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Una legge per valorizzare i musei d’impresa e legare la memoria allo sviluppo sostenibile

Una legge per valorizzare i musei d’impresa e gli archivi storici, sostenerne le attività e stimolarne la creazione di nuovi, da parte delle imprese. Ne discute il Consiglio della Regione Lombardia, dove la Commissione Attività Produttive ha già approvato il progetto e l’Aula dovrà discuterne probabilmente entro la fine di novembre. Si prevedono regole di riconoscimento e risorse finanziarie da destinare ai musei dei Marchi Storici e attività in collaborazione con fondazioni, scuole, istituzioni locali e associazioni. “La storia della Lombardia moderna e contemporanea è soprattutto una storia di industria e di progresso, nel passaggio da una società agricola e artigianale a una società basata sull’impresa. Un processo che ha avuto profonde conseguenze, con mutamenti sociali, economici e paesaggistici e che oggi possiamo documentare”, sostiene Silvia Scurati, consigliera regionale (Lega) e relatrice del progetto di legge. Musei e archivi storici d’impresa ne sono strumenti essenziali. In Lombardia ce ne sono 64, il 40% di quelli esistenti a livello nazionale. E dei 140 iscritti e sostenitori istituzionali di Museimpresa, 48 sono, appunto, lombardi.

La legge della Regione Lombardia, se approvata, potrebbe costituire un buon paradigma di riferimento anche per altri Consigli Regionali, in territori ricchi di imprese, attività industriali, servizi economicamente rilevanti. E sollecitare finalmente anche una legislazione favorevole a livello nazionale. Come sollecita da tempo, appunto, Museimpresa, insistendo per esempio sull’estensione dell’Art Bonus anche agli investimenti privati, su vantaggi fiscali, cioè, per chi apre e gestisce musei d’impresa e archivi storici, tutelando la memoria e i valori del “saper fare” italiano, che merita un migliore “far sapere”, la costruzione di un nuovo racconto dell’intraprendenza che sa costruire valore economico grazie alla leva dei valori sociali, culturali, ambientali.

E’ una spinta importante per la competitività delle nostre imprese, per il loro successo internazionale, senza cadere nelle trappole di sovranismi e protezionismi, in tempi in cui la forza del marchio affonda le sue radici anche in quella che viene definita come stakeholder economy (l’attenzione ai valori e agli interessi di dipendenti, fornitori, consumatori, comunità di riferimento sui territori). E che viene sostenuta pure dal dialogo in corso tra Museimpresa e l’Associazione dei Marchi storici.

Museimpresa, nata più di vent’anni fa per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, riunisce  grandi imprese (Leonardo, Ferrovie dello Stato, Poste, Assicurazioni Generali, Unipol, Banca Intesa, Pirelli, Dalmine, Bracco, Campari, Fiera Milano, etc.) ma anche medie aziende di successo (le “multinazionali tascabili” attive sui mercati globali e le “grandi firme” del design) e piccole e dinamiche realtà diffuse sul territorio.

Alla base dell’impegno dell’Associazione, c’è la convinzione, oramai consolidata, che le imprese sono comunità di persone, legate da un progetto innovativo dell’imprenditore e da una condivisione di valori: creatività, amore per il lavoro bene fatto, passione per la ricerca, impegno per il cambiamento positivo, cura sincera per la sostenibilità ambientale e sociale. La cultura ideale del nuovo “umanesimo industriale”.

L’obiettivo è tutelare e soprattutto valorizzare la memoria della capacità degli italiani di “produrre cose belle che piacciono al mondo”, per usare il paradigma d’un grande storico europeo dell’economia, Carlo Maria Cipolla. Perché nel corso della nostra storia siamo stati capaci di collegare la bellezza, la qualità, la misura e l’efficienza. Fare impresa, infatti, significa essere in grado di tenere insieme dimensioni culturali diverse nella convinzione che non esista una cultura umanistica e una scientifica, ma che esista un sapere di conoscenza e un sapere di trasformazione, che sono i saperi dell’impresa.

