La fotografia industriale,
un racconto visivo del lavoro
“Non è giusto voler osservare queste architetture, esuberanti di una loro caratteristica tipicità, troppo da vicino, cercando di comprendere il tutto partendo dal particolare”. Così scrive l’architetto Giuliano Guiducci in un articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli nel 1961, dall’evocativo titolo “Fabbriche come monumenti”, in cui si indagano la peculiarità e la complessità degli insediamenti produttivi. Dalle parole di Guiducci emerge la difficoltà del compito della fotografia industriale, che proprio “partendo dal particolare” deve restituire l’eterogeneo insieme di persone, macchine, spazi architettonici e cultura del “saper fare” che caratterizza questi luoghi. Una sfida non indifferente per i maestri dell’obiettivo.
La fotografia industriale in Italia si sviluppa a partire dalla fine dell’Ottocento, accompagnando l’evoluzione del settore manifatturiero nazionale e delineandosi sia come genere fotografico, con una ricorrenza di temi e soggetti, sia come meta-genere che ne raggruppa dentro di sé altri, come l’architettura, il ritratto, il reportage e lo still life. Non è dunque l’iconografia a connotare principalmente questa espressione artistica, ma il suo essere rapporto e mediazione tra la sensibilità e lo stile del fotografo e le esigenze comunicative di un’azienda, impegnata nel veicolare all’esterno i suoi valori ideologici, sociali e culturali, creando una propria riconoscibile identità.
Pirelli apre sin da subito gli impianti di lavorazione agli artisti, per documentare i processi di produzione che portano la gomma a trasformarsi in pneumatici, rivestimenti per cavi, cinghie di trasmissione, palloni da gioco, mantelline e molto altro. Il reportage realizzato nel 1922 all’interno dei reparti di Bicocca, per celebrare i 50 anni del Gruppo, cattura le diverse “anime” della fabbrica: uno sguardo particolare è rivolto ai macchinari necessari ai diversi cicli produttivi – mescolatori, calandre e laminatoi – ma anche agli spazi, come il magazzino delle materie prime e l’area di vulcanizzazione. Una forte attenzione è poi rivolta naturalmente all’universo dei lavoratori, con scatti che nobilitano le loro mani all’opera. Le storie di fabbrica passano anche attraverso immagini d’autore che mostrano l’evoluzione della fotografia industriale, seguendo i mutamenti sociali ed estetici del tempo. Dall’impostazione statica delle fotografie di inizio Novecento, con gli operai in posa davanti all’obiettivo – come Le maestranze Pirelli all’uscita dallo stabilimento di Milano di Luca Comerio del 1905, un tributo alla forza manifatturiera raggiunta dall’azienda – alle immagini “espressioniste” di John Deakin datate 1961. All’inizio degli anni Sessanta l’artista inglese, amico e collaboratore di Francis Bacon e celebre per le sue crude scene di strada e i servizi di moda per “Vogue”, si muove tra Milano, Roma e soprattutto Genova, dove soddisfa la propria personale curiosità per il mondo industriale fotografando le fonderie e le acciaierie del gruppo siderurgico Italsider. Gli scatti realizzati nelle sale lavorazione di Bicocca mostrano tutto il significato “umano” della fabbrica. Indagine psicologica, ritratti penetranti e l’eroico rapporto tra uomo e lavoro, tutto questo in un drammatico bianco e nero di grande maestria tecnica.
