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Il connubio complesso tra Intelligenza Artificiale e leadership

In corso di pubblicazione una ricerca che spiega i legami forti tra IA e guida dell’impresa

L’Intelligenza Artificiale (IA) al servizio delle imprese a patto che sia ben compresa e gestita.

È questo il messaggio importante che arriva dalla gran parte delle indagini sul tema come, ad esempio, “Design of AI in leadership” di Khushwant Singh e Mohit Yadav (University Institute of Engineering and Technology della Maharshi Dayanard University) in corso di pubblicazione.

La ricerca ha l’obiettivo di mettere in chiaro le relazioni tra le tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale e il ruolo di leadership di alcune funzioni nell’ambito di dell’industria 4.0. L’indagine viene condotta sulla base delle due categorie principali: l”Intelligenza Artificiale” da un lato e il significato della “leadership” dall’altro. I due ricercatori partono dalla constatazione che l’intelligenza artificiale (IA) ha avuto un impatto notevole sull’ambiente di lavoro sia dal punto di vista tecnico che da quello sociale a causa del crescente utilizzo delle tecnologie che proprio dalla IA vengono sviluppate. Il saggio sottolinea tuttavia quanto la leadership sia cruciale per l’adozione e l’utilizzo corretti dell’IA nelle imprese.

La ricerca ha una articolazione semplice. Per mezzo dell’esame della letteratura a disposizione, viene dimostrata la necessità di tecniche di leadership supportate dall’IA nelle aziende ma contemporaneamente il ruolo fondamentale della stessa leadership per la diffusione della IA. Una funzione che gli autori distinguono in almeno quattro categorie: la leadership che tocca il processo di trasformazione strategica, quella che tocca le competenze e la cultura d’impresa e, infine, l’interazione uomo-IA.

La ricerca di Khushwant Singh e Mohit Yadav non introduce nuovi elementi conoscitivo nelle analisi e nelle valutazione della IA nelle imprese, ma ha il merito di collocare le conoscenze attuali in un contesto corretto, facendo emergere, ancora una volta, il ruolo fondamentale dell’elemento umano anche nelle tecnologie più avanzate.

 

Design of AI in leadership

Khushwant Singh, Mohit Yadav

atIA. 2025; 3:118

In corso di pubblicazione una ricerca che spiega i legami forti tra IA e guida dell’impresa

L’Intelligenza Artificiale (IA) al servizio delle imprese a patto che sia ben compresa e gestita.

È questo il messaggio importante che arriva dalla gran parte delle indagini sul tema come, ad esempio, “Design of AI in leadership” di Khushwant Singh e Mohit Yadav (University Institute of Engineering and Technology della Maharshi Dayanard University) in corso di pubblicazione.

La ricerca ha l’obiettivo di mettere in chiaro le relazioni tra le tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale e il ruolo di leadership di alcune funzioni nell’ambito di dell’industria 4.0. L’indagine viene condotta sulla base delle due categorie principali: l”Intelligenza Artificiale” da un lato e il significato della “leadership” dall’altro. I due ricercatori partono dalla constatazione che l’intelligenza artificiale (IA) ha avuto un impatto notevole sull’ambiente di lavoro sia dal punto di vista tecnico che da quello sociale a causa del crescente utilizzo delle tecnologie che proprio dalla IA vengono sviluppate. Il saggio sottolinea tuttavia quanto la leadership sia cruciale per l’adozione e l’utilizzo corretti dell’IA nelle imprese.

La ricerca ha una articolazione semplice. Per mezzo dell’esame della letteratura a disposizione, viene dimostrata la necessità di tecniche di leadership supportate dall’IA nelle aziende ma contemporaneamente il ruolo fondamentale della stessa leadership per la diffusione della IA. Una funzione che gli autori distinguono in almeno quattro categorie: la leadership che tocca il processo di trasformazione strategica, quella che tocca le competenze e la cultura d’impresa e, infine, l’interazione uomo-IA.

La ricerca di Khushwant Singh e Mohit Yadav non introduce nuovi elementi conoscitivo nelle analisi e nelle valutazione della IA nelle imprese, ma ha il merito di collocare le conoscenze attuali in un contesto corretto, facendo emergere, ancora una volta, il ruolo fondamentale dell’elemento umano anche nelle tecnologie più avanzate.

 

Design of AI in leadership

Khushwant Singh, Mohit Yadav

atIA. 2025; 3:118

Oltre cento anni di lavoro in Italia

Appena pubblicato un libro che traccia una limpida sintesi di uno dei fondamenti del vivere civile

 

Il lavoro cambia con la società e quindi anche con le imprese e le loro modalità d’azione. Questione di tecnologia ma anche di rapporti umani. E di obiettivi così come di priorità d’azione. Comprendere l’evoluzione del lavoro è cosa utile per capire molto dell’evoluzione dell’economia e delle relazioni sociali. Per questo serve leggere “Il lavoro in Italia. Un profilo storico dall’Unità a oggi” scritto da Manfredi Alberti – ricercatore in Storia del pensiero economico all’Università di Palermo –  che al tema ha dedicato un libro denso di contenuti ma chiaro nell’esposizione.

Alberto parte dalla considerazione che, dall’Unità a oggi, il mondo del lavoro in Italia è stato interessato da profondi cambiamenti, legati alle trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali che hanno investito il paese nella transizione dall’economia rurale all’attuale società dei servizi. In questo lungo percorso di sviluppo e trasformazione, emergono il ruolo della politica e dello Stato nella costruzione del welfare e del diritto del lavoro, l’impatto delle migrazioni e l’evoluzione delle differenze di genere, le lotte sindacali e la storia dei diritti, ma anche le teorie economiche che hanno contribuito sia a delineare i contorni della questione sociale sia a spiegare le determinanti e l’andamento di variabili chiave, come i salari e l’occupazione.

