Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli.

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione, visite guidate e l'accessibilità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o compilare il form qui sotto anticipando nel campo note i dettagli nella richiesta.

Digitalizzazione come e dove

Il tema dell’innovazione digitale e delle sue relazioni con l’economia e la società discusso in termini sintetici e chiari

Digitalizzazione. Pare essere questo – ed è così per molti versi -, il concetto cardine attorno al quale far ruotare sviluppo e crescita. Concetto solo in apparenza chiaro, quello della digitalizzazione che, soprattutto, va collegato ogni volta alle circostanze concrete su cui agisce. Pensando soprattutto a ciò che di volta in volta deve cambiare. E’ attorno a questi nodi che ragionano Çağrı Emin Şahin e Metin Hasde con il loro intervento pubblicato da poco in Handbook of Research on Perspectives on Society and Technology Addiction.

“Digital Society: Basic Framework and Concepts” è una buona sintesi delle relazioni tra innovazione digitale e innovazione necessaria nel resto del sistema economico e sociale al quale la prima si applica.

Gli autori partono da una constatazione: “Con lo sviluppo della tecnologia dell’informazione, le società sono diventate parte del progresso sia nazionale che internazionale attraverso la possibilità di sfruttare le opportunità utilizzando gli strumenti offerti dalla tecnologia”. L’indagine, quindi, passa ad analizzare i componenti della nuova “società digitale” che si sta formando e, soprattutto, le relazioni tra di loro e con il quadro generale che si va delineando. Spiegano in particolare i due autori come la “società digitale” sia  “costituita da istituzioni, gruppi e individui organizzati ciberneticamente attorno a una certa relazione di interesse” e che queste componenti “realizzano le loro relazioni, interazioni, connessioni e comunicazioni con la tecnologia tramite Internet. La struttura della società digitale riflette poi la natura della tecnologia digitale che si esercita su persone, tecnologia, affari, cultura; tutto mentre le interazioni sociali presenti evolvono e altre emergono”.

La conclusione di Çağrı Emin Şahin e Metin Hasde non si ferma però alla descrizione dello stato di fatto, ma indica un percorso di evoluzione. “C’è bisogno – viene infatti spiegato -, di nuove strutture che possano trasformare la complessità del mondo rimodellandolo sulla base di idee gestibili” in grado di dare corpo ad una prospettiva accettabile.

“Digital Society: Basic Framework and Concepts” è un buon schema da seguire per orientarsi in un tema complesso e in evoluzione.

Digital Society: Basic Framework and Concepts

Çağrı Emin Şahin, Metin Hasde, in Handbook of Research on Perspectives on Society and Technology Addiction, 2023

Il tema dell’innovazione digitale e delle sue relazioni con l’economia e la società discusso in termini sintetici e chiari

Digitalizzazione. Pare essere questo – ed è così per molti versi -, il concetto cardine attorno al quale far ruotare sviluppo e crescita. Concetto solo in apparenza chiaro, quello della digitalizzazione che, soprattutto, va collegato ogni volta alle circostanze concrete su cui agisce. Pensando soprattutto a ciò che di volta in volta deve cambiare. E’ attorno a questi nodi che ragionano Çağrı Emin Şahin e Metin Hasde con il loro intervento pubblicato da poco in Handbook of Research on Perspectives on Society and Technology Addiction.

“Digital Society: Basic Framework and Concepts” è una buona sintesi delle relazioni tra innovazione digitale e innovazione necessaria nel resto del sistema economico e sociale al quale la prima si applica.

Gli autori partono da una constatazione: “Con lo sviluppo della tecnologia dell’informazione, le società sono diventate parte del progresso sia nazionale che internazionale attraverso la possibilità di sfruttare le opportunità utilizzando gli strumenti offerti dalla tecnologia”. L’indagine, quindi, passa ad analizzare i componenti della nuova “società digitale” che si sta formando e, soprattutto, le relazioni tra di loro e con il quadro generale che si va delineando. Spiegano in particolare i due autori come la “società digitale” sia  “costituita da istituzioni, gruppi e individui organizzati ciberneticamente attorno a una certa relazione di interesse” e che queste componenti “realizzano le loro relazioni, interazioni, connessioni e comunicazioni con la tecnologia tramite Internet. La struttura della società digitale riflette poi la natura della tecnologia digitale che si esercita su persone, tecnologia, affari, cultura; tutto mentre le interazioni sociali presenti evolvono e altre emergono”.

