle stock options e dai bonus scandalosamente elevati. Il volto peggiore del capitalismo. Ma l’economia non tollera giudizi manichei. E la finanza non è certo la sintesi del male. Riconsiderare criticamente i processi economici porta oggi a dire, proprio per rispondere alle sfide della Crisi, che la finanza va ricondotta al suo ruolo di “finanza d’impresa” e cioè di teorie e tecniche, strumenti e scelte, per facilitare la migliore allocazione del capitale (il risparmio, gli utili) verso le attività produttive. Una buona finanza al servizio dell’economia reale, insomma. Lo suggeriscono anche tre buoni libri appena usciti, le “Lezioni dalla crisi” di Giuliano Amato (un uomo di governo e di studi di rilievo internazionale) e Fabrizio Forquet, vicedirettore del Sole24Ore; “Il prezzo della diseguaglianza” del premio Nobel Joseph Stiglitz (l’obiettivo è “plasmare i mercati e portarli verso una maggiore eguaglianza di opportunità”); e soprattutto “L’ascesa della finanza internazionale” di Giuseppe Berta, uno dei migliori storici italiani dell’economia, che nota: “Occorre cambiare le istituzioni finanziarie. La chiave di volta per riformarle nell’interesse della giustizia sociale sta nella loro democratizzazione, nello spezzarne l’involucro elitario per integrarle meglio all’interno dell’economia reale e della società”. Fare seria ed efficace cultura d’impresa significa proprio oggi riflettere sulle funzioni e sul miglior coordinamento di tutti gli strumenti della produzione, sul coinvolgimento di tutti gli attori economici e sociali. Banche e strutture della finanza comprese, naturalmente.

Dire “finanza”, nella stagione della Grande Crisi, evoca disvalori. L’avidità. La rapacità. Un mondo misterioso e incomprensibile. Montagne di carta che producono soldi, senza lavoro, senza produzione di beni e servizi utili. Speculazione. I predoni di Wall Street portati sullo schermo dal Gordon Gekko di Michael Douglas (un film profetico). Gli affaristi senza scrupoli del “Falò delle vanità” di Tom Wolfe (un libro bello, lucido, lettissimo ma inascoltato). I grandi banchieri dalle stock options e dai bonus scandalosamente elevati. Il volto peggiore del capitalismo. Ma l’economia non tollera giudizi manichei. E la finanza non è certo la sintesi del male. Riconsiderare criticamente i processi economici porta oggi a dire, proprio per rispondere alle sfide della Crisi, che la finanza va ricondotta al suo ruolo di “finanza d’impresa” e cioè di teorie e tecniche, strumenti e scelte, per facilitare la migliore allocazione del capitale (il risparmio, gli utili) verso le attività produttive. Una buona finanza al servizio dell’economia reale, insomma. Lo suggeriscono anche tre buoni libri appena usciti, le “Lezioni dalla crisi” di Giuliano Amato (un uomo di governo e di studi di rilievo internazionale) e Fabrizio Forquet, vicedirettore del Sole24Ore; “Il prezzo della diseguaglianza” del premio Nobel Joseph Stiglitz (l’obiettivo è “plasmare i mercati e portarli verso una maggiore eguaglianza di opportunità”); e soprattutto “L’ascesa della finanza internazionale” di Giuseppe Berta, uno dei migliori storici italiani dell’economia, che nota: “Occorre cambiare le istituzioni finanziarie. La chiave di volta per riformarle nell’interesse della giustizia sociale sta nella loro democratizzazione, nello spezzarne l’involucro elitario per integrarle meglio all’interno dell’economia reale e della società”. Fare seria ed efficace cultura d’impresa significa proprio oggi riflettere sulle funzioni e sul miglior coordinamento di tutti gli strumenti della produzione, sul coinvolgimento di tutti gli attori economici e sociali. Banche e strutture della finanza comprese, naturalmente.

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