Di ogni tema Alberti traccia storia e attualità anche attraverso un ampio uso delle fonti statistiche e della legislazione, oltre che della ricostruzione dei cambiamenti storici che hanno visto trasformare il valore del lavoro nel paese.

Il libro è articolato in dieci ampi capitolo: dalla situazione nell’Italia postunitaria a quella della prima globalizzazione, dalle condizioni del lavoro all’epoca della Grande Guerra a quelle del Ventennio, dalla situazione durante la Seconda Guerra Mondiale ai primi anni della Repubblica e del boom; per arrivare quindi all’epoca dei conflitti e delle riforme, a quella del fordismo e del mercato per giungere, infine, al periodo della seconda globalizzazione, della precarietà e delle nuove forme di occupazione.

Manfredi Alberti permette davvero di comprendere uno dei fondamenti del vivere civile e sociale della Repubblica italiana.

Il lavoro in Italia. Un profilo storico dall’Unità a oggi

Manfredi Alberti

Carocci editore, 2024

Appena pubblicato un libro che traccia una limpida sintesi di uno dei fondamenti del vivere civile

 

Il lavoro cambia con la società e quindi anche con le imprese e le loro modalità d’azione. Questione di tecnologia ma anche di rapporti umani. E di obiettivi così come di priorità d’azione. Comprendere l’evoluzione del lavoro è cosa utile per capire molto dell’evoluzione dell’economia e delle relazioni sociali. Per questo serve leggere “Il lavoro in Italia. Un profilo storico dall’Unità a oggi” scritto da Manfredi Alberti – ricercatore in Storia del pensiero economico all’Università di Palermo –  che al tema ha dedicato un libro denso di contenuti ma chiaro nell’esposizione.

Alberto parte dalla considerazione che, dall’Unità a oggi, il mondo del lavoro in Italia è stato interessato da profondi cambiamenti, legati alle trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali che hanno investito il paese nella transizione dall’economia rurale all’attuale società dei servizi. In questo lungo percorso di sviluppo e trasformazione, emergono il ruolo della politica e dello Stato nella costruzione del welfare e del diritto del lavoro, l’impatto delle migrazioni e l’evoluzione delle differenze di genere, le lotte sindacali e la storia dei diritti, ma anche le teorie economiche che hanno contribuito sia a delineare i contorni della questione sociale sia a spiegare le determinanti e l’andamento di variabili chiave, come i salari e l’occupazione.

Di ogni tema Alberti traccia storia e attualità anche attraverso un ampio uso delle fonti statistiche e della legislazione, oltre che della ricostruzione dei cambiamenti storici che hanno visto trasformare il valore del lavoro nel paese.

Il libro è articolato in dieci ampi capitolo: dalla situazione nell’Italia postunitaria a quella della prima globalizzazione, dalle condizioni del lavoro all’epoca della Grande Guerra a quelle del Ventennio, dalla situazione durante la Seconda Guerra Mondiale ai primi anni della Repubblica e del boom; per arrivare quindi all’epoca dei conflitti e delle riforme, a quella del fordismo e del mercato per giungere, infine, al periodo della seconda globalizzazione, della precarietà e delle nuove forme di occupazione.

Manfredi Alberti permette davvero di comprendere uno dei fondamenti del vivere civile e sociale della Repubblica italiana.

Il lavoro in Italia. Un profilo storico dall’Unità a oggi

Manfredi Alberti

Carocci editore, 2024

Modulistica A

Documentazione necessaria allo svolgimento del percorso didattico:

Documenti da compilare e firmare a cura del docente accompagnatore

INFORMATIVA VISITATORI
DICHIARAZIONE ESONERO RESPONSABILITÀ (STUDENTI MINORENNI)

Documento per sola presa visione del docente accompagnatore

MODULO AMBIENTE E SICUREZZA FONDAZIONE PIRELLI (EDIFICIO STELLA BIANCA)

Documento da condividere per presa visione con i genitori/tutori

INFORMATIVA VIDEO-RIPRESE

Documentazione necessaria allo svolgimento del percorso didattico:

Documenti da compilare e firmare a cura del docente accompagnatore

INFORMATIVA VISITATORI
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LIBERATORIA UTILIZZO IMMAGINI MINORENNI

Documenti da far firmare a partecipanti maggiorenni (compresi docenti accompagnatori)

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Documentazione necessaria allo svolgimento del percorso didattico:

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INFORMATIVA VISITATORI
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MODULO AMBIENTE E SICUREZZA FONDAZIONE PIRELLI (EDIFICIO STELLA BIANCA)

Documenti da far firmare a tutti i partecipanti (compresi docenti accompagnatori)

LIBERATORIA UTILIZZO IMMAGINI MAGGIORENNI

Modulistica C

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INFORMATIVA VISITATORI

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Milano vicina all’Europa, come cantava Dalla: le nuove metropolitane e le ombre del boom immobiliare

Aveva avuto la vista lunga, Lucio Dalla quando, nel 1979, aveva scritto “Milano”, definendola in mille modi, “perduta” e “lontana dal cielo” ma anche “a portata di mano” e cantandone la “fatica”, le emozioni, la condizione di città “tra i milioni e il respiro di un polmone solo”. Insomma, “Milano vicina all’Europa”… “che banche, che cambi”, e poi ancora “Milano senza fortuna, mi porti con te/ sottoterra o sulla luna”. Erano stagioni difficili, note come “gli anni di piombo”. Eppure vitali, mentre si preparavano gli scintillanti Ottanta della “Milano da bere”, del rigoglioso benessere economico, del successo della moda e del lusso, dei grandi imprenditori e della tv commerciale zeppa di brillante pubblicità.

Gli artisti hanno una sensibilità particolare, un’affilata intelligenza creativa che li porta non solo a cogliere i pur deboli segnali dei tempi nuovi ma anche a fissare in parole e musiche le permanenze di lungo periodo. E dunque chi riascolta, oggi, la Milano cantata da Dalla, ritrova, oltre al piacere dolce-amaro dell’amarcord, anche il gusto piccante dell’attualità.

