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Viaggio nell’Italia delle imprese

Per capire la cultura d’impresa in Italia oggi, occorre guardarsi attorno, ma anche indietro. Cercare nel passato e nel presente, parlare con gli imprenditori. Indagare sulle scelte fatte, sulle strade intraprese, su quanto è accaduto e sta accadendo dentro e fuori dalle fabbriche e dagli uffici. Compito difficile ma affascinante, non solamente “accademico” ma tremendamente pratico e utile.

Ci ha provato, e bene, Aldo Bonomi nel suo ultimo saggio “Il capitalismo in-finito” in uscita in questi giorni. Si tratta di un viaggio denso ed emozionante che parte da alcune domande. Che cosa è cambiato, per esempio, rispetto agli anni del trionfo del modello della piccola e media azienda italiana rampante? E che cosa da quando centinaia, migliaia di imprenditori del Nord-Est investivano denaro pur sapendo di correre un rischio e si lanciavano in nuove sfide, mossi dalla voglia di affermarsi sul mercato e di guadagnarsi il proprio posto al sole?

La risposta è “tutto”. E la dimostrazione di Bonomi passa da una serie corposa di dati e interviste che percorrono tutto lo Stivale industriale nazionale: dalla Torino del postfordismo alla Pedemontana veneta con Padova e Vicenza, da Modena alle aree adriatiche di Pesaro e Urbino, da Firenze fino a Siracusa.

Bonomi, occorre notarlo, ha messo insieme non un saggio di ricerca e basta, ma una serie di racconti e di storie di vita che aiutano a capire meglio cosa è stato fatto, quale sia il modello culturale d’impresa che ha accompagnato la crescita dell’economia italiana fino ad oggi e, adesso, la sua stagnazione e i tanti dubbi sul futuro che assillano imprenditori, politici e cittadini.

Un libro e un viaggio che ricordano – in un certo modo -, altre imprese simili come quelle compiute da Guido Piovene (“Viaggio in Italia”) e da Giorgio Bocca (“Miracolo all’italiana”), che hanno però raccontato un Paese che oggi sembra distante secoli da quello attuale.

Per capire la cultura d’impresa in Italia oggi, occorre guardarsi attorno, ma anche indietro. Cercare nel passato e nel presente, parlare con gli imprenditori. Indagare sulle scelte fatte, sulle strade intraprese, su quanto è accaduto e sta accadendo dentro e fuori dalle fabbriche e dagli uffici. Compito difficile ma affascinante, non solamente “accademico” ma tremendamente pratico e utile.

Ci ha provato, e bene, Aldo Bonomi nel suo ultimo saggio “Il capitalismo in-finito” in uscita in questi giorni. Si tratta di un viaggio denso ed emozionante che parte da alcune domande. Che cosa è cambiato, per esempio, rispetto agli anni del trionfo del modello della piccola e media azienda italiana rampante? E che cosa da quando centinaia, migliaia di imprenditori del Nord-Est investivano denaro pur sapendo di correre un rischio e si lanciavano in nuove sfide, mossi dalla voglia di affermarsi sul mercato e di guadagnarsi il proprio posto al sole?

La risposta è “tutto”. E la dimostrazione di Bonomi passa da una serie corposa di dati e interviste che percorrono tutto lo Stivale industriale nazionale: dalla Torino del postfordismo alla Pedemontana veneta con Padova e Vicenza, da Modena alle aree adriatiche di Pesaro e Urbino, da Firenze fino a Siracusa.

Bonomi, occorre notarlo, ha messo insieme non un saggio di ricerca e basta, ma una serie di racconti e di storie di vita che aiutano a capire meglio cosa è stato fatto, quale sia il modello culturale d’impresa che ha accompagnato la crescita dell’economia italiana fino ad oggi e, adesso, la sua stagnazione e i tanti dubbi sul futuro che assillano imprenditori, politici e cittadini.

Un libro e un viaggio che ricordano – in un certo modo -, altre imprese simili come quelle compiute da Guido Piovene (“Viaggio in Italia”) e da Giorgio Bocca (“Miracolo all’italiana”), che hanno però raccontato un Paese che oggi sembra distante secoli da quello attuale.

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