Cose da Pintacuda, pilota di lucida follia
Ogni volta smetteva per un attimo di respirare e premeva forte sull’acceleratore. Avesse potuto, avrebbe anche chiuso gli occhi. Ma era meglio non farlo, perchè il muro era troppo vicino. E così per cento volte. Ad ognuna delle cento maledettissime curve del Trampolino del Diavolo. Per tutti gli altri era solo il Circuito di Gàvea, ma a Rio de Janeiro la gente del posto lo chiamava Trampolim do Diabo, quell’infernale tracciato automobilistico cittadino: undici chilometri di corsa tra pali della luce, muri, binari del tram, tratti di spiaggia, sabbia, cemento, strapiombi sul mare.
Bisognava tenere gli occhi aperti e trattenere il respiro, a Gàvea. E, forse, pregare che ancora una volta i pneumatici Pirelli Stella Bianca tenessero. Questo lo sapeva bene Carlo Pintacuda, lui che il Trampolino del Diavolo l’aveva quasi saltato -la vittoria gli era sfuggita per un soffio- già nel 1936 con un’Alfa 8C. Nato a Firenze nel settembre del 1900 e alfiere –con il conte Gastone Brilli-Peri Campione del Mondo nel Venticinque, con Giulio Masetti che già aveva lasciato la vita alla Targa Florio del 1926, con Clemente Biondetti che era sardo di Buddusò ma gigliato d’adozione- dei piloti di “scuola fiorentina”, Carlo Pintacuda fece parte di quella piccola schiera di campioni stranieri del volante che proprio nel 1936 sbarcarono in Brasile per vedere di mettere un po’ di pepe nel panorama sportivo locale. E con Pintacuda, arrivarono anche le Alfa Romeo della Scuderia Ferrari gommate Pirelli Stella Bianca. “Con i vostri pneumatici Superflex Cord abbiamo collaudato il nostro nuovo chassis. Siamo soddisfattissimi…” aveva scritto l’ingegner Nicola Romeo all’Agenzia Italiana Gomme Pirelli già nel lontano 1924, quando la Casa del Biscione si preparava a sbancare le competizioni automobilistiche in tutta Europa e andare vincere il Campionato Mondiale l’anno successivo.
Non la prese bene, Carlo Pintacuda, la sconfitta del ’36. In compenso, sulla spiaggia di Copacabana aveva potuto apprezzare il bikini sfoggiato dalla scandalosissima pilotessa francese Hellé Nice, anche lei in gara. Però si era rifatto subito, vincendo di lì a poco il Grand Prix di San Paolo. Perchè la città rivale storica dei carioca s’era subito fatta a sua volta il proprio Gran Premio di casa… Peccato per l’incidente causato in quella gara da Lei è Bella -credevate fosse un nome vero il gioco di parole franco-inglese “Hellé Nice”? Si chiamava Mariette Hélène Delange in realtà- che provocò la morte di quattro spettatori. Ormai la vittoria sul Diavolo era vicina. Per Pintacuda il trionfo vero arrivò infatti nei due anni successivi, quando il pilota fiorentino uscì da vincitore -con l’Alfa 8C nel giugno del 1937 davanti all’austriaco Stuck, con la 308 nel 1938- a Gàvea. Diavolo o no, fu anche grazie ai pneumatici Pirelli che Pintacuda -spesso sotto un diluvio di pioggia- riuscì sempre a finire primo e a costruirsi la sua fama brasiliana di “matto vincente”.
Sou momole pra falar, mas sou um Pintacuda pra beijar. Parlo a spizzichi ma bacio da Pintacuda: così suonava e cantava la Marcha de Gago -la marcetta del balbuziente- lanciata negli anni Cinquanta da Armando Cavalcanti e Klécius Caldas. Carlo Pintacuda -o Herói da Gávea- era ormai diventato leggenda nel Pais Tropical. E i piloti brasiliani un po’matti e spericolati erano diventati “i pintacudas”. Di Pintacuda -morto nel 1971 a Buenos Aires, dove aveva aperto un negozio di generi alimentari- restano poche foto. Una è nell’Archivio Storico Pirelli: lo ritrae all’arrivo della Mille Miglia del Trentacinque, quando vince guidando un’Alfa P3 monoposto da grand prix appositamente elaborata per lui dalla Scuderia Ferrari con l’aggiunta di un seggiolino per il “navigatore” -il Marchese Alessandro della Stufa– e una minima dotazione di fanali. Pintacuda veste la sua immancabile tuta bianca sciccosa da corsa, sigaretta in bocca e aria guascona. Più perplesso al suo fianco il Marchese della Stufa: vuoi perchè stava su un sedile davvero minuscolo, vuoi perchè ormai era notte e aveva sonno. O forse perchè si era fatto mille miglia di corsa di fianco ad un vero e proprio pintacuda…Gongola, in piedi lì di fianco, Enzo Ferrari: per la cronaca, tra i primi 17 arrivati c’erano 16 Alfa Romeo…
Ogni volta smetteva per un attimo di respirare e premeva forte sull’acceleratore. Avesse potuto, avrebbe anche chiuso gli occhi. Ma era meglio non farlo, perchè il muro era troppo vicino. E così per cento volte. Ad ognuna delle cento maledettissime curve del Trampolino del Diavolo. Per tutti gli altri era solo il Circuito di Gàvea, ma a Rio de Janeiro la gente del posto lo chiamava Trampolim do Diabo, quell’infernale tracciato automobilistico cittadino: undici chilometri di corsa tra pali della luce, muri, binari del tram, tratti di spiaggia, sabbia, cemento, strapiombi sul mare.