Milano vicina all’Europa, appunto. Lo confermano le pagine della cronaca contemporanea. Ricche di notizie e dati sugli investimenti esteri, non solo quelli delle imprese multinazionali (5mila hanno sede a Milano, delle 7mila lombarde, metà del totale nazionale) ma anche gli affari dei milionari che abbandonano Londra per comprare casa a Milano, facendo impazzire i valori del mercato immobiliare: “Milano e la Liguria sono nella top ten delle scelte dei 128mila paperoni mondiali, i milionari con oltre un milione di dollari di patrimonio netto, che nel 2024 stanno cambiando la residenza fiscale””, scrive Il Sole24Ore (15 settembre), quantificando in 2.200 i nuovi contribuenti da 100mila euro all’anno di tasse all inclusive, beneficiati da una vantaggiosa fiscalità piatta stabilita da una legge del governo Renzi, portata proprio adesso a 200mila euro dal governo Meloni e comunque quanto mai attrattiva.

E Milano “che ti porta con sé sottoterra o sulla luna”? Industria aerospaziale a parte, è quel “sottoterra” a essere di stretta attualità. Perché alla fine della scorsa settimana è stata inaugurata la seconda tratta della M4, la quinta linea della metropolitana, dall’aeroporto di Linate alla periferia di San Cristoforo, sul Naviglio Grande: la “linea blu” lunga 15 chilometri da percorrere in mezz’ora, un treno ogni 90 secondi per trasportare 86 milioni di passeggeri all’anno. E proprio il giorno dell’inaugurazione, dopo dieci anni di lavori (realizzati da WeBuild, colosso italiano delle grandi infrastrutture, di respiro internazionale), il sindaco di Milano Beppe Sala ha alzato il tiro, parlando del “sogno” della M6, una nuova linea (ancora da progettare e finanziare) e del prolungamento delle quattro linee che ci sono già verso nuove destinazioni, Monza, Segrate, Baggio. Un poderoso potenziamento del servizio pubblico in una metropoli che anche così, seguendo Dalla, è “vicina all’Europa” e cioè agli standard delle maggiori città.
Conferma Pietro Salini, amministratore delegato e principale azionista di WeBuild: “Costruire a Milano ‘la porta dell’Europa’ significa contribuire alla crescita di una città che è diventata sempre più motore dell’Italia, protagonista europea e metropoli cosmopolita aperta al mondo”.

È proprio così, Milano. Internazionale. Ambiziosa. Ed esigente. Capace di sognare. E di avere i piedi per terra. Severa. E accogliente. Abituata ai numeri e ai fatti. E colta, per consuetudine con le parole ben dette, scritte, recitate, musicate, impaginate, pubblicate. Una città ipercritica, anche con se stessa. E dunque fonte di un frequente mal di testa per chi la amministra e ne definisce e guida i percorsi. D’altronde è proprio questa la caratteristica di una civitas in cui l’abitudine storicamente radicata alla buona amministrazione convive con l’attitudine intraprendente e creativa dei soggetti sociali e il potere pubblico si misura con i poteri e le organizzazioni private. E tutti sanno di dovere fare i conti con un pragmatismo dai caratteri illuministi e riformisti.

Se è vero che “milanesi si diventa” (appunto come lo siamo diventati in centinaia di migliaia, dal dopoguerra in poi), è altrettanto vero che l’inclusione sociale e la partecipazione come cittadinanza consapevole hanno bisogno di solide virtù civiche e generose qualità sociali, per legare competitività e solidarietà, produttività del fare affari e lungimiranza nel costruire un robusto tessuto di relazioni virtuose tra interessi legittimi e valori.
Ecco qui, però, il punto di crisi. Nel corso del tempo, anche a causa di complesse trasformazioni culturali e sociali le cui radici affondano anche ben oltre il territorio di Milano, la città ha cominciato a trasformarsi. Meno cittadini, più city users, senza più né la cultura né l’inclinazione a farsi carico delle esigenze e dei valori generali. E l’andamento al rialzo impetuoso dei prezzi delle case e del costo della vita ha accentuato questa tendenza. I “nuovi ricchi” molto internazionali e poco “borghesi” (se la borghesia è connotata non solo dal reddito, ma anche e soprattutto da valori, cultura e stili di vita, poca “moda” e solida “eleganza”, molta sobrietà e scarsa inclinazione all’apparenza) stanno caratterizzando in modo crescente costumi e consumi di Milano, nevroticamente sensibile agli eventi e poco interessata alle strutture e alle istituzioni di lungo periodo.

Il rischio è che “la rendita mangi lo sviluppo”, si potrebbe dire parafrasando la sintesi di un’inchiesta di Dario Di Vico, elaborata su dati di Assolombarda e “Your Next Milano” e pubblicata sull’Economia del Corriere della Sera (30 settembre) e che cioè gli interessi dei proprietari di case mettano in ombra le virtù, molto milanesi dell’intraprendenza, della cultura, dell’innovazione, della ricerca: “Sotto la Madonnina diminuiscono multinazionali e studenti stranieri. E dove c’erano i capitani d’industria adesso dominano e proprietari delle mura”.
Il rischio, insomma, discusso a lungo anche da un sodalizio come il Centro Studi Grande Milano, buon interprete del riformismo lombardo, è che continui e si accentui, sino a un punto di non ritorno, la tendenza a espellere dal centro urbano e dai quartieri un tempo residenziali, ceti medi e studenti, giovani coppie, anziani in difficoltà economiche e aspiranti nuovi cittadini di medio reddito, per far posto ai “milionari” internazionali della flat tax da 200mila euro all’anno e ai turisti amanti degli “affitti brevi”. “Canoni su del 22 per cento in cinque anni. Record a Barona e Corvetto”, nota il Corriere della Sera (9 ottobre), citando quartieri un tempo popolari e adesso diventati molto ricercati.