Le aziende, le fabbriche, le società di servizi finanziari, commerciali e culturali i cui musei e archivi sono iscritti a Museimpresa, sono infatti luoghi fisici e mentali dove il passato e il futuro s’incontrano e in cui la cultura d’impresa è, come abbiamo detto, un asset fondamentale della competitività. In sintesi: l’archivio e il museo d’impresa sono memoria fertile e dunque chiave di intervento sulla contemporaneità. Strumenti per “l’avvenire della memoria”.

Il patrimonio che custodiscono è costituito da oggetti, documenti, fotografie, film, bozzetti di pubblicità, disegni tecnici, ma anche bilanci e contratti e libretti di lavoro che raccontano la dimensione sia tecnica sia soprattutto umana del lavorare, con le diverse  testimonianze dei rapporti e dei conflitti, l’evoluzione stessa dei legami tra imprenditori, dirigenti, tecnici, quadri e maestranze operaie. Un vero e proprio capitale sociale che di ogni impresa definisce storia e identità. Il ritratto mobile di una straordinaria umanità, in un orizzonte condiviso di economia circolare e civile.

Un capitale sociale da fare crescere. E conoscere, anche con un robusto dialogo a livello istituzionale. Il progetto di legge della Regione Lombardia ne è un buon esempio virtuoso.

Maturano, intanto, nuove iniziative. Come la collaborazione tra Museimpresa e Google Arts and Culture (annunciato oggi a Milano), per inserire una raccolta di oltre 2.000 immagini e video di parecchi associati nei cataloghi Google, attore protagonista delle più sofisticate tecnologie digitali e arricchire così gli strumenti di qualità, accessibili gratis da tutti e da dovunque, a disposizione di chi concepisce il turismo come un sistema di valori culturali e ambientali e apprezza la conoscenza storica nella sua dimensione più ampia.

Sostiene Museimpresa: “La partnership rappresenta un ulteriore strumento per rendere la cultura d’impresa accessibile a tutti, in qualsiasi parte del mondo, in ogni momento e con qualunque device, consentendo contemporaneamente anche la sua conservazione per le generazioni future”. Un utile contributo a una cultura d’impresa essenziale per qualificare anche i progetti di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, di cui l’Italia ha bisogno di continuare a essere protagonista.

Una legge per valorizzare i musei d’impresa e gli archivi storici, sostenerne le attività e stimolarne la creazione di nuovi, da parte delle imprese. Ne discute il Consiglio della Regione Lombardia, dove la Commissione Attività Produttive ha già approvato il progetto e l’Aula dovrà discuterne probabilmente entro la fine di novembre. Si prevedono regole di riconoscimento e risorse finanziarie da destinare ai musei dei Marchi Storici e attività in collaborazione con fondazioni, scuole, istituzioni locali e associazioni. “La storia della Lombardia moderna e contemporanea è soprattutto una storia di industria e di progresso, nel passaggio da una società agricola e artigianale a una società basata sull’impresa. Un processo che ha avuto profonde conseguenze, con mutamenti sociali, economici e paesaggistici e che oggi possiamo documentare”, sostiene Silvia Scurati, consigliera regionale (Lega) e relatrice del progetto di legge. Musei e archivi storici d’impresa ne sono strumenti essenziali. In Lombardia ce ne sono 64, il 40% di quelli esistenti a livello nazionale. E dei 140 iscritti e sostenitori istituzionali di Museimpresa, 48 sono, appunto, lombardi.

La legge della Regione Lombardia, se approvata, potrebbe costituire un buon paradigma di riferimento anche per altri Consigli Regionali, in territori ricchi di imprese, attività industriali, servizi economicamente rilevanti. E sollecitare finalmente anche una legislazione favorevole a livello nazionale. Come sollecita da tempo, appunto, Museimpresa, insistendo per esempio sull’estensione dell’Art Bonus anche agli investimenti privati, su vantaggi fiscali, cioè, per chi apre e gestisce musei d’impresa e archivi storici, tutelando la memoria e i valori del “saper fare” italiano, che merita un migliore “far sapere”, la costruzione di un nuovo racconto dell’intraprendenza che sa costruire valore economico grazie alla leva dei valori sociali, culturali, ambientali.

