Una, nessuna e centomila
Si fa presto a dire “il sistema industriale”. Si fa presto a sbagliare bersaglio. Perché nessuna impresa è uguale all’altra. Affermazione apparentemente banale che, tuttavia, pare spesso essere dimenticata da chi commenta la situazione industriale italiana così come quella di altri Paesi. Insomma, il tutto non è uguale alle parti che lo compongono. E non è nemmeno migliore o peggiore. E’ diverso.
Molti osservatori però pare dimentichino l’ovvietà e sostengono che l’industria italiana è insufficientemente aperta all’innovazione e poco orientata ai mercati internazionali, oltre che ripiegata su dimensioni di impresa medio-piccole a bassa intensità tecnologica. Una specie di dinosauro, altro da ciò che si muove attorno a lui.
Il confronto con la realtà sembra restituire un quadro ben diverso. Ed è da questo assunto che è iniziata una vasta indagine sul campo condotta dal Centro Studi Confindustria. Il risultato è un libro – “Nuove strategie delle imprese italiane” – scritto a quattro mani da un economista del Centro stesso (Fabrizio Traù) e da un economista industriale presso l’Università di Parma (Alessandro Arrigheti).
I risultati dell’indagine confermano che il “tutto dell’industria” italiana non è uguale alle sue singole componenti. Anzi, a guardare dentro al comparto industriale si scoprono realtà inaspettate. Secondo i due autori, “per interpretare la logica del cambiamento in atto nel sistema industriale italiano occorre abbandonare l’idea che esso costituisca un’entità omogenea”. E’ qui che salta fuori la novità. Per capire cosa sta accadendo occorre inquadrare la realtà, spiegano, “alla luce di una emergente forma di dualismo che scaturisce dall’affermarsi di un doppio percorso evolutivo: quello intrapreso da un gruppo molto dinamico di imprese che hanno adottato strategie di marcata differenziazione rispetto al passato, da un lato; e, dall’altro, quello dentro cui sembrano tuttora prigioniere le imprese che faticano a tenere il passo”. Ma la novità è anche un’altra. Le imprese che riescono a farcela non rappresentano casi isolati di straordinaria di eccellenza, ma sono invece un segmento significativo di aziende che hanno evitato soluzioni competitive incentrate su fattori di costo e sulle economie di scala, e hanno attribuito al controllo della tecnologia e alla qualità del capitale umano il ruolo di cardini su cui fondare le loro decisioni strategiche. Come dire: vince ancora una volta l’impresa che mette al centro di tutto la tecnologia e l’uomo che vi lavora.
Nuove strategie delle imprese italiane
Alessandro Arrighetti, Fabrizio Traù
Donzelli, ottobre 2013
Si fa presto a dire “il sistema industriale”. Si fa presto a sbagliare bersaglio. Perché nessuna impresa è uguale all’altra. Affermazione apparentemente banale che, tuttavia, pare spesso essere dimenticata da chi commenta la situazione industriale italiana così come quella di altri Paesi. Insomma, il tutto non è uguale alle parti che lo compongono. E non è nemmeno migliore o peggiore. E’ diverso.
Molti osservatori però pare dimentichino l’ovvietà e sostengono che l’industria italiana è insufficientemente aperta all’innovazione e poco orientata ai mercati internazionali, oltre che ripiegata su dimensioni di impresa medio-piccole a bassa intensità tecnologica. Una specie di dinosauro, altro da ciò che si muove attorno a lui.
Il confronto con la realtà sembra restituire un quadro ben diverso. Ed è da questo assunto che è iniziata una vasta indagine sul campo condotta dal Centro Studi Confindustria. Il risultato è un libro – “Nuove strategie delle imprese italiane” – scritto a quattro mani da un economista del Centro stesso (Fabrizio Traù) e da un economista industriale presso l’Università di Parma (Alessandro Arrigheti).
I risultati dell’indagine confermano che il “tutto dell’industria” italiana non è uguale alle sue singole componenti. Anzi, a guardare dentro al comparto industriale si scoprono realtà inaspettate. Secondo i due autori, “per interpretare la logica del cambiamento in atto nel sistema industriale italiano occorre abbandonare l’idea che esso costituisca un’entità omogenea”. E’ qui che salta fuori la novità. Per capire cosa sta accadendo occorre inquadrare la realtà, spiegano, “alla luce di una emergente forma di dualismo che scaturisce dall’affermarsi di un doppio percorso evolutivo: quello intrapreso da un gruppo molto dinamico di imprese che hanno adottato strategie di marcata differenziazione rispetto al passato, da un lato; e, dall’altro, quello dentro cui sembrano tuttora prigioniere le imprese che faticano a tenere il passo”. Ma la novità è anche un’altra. Le imprese che riescono a farcela non rappresentano casi isolati di straordinaria di eccellenza, ma sono invece un segmento significativo di aziende che hanno evitato soluzioni competitive incentrate su fattori di costo e sulle economie di scala, e hanno attribuito al controllo della tecnologia e alla qualità del capitale umano il ruolo di cardini su cui fondare le loro decisioni strategiche. Come dire: vince ancora una volta l’impresa che mette al centro di tutto la tecnologia e l’uomo che vi lavora.
Nuove strategie delle imprese italiane
Alessandro Arrighetti, Fabrizio Traù
Donzelli, ottobre 2013