Ma Milano, così, perderebbe la sua anima, la sua sensibilità economica e sociale, la sua stessa attrattività. Una deriva inaccettabile.
Una deriva scontata, inarrestabile? Forse no. Scorrendo le cronache locali, infatti, si trovano notizie su investimenti per alloggi per studenti e giovani professori, per esempio a sud di Milano, là dove sta sorgendo il Villaggio degli Atleti per le Olimpiadi Milano-Cortina del 2026. E si legge di un “obiettivo diecimila appartamenti a prezzo contenuto per contrastare l’emergenza casa” in corso di definizione da parte della giunta comunale del sindaco Sala (la Repubblica, 24 settembre). Si sa che “Edison lancia il piano casa per reclutare nuovi laureati” (Corriere della Sera, 7 ottobre). E si spera in un miglioramento generale della qualità della vita grazie a un “Atlante delle aree verdi, delle piste ciclabili e delle piazze” elaborato dal Comune ascoltando i quartieri e da allegare al nuovo “Piano di governo del territorio”, il principale strumento urbanistico della città.

Milano, insomma, è in trasformazione. E in movimento. Può degradare, tra appariscenza luminosa dei grattacieli e ombre cupe del disagio sociale (e della criminalità). Oppure riprendersi, come peraltro ha già fatto parecchie volte, anche nella storia recente.
Un buon esempio, che fa sperare, arriva da una celebrazione aziendale, organizzata proprio nel cantiere del Villaggio Olimpico, per i cinquant’anni della Coima, la società di investimento immobiliare guidata da Manfredi Catella, dinamico protagonista della nuova Milano: una gara tra otto università milanesi e cinque romane, per immaginare la città del futuro, dal titolo “Inspiring cities”. Ha vinto l’equipe dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, con un progetto chiamato “Organism”, una prospettiva di polis ideale, desiderabile, realizzabile.
Milano che sogna, insomma. E progetta. Con intelligenza. E sentimento.

Ecco, il ruolo positivo dei sentimenti. Milano testa pensante. E Milano da stereotipo “con il cuore in mano”. “E se tornassimo a parlare d’amore?” è il titolo della nuova stagione del teatro Franco Parenti, progettata da Andrée Ruth Shammah. Appunto. Un amore di città.

(foto Getty Images)

Aveva avuto la vista lunga, Lucio Dalla quando, nel 1979, aveva scritto “Milano”, definendola in mille modi, “perduta” e “lontana dal cielo” ma anche “a portata di mano” e cantandone la “fatica”, le emozioni, la condizione di città “tra i milioni e il respiro di un polmone solo”. Insomma, “Milano vicina all’Europa”… “che banche, che cambi”, e poi ancora “Milano senza fortuna, mi porti con te/ sottoterra o sulla luna”. Erano stagioni difficili, note come “gli anni di piombo”. Eppure vitali, mentre si preparavano gli scintillanti Ottanta della “Milano da bere”, del rigoglioso benessere economico, del successo della moda e del lusso, dei grandi imprenditori e della tv commerciale zeppa di brillante pubblicità.

Gli artisti hanno una sensibilità particolare, un’affilata intelligenza creativa che li porta non solo a cogliere i pur deboli segnali dei tempi nuovi ma anche a fissare in parole e musiche le permanenze di lungo periodo. E dunque chi riascolta, oggi, la Milano cantata da Dalla, ritrova, oltre al piacere dolce-amaro dell’amarcord, anche il gusto piccante dell’attualità.

Milano vicina all’Europa, appunto. Lo confermano le pagine della cronaca contemporanea. Ricche di notizie e dati sugli investimenti esteri, non solo quelli delle imprese multinazionali (5mila hanno sede a Milano, delle 7mila lombarde, metà del totale nazionale) ma anche gli affari dei milionari che abbandonano Londra per comprare casa a Milano, facendo impazzire i valori del mercato immobiliare: “Milano e la Liguria sono nella top ten delle scelte dei 128mila paperoni mondiali, i milionari con oltre un milione di dollari di patrimonio netto, che nel 2024 stanno cambiando la residenza fiscale””, scrive Il Sole24Ore (15 settembre), quantificando in 2.200 i nuovi contribuenti da 100mila euro all’anno di tasse all inclusive, beneficiati da una vantaggiosa fiscalità piatta stabilita da una legge del governo Renzi, portata proprio adesso a 200mila euro dal governo Meloni e comunque quanto mai attrattiva.

E Milano “che ti porta con sé sottoterra o sulla luna”? Industria aerospaziale a parte, è quel “sottoterra” a essere di stretta attualità. Perché alla fine della scorsa settimana è stata inaugurata la seconda tratta della M4, la quinta linea della metropolitana, dall’aeroporto di Linate alla periferia di San Cristoforo, sul Naviglio Grande: la “linea blu” lunga 15 chilometri da percorrere in mezz’ora, un treno ogni 90 secondi per trasportare 86 milioni di passeggeri all’anno. E proprio il giorno dell’inaugurazione, dopo dieci anni di lavori (realizzati da WeBuild, colosso italiano delle grandi infrastrutture, di respiro internazionale), il sindaco di Milano Beppe Sala ha alzato il tiro, parlando del “sogno” della M6, una nuova linea (ancora da progettare e finanziare) e del prolungamento delle quattro linee che ci sono già verso nuove destinazioni, Monza, Segrate, Baggio. Un poderoso potenziamento del servizio pubblico in una metropoli che anche così, seguendo Dalla, è “vicina all’Europa” e cioè agli standard delle maggiori città.
Conferma Pietro Salini, amministratore delegato e principale azionista di WeBuild: “Costruire a Milano ‘la porta dell’Europa’ significa contribuire alla crescita di una città che è diventata sempre più motore dell’Italia, protagonista europea e metropoli cosmopolita aperta al mondo”.