E’ una spinta importante per la competitività delle nostre imprese, per il loro successo internazionale, senza cadere nelle trappole di sovranismi e protezionismi, in tempi in cui la forza del marchio affonda le sue radici anche in quella che viene definita come stakeholder economy (l’attenzione ai valori e agli interessi di dipendenti, fornitori, consumatori, comunità di riferimento sui territori). E che viene sostenuta pure dal dialogo in corso tra Museimpresa e l’Associazione dei Marchi storici.

Museimpresa, nata più di vent’anni fa per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, riunisce  grandi imprese (Leonardo, Ferrovie dello Stato, Poste, Assicurazioni Generali, Unipol, Banca Intesa, Pirelli, Dalmine, Bracco, Campari, Fiera Milano, etc.) ma anche medie aziende di successo (le “multinazionali tascabili” attive sui mercati globali e le “grandi firme” del design) e piccole e dinamiche realtà diffuse sul territorio.

Alla base dell’impegno dell’Associazione, c’è la convinzione, oramai consolidata, che le imprese sono comunità di persone, legate da un progetto innovativo dell’imprenditore e da una condivisione di valori: creatività, amore per il lavoro bene fatto, passione per la ricerca, impegno per il cambiamento positivo, cura sincera per la sostenibilità ambientale e sociale. La cultura ideale del nuovo “umanesimo industriale”.

L’obiettivo è tutelare e soprattutto valorizzare la memoria della capacità degli italiani di “produrre cose belle che piacciono al mondo”, per usare il paradigma d’un grande storico europeo dell’economia, Carlo Maria Cipolla. Perché nel corso della nostra storia siamo stati capaci di collegare la bellezza, la qualità, la misura e l’efficienza. Fare impresa, infatti, significa essere in grado di tenere insieme dimensioni culturali diverse nella convinzione che non esista una cultura umanistica e una scientifica, ma che esista un sapere di conoscenza e un sapere di trasformazione, che sono i saperi dell’impresa.

Le aziende, le fabbriche, le società di servizi finanziari, commerciali e culturali i cui musei e archivi sono iscritti a Museimpresa, sono infatti luoghi fisici e mentali dove il passato e il futuro s’incontrano e in cui la cultura d’impresa è, come abbiamo detto, un asset fondamentale della competitività. In sintesi: l’archivio e il museo d’impresa sono memoria fertile e dunque chiave di intervento sulla contemporaneità. Strumenti per “l’avvenire della memoria”.

Il patrimonio che custodiscono è costituito da oggetti, documenti, fotografie, film, bozzetti di pubblicità, disegni tecnici, ma anche bilanci e contratti e libretti di lavoro che raccontano la dimensione sia tecnica sia soprattutto umana del lavorare, con le diverse  testimonianze dei rapporti e dei conflitti, l’evoluzione stessa dei legami tra imprenditori, dirigenti, tecnici, quadri e maestranze operaie. Un vero e proprio capitale sociale che di ogni impresa definisce storia e identità. Il ritratto mobile di una straordinaria umanità, in un orizzonte condiviso di economia circolare e civile.

Un capitale sociale da fare crescere. E conoscere, anche con un robusto dialogo a livello istituzionale. Il progetto di legge della Regione Lombardia ne è un buon esempio virtuoso.

Maturano, intanto, nuove iniziative. Come la collaborazione tra Museimpresa e Google Arts and Culture (annunciato oggi a Milano), per inserire una raccolta di oltre 2.000 immagini e video di parecchi associati nei cataloghi Google, attore protagonista delle più sofisticate tecnologie digitali e arricchire così gli strumenti di qualità, accessibili gratis da tutti e da dovunque, a disposizione di chi concepisce il turismo come un sistema di valori culturali e ambientali e apprezza la conoscenza storica nella sua dimensione più ampia.

Sostiene Museimpresa: “La partnership rappresenta un ulteriore strumento per rendere la cultura d’impresa accessibile a tutti, in qualsiasi parte del mondo, in ogni momento e con qualunque device, consentendo contemporaneamente anche la sua conservazione per le generazioni future”. Un utile contributo a una cultura d’impresa essenziale per qualificare anche i progetti di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, di cui l’Italia ha bisogno di continuare a essere protagonista.

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