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1953: un anno “d’oro” per la pubblicità Pirelli

La sera del 7 novembre del 1953, al IV Congresso della Pubblicità a Milano, Dino Villani consegna al Dottor Paolo Polese, in rappresentanza del Gruppo Pirelli, la Palma d’oro per la miglior pubblicità di quell’anno. “Una campagna pubblicitaria che ha raggiunto il traguardo senza forature” recita scherzosamente il telecronista del cinegiornale “La Settimana Incom”. Un premio che, oltre a riconoscere in Pirelli un’azienda all’avanguardia per  la capacità comunicativa, sottolinea più in generale la sempre crescente importanza della pubblicità a partire dal Secondo Dopoguerra. Sono anni di straordinaria effervescenza per la comunicazione visiva italiana e la pubblicità riflette, a volte anche anticipando ed enfatizzando, l’entusiasmo progettuale che caratterizza questo primo periodo del boom economico. Sono gli anni in cui Pirelli realizza, attraverso la stretta collaborazione con grafici e artisti, campagne che entrano di diritto nella storia della grafica italiana, come la pubblicità per le suole Coria Pirelli di Joan Jordan e Ezio Bonini, le réclame del pneumatico Stelvio realizzate da Franco Grignani, Ezio Bonini, Pavel Micheal Engelmann, e ancora quella di Raymond Savignac per le borse di acqua calda Pirelli e tante altre. Per celebrare questo importante riconoscimento la Rivista Pirelli, con l’allora direttore Arturo Tofanelli, commissiona al grafico Erberto Carboni la copertina del sesto e ultimo numero annuale: una rielaborazione grafica del prezioso trofeo a forma di palma. All’interno del numero un articolo a firma V. S. – dietro cui si cela Vittorio Sereni –  che traccia il “Bilancio segreto di un anno di pubblicità”, raccontando questo intenso anno di lavoro “al numero 94 di Viale Abruzzi, secondo piano” e i segreti della creazione di una buona campagna pubblicitaria, in cui è il prodotto, l’oggetto, il padrone assoluto che dispone della penna, della matita dei grafici come di mezzi al suo servizio, dove il pubblicitario è “servo e alla stesso tempo padrone di questa Musa inquietante che sta disputando al cinema il posto di decima Musa”.

La sera del 7 novembre del 1953, al IV Congresso della Pubblicità a Milano, Dino Villani consegna al Dottor Paolo Polese, in rappresentanza del Gruppo Pirelli, la Palma d’oro per la miglior pubblicità di quell’anno. “Una campagna pubblicitaria che ha raggiunto il traguardo senza forature” recita scherzosamente il telecronista del cinegiornale “La Settimana Incom”. Un premio che, oltre a riconoscere in Pirelli un’azienda all’avanguardia per  la capacità comunicativa, sottolinea più in generale la sempre crescente importanza della pubblicità a partire dal Secondo Dopoguerra. Sono anni di straordinaria effervescenza per la comunicazione visiva italiana e la pubblicità riflette, a volte anche anticipando ed enfatizzando, l’entusiasmo progettuale che caratterizza questo primo periodo del boom economico. Sono gli anni in cui Pirelli realizza, attraverso la stretta collaborazione con grafici e artisti, campagne che entrano di diritto nella storia della grafica italiana, come la pubblicità per le suole Coria Pirelli di Joan Jordan e Ezio Bonini, le réclame del pneumatico Stelvio realizzate da Franco Grignani, Ezio Bonini, Pavel Micheal Engelmann, e ancora quella di Raymond Savignac per le borse di acqua calda Pirelli e tante altre. Per celebrare questo importante riconoscimento la Rivista Pirelli, con l’allora direttore Arturo Tofanelli, commissiona al grafico Erberto Carboni la copertina del sesto e ultimo numero annuale: una rielaborazione grafica del prezioso trofeo a forma di palma. All’interno del numero un articolo a firma V. S. – dietro cui si cela Vittorio Sereni –  che traccia il “Bilancio segreto di un anno di pubblicità”, raccontando questo intenso anno di lavoro “al numero 94 di Viale Abruzzi, secondo piano” e i segreti della creazione di una buona campagna pubblicitaria, in cui è il prodotto, l’oggetto, il padrone assoluto che dispone della penna, della matita dei grafici come di mezzi al suo servizio, dove il pubblicitario è “servo e alla stesso tempo padrone di questa Musa inquietante che sta disputando al cinema il posto di decima Musa”.

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