È proprio così, Milano. Internazionale. Ambiziosa. Ed esigente. Capace di sognare. E di avere i piedi per terra. Severa. E accogliente. Abituata ai numeri e ai fatti. E colta, per consuetudine con le parole ben dette, scritte, recitate, musicate, impaginate, pubblicate. Una città ipercritica, anche con se stessa. E dunque fonte di un frequente mal di testa per chi la amministra e ne definisce e guida i percorsi. D’altronde è proprio questa la caratteristica di una civitas in cui l’abitudine storicamente radicata alla buona amministrazione convive con l’attitudine intraprendente e creativa dei soggetti sociali e il potere pubblico si misura con i poteri e le organizzazioni private. E tutti sanno di dovere fare i conti con un pragmatismo dai caratteri illuministi e riformisti.

Se è vero che “milanesi si diventa” (appunto come lo siamo diventati in centinaia di migliaia, dal dopoguerra in poi), è altrettanto vero che l’inclusione sociale e la partecipazione come cittadinanza consapevole hanno bisogno di solide virtù civiche e generose qualità sociali, per legare competitività e solidarietà, produttività del fare affari e lungimiranza nel costruire un robusto tessuto di relazioni virtuose tra interessi legittimi e valori.
Ecco qui, però, il punto di crisi. Nel corso del tempo, anche a causa di complesse trasformazioni culturali e sociali le cui radici affondano anche ben oltre il territorio di Milano, la città ha cominciato a trasformarsi. Meno cittadini, più city users, senza più né la cultura né l’inclinazione a farsi carico delle esigenze e dei valori generali. E l’andamento al rialzo impetuoso dei prezzi delle case e del costo della vita ha accentuato questa tendenza. I “nuovi ricchi” molto internazionali e poco “borghesi” (se la borghesia è connotata non solo dal reddito, ma anche e soprattutto da valori, cultura e stili di vita, poca “moda” e solida “eleganza”, molta sobrietà e scarsa inclinazione all’apparenza) stanno caratterizzando in modo crescente costumi e consumi di Milano, nevroticamente sensibile agli eventi e poco interessata alle strutture e alle istituzioni di lungo periodo.

Il rischio è che “la rendita mangi lo sviluppo”, si potrebbe dire parafrasando la sintesi di un’inchiesta di Dario Di Vico, elaborata su dati di Assolombarda e “Your Next Milano” e pubblicata sull’Economia del Corriere della Sera (30 settembre) e che cioè gli interessi dei proprietari di case mettano in ombra le virtù, molto milanesi dell’intraprendenza, della cultura, dell’innovazione, della ricerca: “Sotto la Madonnina diminuiscono multinazionali e studenti stranieri. E dove c’erano i capitani d’industria adesso dominano e proprietari delle mura”.
Il rischio, insomma, discusso a lungo anche da un sodalizio come il Centro Studi Grande Milano, buon interprete del riformismo lombardo, è che continui e si accentui, sino a un punto di non ritorno, la tendenza a espellere dal centro urbano e dai quartieri un tempo residenziali, ceti medi e studenti, giovani coppie, anziani in difficoltà economiche e aspiranti nuovi cittadini di medio reddito, per far posto ai “milionari” internazionali della flat tax da 200mila euro all’anno e ai turisti amanti degli “affitti brevi”. “Canoni su del 22 per cento in cinque anni. Record a Barona e Corvetto”, nota il Corriere della Sera (9 ottobre), citando quartieri un tempo popolari e adesso diventati molto ricercati.

Ma Milano, così, perderebbe la sua anima, la sua sensibilità economica e sociale, la sua stessa attrattività. Una deriva inaccettabile.
Una deriva scontata, inarrestabile? Forse no. Scorrendo le cronache locali, infatti, si trovano notizie su investimenti per alloggi per studenti e giovani professori, per esempio a sud di Milano, là dove sta sorgendo il Villaggio degli Atleti per le Olimpiadi Milano-Cortina del 2026. E si legge di un “obiettivo diecimila appartamenti a prezzo contenuto per contrastare l’emergenza casa” in corso di definizione da parte della giunta comunale del sindaco Sala (la Repubblica, 24 settembre). Si sa che “Edison lancia il piano casa per reclutare nuovi laureati” (Corriere della Sera, 7 ottobre). E si spera in un miglioramento generale della qualità della vita grazie a un “Atlante delle aree verdi, delle piste ciclabili e delle piazze” elaborato dal Comune ascoltando i quartieri e da allegare al nuovo “Piano di governo del territorio”, il principale strumento urbanistico della città.

Milano, insomma, è in trasformazione. E in movimento. Può degradare, tra appariscenza luminosa dei grattacieli e ombre cupe del disagio sociale (e della criminalità). Oppure riprendersi, come peraltro ha già fatto parecchie volte, anche nella storia recente.
Un buon esempio, che fa sperare, arriva da una celebrazione aziendale, organizzata proprio nel cantiere del Villaggio Olimpico, per i cinquant’anni della Coima, la società di investimento immobiliare guidata da Manfredi Catella, dinamico protagonista della nuova Milano: una gara tra otto università milanesi e cinque romane, per immaginare la città del futuro, dal titolo “Inspiring cities”. Ha vinto l’equipe dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, con un progetto chiamato “Organism”, una prospettiva di polis ideale, desiderabile, realizzabile.
Milano che sogna, insomma. E progetta. Con intelligenza. E sentimento.

Ecco, il ruolo positivo dei sentimenti. Milano testa pensante. E Milano da stereotipo “con il cuore in mano”. “E se tornassimo a parlare d’amore?” è il titolo della nuova stagione del teatro Franco Parenti, progettata da Andrée Ruth Shammah. Appunto. Un amore di città.

(foto Getty Images)

Sostenibilità come e perché

Una ricerca pubblicata da Ca’ Foscari fornisce le coordinate corrette per comprendere un tema complesso e delicato.