All’interno delle politiche di comunicazione di Pirelli, la fotografia gioca un ruolo di assoluta rilevanza anche nell’ambito degli house organ: l’apparato iconografico, oltre ad attestare la modernità e lo sviluppo tecnologico raggiunti dall’azienda, si fa racconto del presente, restituendo il ritratto dell’Italia del Dopoguerra che rinasce proprio a partire dall’industria, volano del benessere economico dell’epoca del boom. Sono numerosi i reportage d’autore realizzati all’interno della fabbrica sulle pagine della Rivista Pirelli: la cartiera di Tolmezzo, entrata a far parte del Gruppo nel 1953 e indirizzata alla produzione di cellulosa per raion, è al centro degli scatti di Fulvio Roiter, che indaga con estrema eleganza formale gli spazi di uno dei più importanti complessi industriali italiani per la produzione di carta, dal deposito legname agli impianti di depurazione, fino alle officine adibite alla raccolta delle bobine. Ugo Mulas firma parte delle fotografie che accompagnano la lunga inchiesta sul lavoro femminile in Italia che occupa tre numeri del periodico nel 1963, mostrando le operaie “in azione” presso il calzaturificio Superga di Triggiano, lo stabilimento confezioni di Arona e quello di Arco Felice, adibito alla produzione di cavi sottomarini per il trasporto di energia. È proprio l’impianto campano della “P lunga” il protagonista del fotoservizio del 1964 di Horst H. Baumann, che documenta le fasi di costruzione del cavo “Sacoi” – destinato a trasportare nella Penisola l’energia prodotta dalla centrale termoelettrica del Sulcis – mediante fotografie dal forte impatto visivo, come quelle che mostrano l’avvolgimento del cavo, spira dopo spira, in una grande vasca di accumulo per il conferimento delle doti elettriche tramite trattamento sottovuoto. L’impresa grandiosa contribuisce l’anno successivo all’assegnazione allo stabilimento del premio ANIAI – Associazione Nazionale Ingegneri e Architetti Italiani per la migliore realizzazione di ingegneria elettronica realizzata in Italia. Alla fine degli anni Sessanta Arno Hammacher visita gli interni dell’Azienda Solari di Udine, consociata di Pirelli all’apice dalla fama per le forniture internazionali di orologi a lettura diretta e teleindicatori. Molle e ruote, palette e rulli: l’attenzione è tutta sulle componenti necessarie per muovere le ore e i minuti nell’iconico “Cifra 3”. È sempre il fotografo olandese a firmare, una decina di anni prima, le controcopertine della Rivista con ravvicinati primi piani in bianco e nero delle linee di produzione della fabbrica di Milano Bicocca, dai materiali – trecce metalliche, balle di gomma cruda pronte per la plastificazione, rocchetti di filo di rame – ai macchinari, come le cordatrici in movimento, fino ai prodotti, tra cui cavi per le telecomunicazioni e pneumatici appena estratti dallo stampo di vulcanizzazione.
La tradizione dei “fotografi in fabbrica” continua ancora con artisti di fama internazionale chiamati a collaborare con l’azienda. Carlo Furgeri Gilbert ha realizzato reportage presso gli stabilimenti del Gruppo in Italia e nel mondo, da Bollate a Settimo Torinese, da Breuberg a Izmit fino a Slatina. Il Polo Industriale Pirelli alle porte di Torino è stato documentato anche da Peter Lindbergh nel 2016, nell’ambito del progetto che ha portato l’anno successivo alla creazione del Calendario, e dall’obiettivo di Alessandro Scotti, che chiude con i suoi scatti l’Annual Report del 2021. Immagini suggestive e potenti che, tra documentazione ed espressione, catturano la poesia nei luoghi simbolo del lavoro e mostrano l’umiltà e la libertà dello sguardo dei fotografi, che osservano “i movimenti degli uomini e dei congegni come si guarda un rito”.
“Non è giusto voler osservare queste architetture, esuberanti di una loro caratteristica tipicità, troppo da vicino, cercando di comprendere il tutto partendo dal particolare”. Così scrive l’architetto Giuliano Guiducci in un articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli nel 1961, dall’evocativo titolo “Fabbriche come monumenti”, in cui si indagano la peculiarità e la complessità degli insediamenti produttivi. Dalle parole di Guiducci emerge la difficoltà del compito della fotografia industriale, che proprio “partendo dal particolare” deve restituire l’eterogeneo insieme di persone, macchine, spazi architettonici e cultura del “saper fare” che caratterizza questi luoghi. Una sfida non indifferente per i maestri dell’obiettivo.
La fotografia industriale in Italia si sviluppa a partire dalla fine dell’Ottocento, accompagnando l’evoluzione del settore manifatturiero nazionale e delineandosi sia come genere fotografico, con una ricorrenza di temi e soggetti, sia come meta-genere che ne raggruppa dentro di sé altri, come l’architettura, il ritratto, il reportage e lo still life. Non è dunque l’iconografia a connotare principalmente questa espressione artistica, ma il suo essere rapporto e mediazione tra la sensibilità e lo stile del fotografo e le esigenze comunicative di un’azienda, impegnata nel veicolare all’esterno i suoi valori ideologici, sociali e culturali, creando una propria riconoscibile identità.
Pirelli apre sin da subito gli impianti di lavorazione agli artisti, per documentare i processi di produzione che portano la gomma a trasformarsi in pneumatici, rivestimenti per cavi, cinghie di trasmissione, palloni da gioco, mantelline e molto altro. Il reportage realizzato nel 1922 all’interno dei reparti di Bicocca, per celebrare i 50 anni del Gruppo, cattura le diverse “anime” della fabbrica: uno sguardo particolare è rivolto ai macchinari necessari ai diversi cicli produttivi – mescolatori, calandre e laminatoi – ma anche agli spazi, come il magazzino delle materie prime e l’area di vulcanizzazione. Una forte attenzione è poi rivolta naturalmente all’universo dei lavoratori, con scatti che nobilitano le loro mani all’opera. Le storie di fabbrica passano anche attraverso immagini d’autore che mostrano l’evoluzione della fotografia industriale, seguendo i mutamenti sociali ed estetici del tempo. Dall’impostazione statica delle fotografie di inizio Novecento, con gli operai in posa davanti all’obiettivo – come Le maestranze Pirelli all’uscita dallo stabilimento di Milano di Luca Comerio del 1905, un tributo alla forza manifatturiera raggiunta dall’azienda – alle immagini “espressioniste” di John Deakin datate 1961. All’inizio degli anni Sessanta l’artista inglese, amico e collaboratore di Francis Bacon e celebre per le sue crude scene di strada e i servizi di moda per “Vogue”, si muove tra Milano, Roma e soprattutto Genova, dove soddisfa la propria personale curiosità per il mondo industriale fotografando le fonderie e le acciaierie del gruppo siderurgico Italsider. Gli scatti realizzati nelle sale lavorazione di Bicocca mostrano tutto il significato “umano” della fabbrica. Indagine psicologica, ritratti penetranti e l’eroico rapporto tra uomo e lavoro, tutto questo in un drammatico bianco e nero di grande maestria tecnica.