Bisognava tenere gli occhi aperti e trattenere il respiro, a Gàvea. E, forse, pregare che ancora una volta i pneumatici Pirelli Stella Bianca tenessero. Questo lo sapeva bene Carlo Pintacuda, lui che il Trampolino del Diavolo l’aveva quasi saltato -la vittoria gli era sfuggita per un soffio- già nel 1936 con un’Alfa 8C. Nato a Firenze nel settembre del 1900 e alfiere –con il conte Gastone Brilli-Peri Campione del Mondo nel Venticinque, con Giulio Masetti che già aveva lasciato la vita alla Targa Florio del 1926, con Clemente Biondetti che era sardo di Buddusò ma gigliato d’adozione- dei piloti di “scuola fiorentina”, Carlo Pintacuda fece parte di quella piccola schiera di campioni stranieri del volante che proprio nel 1936 sbarcarono in Brasile per vedere di mettere un po’ di pepe nel panorama sportivo locale. E con Pintacuda, arrivarono anche le Alfa Romeo della Scuderia Ferrari gommate Pirelli Stella Bianca. “Con i vostri pneumatici Superflex Cord abbiamo collaudato il nostro nuovo chassis. Siamo soddisfattissimi…” aveva scritto l’ingegner Nicola Romeo all’Agenzia Italiana Gomme Pirelli già nel lontano 1924, quando la Casa del Biscione si preparava a sbancare le competizioni automobilistiche in tutta Europa e andare vincere il Campionato Mondiale l’anno successivo.
Non la prese bene, Carlo Pintacuda, la sconfitta del ’36. In compenso, sulla spiaggia di Copacabana aveva potuto apprezzare il bikini sfoggiato dalla scandalosissima pilotessa francese Hellé Nice, anche lei in gara. Però si era rifatto subito, vincendo di lì a poco il Grand Prix di San Paolo. Perchè la città rivale storica dei carioca s’era subito fatta a sua volta il proprio Gran Premio di casa… Peccato per l’incidente causato in quella gara da Lei è Bella -credevate fosse un nome vero il gioco di parole franco-inglese “Hellé Nice”? Si chiamava Mariette Hélène Delange in realtà- che provocò la morte di quattro spettatori. Ormai la vittoria sul Diavolo era vicina. Per Pintacuda il trionfo vero arrivò infatti nei due anni successivi, quando il pilota fiorentino uscì da vincitore -con l’Alfa 8C nel giugno del 1937 davanti all’austriaco Stuck, con la 308 nel 1938- a Gàvea. Diavolo o no, fu anche grazie ai pneumatici Pirelli che Pintacuda -spesso sotto un diluvio di pioggia- riuscì sempre a finire primo e a costruirsi la sua fama brasiliana di “matto vincente”.
Sou momole pra falar, mas sou um Pintacuda pra beijar. Parlo a spizzichi ma bacio da Pintacuda: così suonava e cantava la Marcha de Gago -la marcetta del balbuziente- lanciata negli anni Cinquanta da Armando Cavalcanti e Klécius Caldas. Carlo Pintacuda -o Herói da Gávea- era ormai diventato leggenda nel Pais Tropical. E i piloti brasiliani un po’matti e spericolati erano diventati “i pintacudas”. Di Pintacuda -morto nel 1971 a Buenos Aires, dove aveva aperto un negozio di generi alimentari- restano poche foto. Una è nell’Archivio Storico Pirelli: lo ritrae all’arrivo della Mille Miglia del Trentacinque, quando vince guidando un’Alfa P3 monoposto da grand prix appositamente elaborata per lui dalla Scuderia Ferrari con l’aggiunta di un seggiolino per il “navigatore” -il Marchese Alessandro della Stufa– e una minima dotazione di fanali. Pintacuda veste la sua immancabile tuta bianca sciccosa da corsa, sigaretta in bocca e aria guascona. Più perplesso al suo fianco il Marchese della Stufa: vuoi perchè stava su un sedile davvero minuscolo, vuoi perchè ormai era notte e aveva sonno. O forse perchè si era fatto mille miglia di corsa di fianco ad un vero e proprio pintacuda…Gongola, in piedi lì di fianco, Enzo Ferrari: per la cronaca, tra i primi 17 arrivati c’erano 16 Alfa Romeo…