Sostenibilità. Vocabolo ormai usato e abusato da molti. Termine che indica ad un tempo attenzione all’ambiente ma anche alle persone, scrupolo nei confronti del territorio e dei mercati, responsabilità d’impresa rivolta alle comunità nelle quali si agisce. “Imprese e mercato: sfide e opportunità negli anni del Green Deal” – ampia ricerca di Pietro Lanzini appena pubblicata negli “Studi e ricerche” di Ca’ Foscari – consente di fissare alcuni concetti per comprendere meglio di cosa si sta parlando.

L’attenzione di Lanzini si concentra sui ruoli delle aziende e del mercato nei confronti della sostenibilità affrontata per passi successivi. Il tema viene però prima declinato dal punto di vista delle istituzioni e quindi degli strumenti derivanti dalle politiche messe in atto. Successivamente, l’indagine si focalizza sulle leve a disposizione delle imprese e, poi, sul ruolo del consumatore visto come “figura responsabile”. La ricerca passa poi ad approfondire due casi studio: la questione della transizione energetica e quella dell’automotive e della mobilità. In questa parte Lanzini illustra efficacemente le intricate interazioni tra i diversi pilastri della sostenibilità e comparti concreti dell’agire economico.

Pietro Lanzini nelle conclusioni della sua indagine scrive che il filo conduttore della sostenibilità “è rappresentato dalla consapevolezza che essa rappresenti una sfida che richiede un approccio sistemico e integrato, da vincere con un impegno costante e condiviso attraverso la sinergica collaborazione fra diversi attori”. Tre sono i temi che emergono con forza dall’indagine pubblicata da Ca’ Foscari: il fatto che “la sostenibilità va ben oltre la mera tutela ambientale, essendo viceversa un delicato equilibrio tra esigenze economiche, sociali e ambientali in un sistema interconnesso ove ogni azione ha ripercussioni a catena”, la necessità di arrivare ad un vera “educazione alla sostenibilità” e, infine, il “ruolo cruciale” che ogni soggetto può giocare.

Imprese e mercato: sfide e opportunità negli anni del Green Deal

Pietro Lanzini

Edizioni Ca’ Foscari, 2024

Una ricerca pubblicata da Ca’ Foscari fornisce le coordinate corrette per comprendere un tema complesso e delicato.

Sostenibilità. Vocabolo ormai usato e abusato da molti. Termine che indica ad un tempo attenzione all’ambiente ma anche alle persone, scrupolo nei confronti del territorio e dei mercati, responsabilità d’impresa rivolta alle comunità nelle quali si agisce. “Imprese e mercato: sfide e opportunità negli anni del Green Deal” – ampia ricerca di Pietro Lanzini appena pubblicata negli “Studi e ricerche” di Ca’ Foscari – consente di fissare alcuni concetti per comprendere meglio di cosa si sta parlando.

L’attenzione di Lanzini si concentra sui ruoli delle aziende e del mercato nei confronti della sostenibilità affrontata per passi successivi. Il tema viene però prima declinato dal punto di vista delle istituzioni e quindi degli strumenti derivanti dalle politiche messe in atto. Successivamente, l’indagine si focalizza sulle leve a disposizione delle imprese e, poi, sul ruolo del consumatore visto come “figura responsabile”. La ricerca passa poi ad approfondire due casi studio: la questione della transizione energetica e quella dell’automotive e della mobilità. In questa parte Lanzini illustra efficacemente le intricate interazioni tra i diversi pilastri della sostenibilità e comparti concreti dell’agire economico.

Pietro Lanzini nelle conclusioni della sua indagine scrive che il filo conduttore della sostenibilità “è rappresentato dalla consapevolezza che essa rappresenti una sfida che richiede un approccio sistemico e integrato, da vincere con un impegno costante e condiviso attraverso la sinergica collaborazione fra diversi attori”. Tre sono i temi che emergono con forza dall’indagine pubblicata da Ca’ Foscari: il fatto che “la sostenibilità va ben oltre la mera tutela ambientale, essendo viceversa un delicato equilibrio tra esigenze economiche, sociali e ambientali in un sistema interconnesso ove ogni azione ha ripercussioni a catena”, la necessità di arrivare ad un vera “educazione alla sostenibilità” e, infine, il “ruolo cruciale” che ogni soggetto può giocare.

Imprese e mercato: sfide e opportunità negli anni del Green Deal

Pietro Lanzini

Edizioni Ca’ Foscari, 2024

La sfida del destino che ci aspetta

L’ultimo libro di Antonio Padoa-Schioppa è una lucida sintesi dei temi da affrontare per l’Europa

Crisi e basta? Oppure crisi e strade per uscirne? Interrogativi le cui risposte sono ovvie, ma di fronte ai quali serve davvero una guida per argomenti e per tappe. È quello che ha provato a fare Antonio Padoa-Schioppa con il suo “Destini incrociati. Europa e crisi globali”, libro appena pubblicato che, nelle prime pagine, esprime un “sentimento di fiducia, fatto però di responsabilità” da trasmettere prima di tutto “ai lettori più giovani” ma che fa bene a tutti cogliere.

Crisi, dunque, che l’autore affronta partendo da dieci parole e dall’Europa. Le prime sono: clima, energia, difesa, riforme, bilancio, fiscalità, disuguaglianze, Occidente, Oriente, Nazioni Unite. L’Unione europea è, invece, l’attore protagonista chiamato a fare i conti oggi con questi temi che sono altrettante sfide da superare.

Dieci temi da negoziare tra l’Europa e il pianeta che sono altrettanti capitoli del libro di Padoa-Schioppa che termina con una lettera alla confermata presidente Ursula von der Leyen.
L’autore guida chi legge lungo un percorso che vede l’Europa come straordinario luogo di convergenza di interessi e di valori, un cammino scandito sui temi indentificati dai diversi vocaboli che ne esprimono la sintesi, e che conduce però a chiedersi se davvero l’Ue saprà rimanere un fatto mondiale, se davvero riuscirà, anche davanti alle crisi di oggi, a proseguire nella istituzionalizzazione della sua pace e se, infine, sarà capace di traghettare il Vecchio continente nel futuro.