All’interno delle politiche di comunicazione di Pirelli, la fotografia gioca un ruolo di assoluta rilevanza anche nell’ambito degli house organ: l’apparato iconografico, oltre ad attestare la modernità e lo sviluppo tecnologico raggiunti dall’azienda, si fa racconto del presente, restituendo il ritratto dell’Italia del Dopoguerra che rinasce proprio a partire dall’industria, volano del benessere economico dell’epoca del boom. Sono numerosi i reportage d’autore realizzati all’interno della fabbrica sulle pagine della Rivista Pirelli: la cartiera di Tolmezzo, entrata a far parte del Gruppo nel 1953 e indirizzata alla produzione di cellulosa per raion, è al centro degli scatti di Fulvio Roiter, che indaga con estrema eleganza formale gli spazi di uno dei più importanti complessi industriali italiani per la produzione di carta, dal deposito legname agli impianti di depurazione, fino alle officine adibite alla raccolta delle bobine. Ugo Mulas firma parte delle fotografie che accompagnano la lunga inchiesta sul lavoro femminile in Italia che occupa tre numeri del periodico nel 1963, mostrando le operaie “in azione” presso il calzaturificio Superga di Triggiano, lo stabilimento confezioni di Arona e quello di Arco Felice, adibito alla produzione di cavi sottomarini per il trasporto di energia. È proprio l’impianto campano della “P lunga” il protagonista del fotoservizio del 1964 di Horst H. Baumann, che documenta le fasi di costruzione del cavo “Sacoi” – destinato a trasportare nella Penisola l’energia prodotta dalla centrale termoelettrica del Sulcis – mediante fotografie dal forte impatto visivo, come quelle che mostrano l’avvolgimento del cavo, spira dopo spira, in una grande vasca di accumulo per il conferimento delle doti elettriche tramite trattamento sottovuoto. L’impresa grandiosa contribuisce l’anno successivo all’assegnazione allo stabilimento del premio ANIAI – Associazione Nazionale Ingegneri e Architetti Italiani per la migliore realizzazione di ingegneria elettronica realizzata in Italia. Alla fine degli anni Sessanta Arno Hammacher visita gli interni dell’Azienda Solari di Udine, consociata di Pirelli all’apice dalla fama per le forniture internazionali di orologi a lettura diretta e teleindicatori. Molle e ruote, palette e rulli: l’attenzione è tutta sulle componenti necessarie per muovere le ore e i minuti nell’iconico “Cifra 3”. È sempre il fotografo olandese a firmare, una decina di anni prima, le controcopertine della Rivista con ravvicinati primi piani in bianco e nero delle linee di produzione della fabbrica di Milano Bicocca, dai materiali – trecce metalliche, balle di gomma cruda pronte per la plastificazione, rocchetti di filo di rame – ai macchinari, come le cordatrici in movimento, fino ai prodotti, tra cui cavi per le telecomunicazioni e pneumatici appena estratti dallo stampo di vulcanizzazione.
La tradizione dei “fotografi in fabbrica” continua ancora con artisti di fama internazionale chiamati a collaborare con l’azienda. Carlo Furgeri Gilbert ha realizzato reportage presso gli stabilimenti del Gruppo in Italia e nel mondo, da Bollate a Settimo Torinese, da Breuberg a Izmit fino a Slatina. Il Polo Industriale Pirelli alle porte di Torino è stato documentato anche da Peter Lindbergh nel 2016, nell’ambito del progetto che ha portato l’anno successivo alla creazione del Calendario, e dall’obiettivo di Alessandro Scotti, che chiude con i suoi scatti l’Annual Report del 2021. Immagini suggestive e potenti che, tra documentazione ed espressione, catturano la poesia nei luoghi simbolo del lavoro e mostrano l’umiltà e la libertà dello sguardo dei fotografi, che osservano “i movimenti degli uomini e dei congegni come si guarda un rito”.