La conclusione di Çağrı Emin Şahin e Metin Hasde non si ferma però alla descrizione dello stato di fatto, ma indica un percorso di evoluzione. “C’è bisogno – viene infatti spiegato -, di nuove strutture che possano trasformare la complessità del mondo rimodellandolo sulla base di idee gestibili” in grado di dare corpo ad una prospettiva accettabile.

“Digital Society: Basic Framework and Concepts” è un buon schema da seguire per orientarsi in un tema complesso e in evoluzione.

Digital Society: Basic Framework and Concepts

Çağrı Emin Şahin, Metin Hasde, in Handbook of Research on Perspectives on Society and Technology Addiction, 2023

“Macchine” di Leonardo e cultura politecnica: lezione utile per un’intelligenza artificiale in mani umanistiche

La scienza, la tecnologia, gli ingranaggi della meccanica, i calcoli dell’idraulica e dell’architettura, i dettagli del volo degli uccelli per costruire macchine a loro imitazione. E la bellezza dei disegni. La precisione dei numeri. E il fascino della raffigurazione, con una qualità artistica raffinatissima. C’è tutto questo, nei 1.119 fogli del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci, custodito nelle stanze della Biblioteca Ambrosiana di Milano. E proprio il grande libro (nel formato degli atlanti geografici) illustra la sintesi delle caratteristiche culturali di una delle stagioni migliori della cultura italiana e dunque internazionale: il Rinascimento. Una sintesi, appunto, tra scienza e creatività artistica. Tra il sapere, il saper fare e il far sapere. Tra il viaggio nella conoscenza e il suo racconto. Una sorprendente “cultura politecnica” che rilancia nel tempo della modernità la saggezza greca del kalos kai agathos, una bellezza non solo estetica ma soprattutto capace di “produrre armonia” (per usare le parole di Papa Francesco all’incontro in Vaticano con gli artisti). Una civiltà delle macchine che si declina in arte. Un umanesimo che apre le porte all’intraprendenza e all’industriosità.

La mostra di dodici di quei disegni del “Codice Atlantico” leonardesco, che è stata inaugurata martedì 20 giugno alla Public Library “Martin Luther King” di Washington (un’architettura esemplare, firmata da Ludwig Mies van der Rohe, per uno spazio “public”, aperto e accessibile a tutti) ha ogni giorno una lunga fila di visitatori, tra cui moltissimi bambini, cui sono dedicati tavoli e installazioni per giocare seguendo i disegni di Leonardo. E il suo titolo, “Immaginare il futuro”, rivela bene il valore di una esposizione, la prima negli Usa, che si muove lungo le strade perennemente incrociate tra conoscenza storica e fantasia progettuale, tra radici dei saperi e impegno a esplorarne nuove dimensioni (ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa).
Una mostra da “avvenire della memoria”, insomma. Nella piena consapevolezza della lezione di uno dei maggiori storici del Novecento, Fernand Braudel: “Essere stati è condizione per essere”.

La mostra è stata organizzata dalla Confindustria presieduta da Carlo Bonomi, con il sostegno di grandi aziende italiane (Intesa San Paolo, Ita Airwais, 24Ore Cultura, Dolce&Gabbana, Dompè, Pirelli e Trenitalia) proprio per dare al grande pubblico americano una rappresentazione efficace delle qualità delle nostre imprese su un mercato quanto mai esigente e competitivo. E il suo carattere illustrativo centra una caratteristica di fondo del nostro panorama economico: il nesso strettissimo tra fare impresa e fare cultura, il ruolo di un “umanesimo industriale” che si qualifica come vantaggio produttivo e, appunto, competitivo, l’importanza di insistere sui “valori” (bellezza, qualità, attenzione alle persone, etica d’impresa e dunque sostenibilità ambientale e sociale) anche per produrre “valore” economico.
Le “macchine” raffigurate nei dodici disegni di Leonardo esposti a Washington (escavatrici, strutture idrauliche, congegni per il volo come una prefigurazione di un elicottero o di un’ala d’aereo) dicono tutto questo: creatività e sperimentazione, nuovi equilibri da immaginare e tecniche sofisticare d’ingegneria.
Conoscenza in movimento. Come quella che connota il miglior “made in Italy”, la sua originale “empatia creatrice” (l’espressione è di Franco Ferrarotti) che in molti casi sa tenere insieme mercato e società, produttività e inclusione sociale.