Tutto trova una conclusione nella lettera alla presidente della Commissione – un atto di fiducia e non di ingenuità, precisa Padoa-Schioppa – che in uno dei suoi passi finali dice: “Sono le crisi a costituire le matrici, le levatrici delle svolte. E sono le leadership a coglierne e promuoverne le potenzialità. E infine, è la spinta dal basso (…) a fornire alle leadership il necessario supporto di consenso, che da solo purtroppo non basta”. Democrazia, quindi, e unione appaiono essere le vere risorse a disposizione per superare anche questo periodo così difficile.

Il libro di Antonio Padoa-Schioppa è una lettura da compiere da parte di tutti: chi è “semplice cittadino” e chi ha responsabilità decisionali nelle imprese e nelle istituzioni.

Destini incrociati. Europa e crisi globali
Antonio Padoa-Schioppa
il Mulino, 2024

L’ultimo libro di Antonio Padoa-Schioppa è una lucida sintesi dei temi da affrontare per l’Europa

Crisi e basta? Oppure crisi e strade per uscirne? Interrogativi le cui risposte sono ovvie, ma di fronte ai quali serve davvero una guida per argomenti e per tappe. È quello che ha provato a fare Antonio Padoa-Schioppa con il suo “Destini incrociati. Europa e crisi globali”, libro appena pubblicato che, nelle prime pagine, esprime un “sentimento di fiducia, fatto però di responsabilità” da trasmettere prima di tutto “ai lettori più giovani” ma che fa bene a tutti cogliere.

Crisi, dunque, che l’autore affronta partendo da dieci parole e dall’Europa. Le prime sono: clima, energia, difesa, riforme, bilancio, fiscalità, disuguaglianze, Occidente, Oriente, Nazioni Unite. L’Unione europea è, invece, l’attore protagonista chiamato a fare i conti oggi con questi temi che sono altrettante sfide da superare.

Dieci temi da negoziare tra l’Europa e il pianeta che sono altrettanti capitoli del libro di Padoa-Schioppa che termina con una lettera alla confermata presidente Ursula von der Leyen.
L’autore guida chi legge lungo un percorso che vede l’Europa come straordinario luogo di convergenza di interessi e di valori, un cammino scandito sui temi indentificati dai diversi vocaboli che ne esprimono la sintesi, e che conduce però a chiedersi se davvero l’Ue saprà rimanere un fatto mondiale, se davvero riuscirà, anche davanti alle crisi di oggi, a proseguire nella istituzionalizzazione della sua pace e se, infine, sarà capace di traghettare il Vecchio continente nel futuro.

Tutto trova una conclusione nella lettera alla presidente della Commissione – un atto di fiducia e non di ingenuità, precisa Padoa-Schioppa – che in uno dei suoi passi finali dice: “Sono le crisi a costituire le matrici, le levatrici delle svolte. E sono le leadership a coglierne e promuoverne le potenzialità. E infine, è la spinta dal basso (…) a fornire alle leadership il necessario supporto di consenso, che da solo purtroppo non basta”. Democrazia, quindi, e unione appaiono essere le vere risorse a disposizione per superare anche questo periodo così difficile.

Il libro di Antonio Padoa-Schioppa è una lettura da compiere da parte di tutti: chi è “semplice cittadino” e chi ha responsabilità decisionali nelle imprese e nelle istituzioni.

Destini incrociati. Europa e crisi globali
Antonio Padoa-Schioppa
il Mulino, 2024

“L’officina dello sport”, la nuova mostra di Fondazione Pirelli

La cultura dello sport, i suoi valori condivisi con il mondo dell’impresa e lo storico legame tra Pirelli e le competizioni sportive. “L’officina dello sport”, la nuova mostra di Fondazione Pirelli, riprende le tematiche che hanno portato, lo scorso giugno, alla pubblicazione dell’omonimo volume edito da Marsilio Arte: un percorso espositivo che accompagna il visitatore attraverso oggetti iconici, documenti d’archivio e testimonianze senza tempo della comunicazione visiva aziendale.

La mostra si apre con una Wunderkammer, una “camera delle meraviglie” che racconta, attraverso un ambiente digitale interattivo, l’innovazione dei prodotti della “P lunga” in ambito sportivo, tra passato e presente. Show tyre, preziosi cataloghi di inizio Novecento e celebri campagne pubblicitarie guidano i visitatori alla scoperta dei più importanti pneumatici delle gare automobilistiche, motociclistiche e ciclistiche. Non è però solo una storia di corse quella scritta da Pirelli nel mondo sportivo: articoli storici realizzati dall’azienda – dalla “corazze per foot-ball” alla palla da tennis “che guizza e rimbalza” – si affiancano alla narrazione della recente collaborazione del Gruppo per i Campionati del Mondo di sci alpino, fino alle sfide tecnologiche “per mare” di Luna Rossa Prada Pirelli e Alla Grande-Pirelli.

Il ricco patrimonio fotografico conservato nell’Archivio Storico è valorizzato attraverso l’esposizione di scatti raffiguranti le più rinomate competizioni su pista, la cultura del “saper fare” dei lavoratori, i processi produttivi all’interno delle fabbriche storiche e attuali dedicate ai prodotti sportivi, dalle mescole create nel Polo Industriale di Settimo Torinese ai pneumatici racing realizzati negli stabilimenti di Slatina e İzmit, tra gli altri.  Lo  sport è al centro anche del welfare aziendale, caposaldo della cultura d’impresa di Pirelli, ieri come oggi: è a partire dagli anni Venti, infatti, che il Gruppo Sportivo Pirelli allarga sempre di più il ventaglio delle discipline offerte, includendo le sezioni calcio, tennis, pallacanestro, scherma, atletica, bocce, sci e alpinismo e molto altro, vantando tra gli iscritti anche alcuni campioni olimpici, come il discobolo Adolfo Consolini, oro a Londra 1948.

La sezione iconografica della mostra si amplia nell’Open space, sala espositiva al primo piano della Fondazione, con la presenza delle tavole illustrate realizzate dall’artista Lorenzo Mattotti per il volume “L’officina dello sport”, le più importanti campagne pubblicitarie ideate da designer italiani e internazionali con al centro i protagonisti del mondo sportivo – da Alberto Ascari ad Adriano Panatta, fino all’iconico “La potenza è nulla senza controllo” con Carl Lewis, Ronaldo e Marie-José Pérec – e immagini fotografiche che immortalano il backstage delle competizioni, il ruolo del team dietro le vittorie dei campioni, l’importanza della ricerca tecnologica e della sperimentazione per raggiungere prodotti sempre più innovativi, sicuri e sostenibili, la passione che spinge ai massimi livelli la performance degli atleti.

La ricchezza del patrimonio conservato in Fondazione – diapositive, negativi su lastra e su pellicola, materiali audiovisivi, bozzetti e manifesti – è inoltre esplorabile mediante una parete digitale interattiva, una vera e propria “finestra sull’archivio” che permette anche di ripercorre più di 150 anni di storia aziendale e di successi sportivi attraverso due timeline tematiche.
Il percorso espositivo si delinea dunque come un’esperienza immersiva in un mondo di adrenalina, emozioni e innovazioni, un racconto dello sport come conoscenza, competenza e comunità, una storia di competizioni fuori e dentro la pista che inizia quasi contemporaneamente alla nascita dell’azienda e che continua ancora oggi.

Graphic and Exhibition Design: Dotdotdot, Leftloft

Multimedial environments: Dotdotdot

Exhibition Installation: Avuelle, Benfenati Allestimenti, Neon Stella

La cultura dello sport, i suoi valori condivisi con il mondo dell’impresa e lo storico legame tra Pirelli e le competizioni sportive. “L’officina dello sport”, la nuova mostra di Fondazione Pirelli, riprende le tematiche che hanno portato, lo scorso giugno, alla pubblicazione dell’omonimo volume edito da Marsilio Arte: un percorso espositivo che accompagna il visitatore attraverso oggetti iconici, documenti d’archivio e testimonianze senza tempo della comunicazione visiva aziendale.

La mostra si apre con una Wunderkammer, una “camera delle meraviglie” che racconta, attraverso un ambiente digitale interattivo, l’innovazione dei prodotti della “P lunga” in ambito sportivo, tra passato e presente. Show tyre, preziosi cataloghi di inizio Novecento e celebri campagne pubblicitarie guidano i visitatori alla scoperta dei più importanti pneumatici delle gare automobilistiche, motociclistiche e ciclistiche. Non è però solo una storia di corse quella scritta da Pirelli nel mondo sportivo: articoli storici realizzati dall’azienda – dalla “corazze per foot-ball” alla palla da tennis “che guizza e rimbalza” – si affiancano alla narrazione della recente collaborazione del Gruppo per i Campionati del Mondo di sci alpino, fino alle sfide tecnologiche “per mare” di Luna Rossa Prada Pirelli e Alla Grande-Pirelli.

Il ricco patrimonio fotografico conservato nell’Archivio Storico è valorizzato attraverso l’esposizione di scatti raffiguranti le più rinomate competizioni su pista, la cultura del “saper fare” dei lavoratori, i processi produttivi all’interno delle fabbriche storiche e attuali dedicate ai prodotti sportivi, dalle mescole create nel Polo Industriale di Settimo Torinese ai pneumatici racing realizzati negli stabilimenti di Slatina e İzmit, tra gli altri.  Lo  sport è al centro anche del welfare aziendale, caposaldo della cultura d’impresa di Pirelli, ieri come oggi: è a partire dagli anni Venti, infatti, che il Gruppo Sportivo Pirelli allarga sempre di più il ventaglio delle discipline offerte, includendo le sezioni calcio, tennis, pallacanestro, scherma, atletica, bocce, sci e alpinismo e molto altro, vantando tra gli iscritti anche alcuni campioni olimpici, come il discobolo Adolfo Consolini, oro a Londra 1948.

La sezione iconografica della mostra si amplia nell’Open space, sala espositiva al primo piano della Fondazione, con la presenza delle tavole illustrate realizzate dall’artista Lorenzo Mattotti per il volume “L’officina dello sport”, le più importanti campagne pubblicitarie ideate da designer italiani e internazionali con al centro i protagonisti del mondo sportivo – da Alberto Ascari ad Adriano Panatta, fino all’iconico “La potenza è nulla senza controllo” con Carl Lewis, Ronaldo e Marie-José Pérec – e immagini fotografiche che immortalano il backstage delle competizioni, il ruolo del team dietro le vittorie dei campioni, l’importanza della ricerca tecnologica e della sperimentazione per raggiungere prodotti sempre più innovativi, sicuri e sostenibili, la passione che spinge ai massimi livelli la performance degli atleti.

La ricchezza del patrimonio conservato in Fondazione – diapositive, negativi su lastra e su pellicola, materiali audiovisivi, bozzetti e manifesti – è inoltre esplorabile mediante una parete digitale interattiva, una vera e propria “finestra sull’archivio” che permette anche di ripercorre più di 150 anni di storia aziendale e di successi sportivi attraverso due timeline tematiche.
Il percorso espositivo si delinea dunque come un’esperienza immersiva in un mondo di adrenalina, emozioni e innovazioni, un racconto dello sport come conoscenza, competenza e comunità, una storia di competizioni fuori e dentro la pista che inizia quasi contemporaneamente alla nascita dell’azienda e che continua ancora oggi.

Graphic and Exhibition Design: Dotdotdot, Leftloft

Multimedial environments: Dotdotdot

Exhibition Installation: Avuelle, Benfenati Allestimenti, Neon Stella

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