Le conversazioni che si intrecciano a Washington davanti alle opere leonardesche tra persone dell’impresa, della diplomazia, della politica e della cultura testimoniano anche l’importanza di approfondire una discussione che viene avanti, da qualche tempo, sia negli Usa che in Europa, sui rapporti tra conoscenze scientifiche e umanistiche e sulla necessità di insistere su un’articolata multidisciplinarietà dei saperi. Sulla necessità di competenze sempre più approfondite e dunque “verticali” nelle varie discipline. Ma anche e soprattutto sulle relazioni tra mondi culturali diversi. Dando maggiore spazio alla diffusione della cultura scientifica. Ma in relazione con le dimensioni dell’umanesimo. Per una sempre migliore “cultura politecnica”. Leonardo, appunto, ne è efficace testimone.
C’è un allarme, infatti, da tenere in considerazione. Viene proprio dagli Usa. E se ne fa interprete, tra gli altri, Nathan Heller, studioso di tecnologia e scrittore di casa sulle pagine del “New Yorker”: “Crollano ovunque le iscrizioni universitarie agli studi umanistici. E’ un errore che pagheremo” (“La Stampa”, 25 giugno).
Le università, infatti, insistono sulle materie scientifiche, ottenendo, anche dal mondo dell’impresa, finanziamenti crescenti. I giovani si iscrivono in cerca di una formazione tecnologica “utile” per lavoro ben remunerati: “Le facoltà umanistiche rischiano di non attirare gli studenti migliori. E’ un fenomeno reale. Ed è pericoloso”, sostiene Heller.
D’altronde, sono gli sviluppi del mondo digitale e dell’Intelligenza Artificiale a chiedere una formazione complessa, che si ponga non solo il problema del “come fare” ma soprattutto quello del “senso” delle cose che si fanno, degli aspetti etici e sociali dell’evoluzione scientifica, delle regolazioni, delle decisioni politiche e culturali da prendere di fronte alle nuove frontiere tecnologiche. Per capire. Scegliere. Conoscere le conseguenze senza cedere al mito di un “progresso” considerato sempre e comunque positivo e vantaggioso per tutti. Senza, cioè, rischiare di “far oscurare l’umano da ciò che non lo è”, per dirla con Heller. E senza dimenticare le dimensioni della persona, la sua “interiorità”. Con uno sguardo sul mondo, cioè, non semplicemente “economicista”.

Queste considerazioni hanno peso anche nella discussione in corso, proprio in Italia, sulla necessità di dare più peso alle lauree Stem (l’acronimo anglosassone che indica scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) di cui le imprese soffrono la carenza. Discussione essenziale, sul tema delle conoscenze e delle competenze utili allo sviluppo economico. Ma, probabilmente, discussione che ha bisogno di qualche considerazione più approfondita. Insistendo sui saperi umanistici.
Già una decina di anni fa l’Assolombarda, presieduta all’epoca da Gianfelice Rocca, aveva insistito sulla necessità di aggiungere a Stem la lettera “a” di “arts”, le discipline umanistiche: la letteratura, la filosofia, l’estetica, le arti visive. Per arrivare da Stem a Steam. Un radicale miglioramento per la cultura e la formazione.
La questioni è sempre più attuale (come sanno bene, per esempio, pure i Politecnici di Milano e Torino, dove si studia accuratamente filosofia). Proprio di fronte alle nuove frontiere dell’Intelligenza Artificiale. E alle considerazioni di chi sostiene che un algoritmo vada scritto non solo da ingegneri e matematici, ma anche da cyberscienziati, neuropsichiatri, filosofi, economisti, sociologici, giuristi e letterati. Un algoritmo che tenga conto di significati molteplici, questioni di senso, temi etici e sociali, regole e intrecci tra diritti e doveri. Intelligenza artificiale in mani umane. Con la consapevolezza umanissima del senso del limite (le storie recenti, dalla crisi finanziaria alla pandemia e alla guerra ce lo hanno ricordato, imponendoci di guardare in faccia alla nostra fragilità).
Riflettere sulla scienza e le conoscenze di Leonardo sulla centralità della persona umana nell’arte e nella scienza, può suggerire, ancora oggi, utili considerazioni.

La scienza, la tecnologia, gli ingranaggi della meccanica, i calcoli dell’idraulica e dell’architettura, i dettagli del volo degli uccelli per costruire macchine a loro imitazione. E la bellezza dei disegni. La precisione dei numeri. E il fascino della raffigurazione, con una qualità artistica raffinatissima. C’è tutto questo, nei 1.119 fogli del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci, custodito nelle stanze della Biblioteca Ambrosiana di Milano. E proprio il grande libro (nel formato degli atlanti geografici) illustra la sintesi delle caratteristiche culturali di una delle stagioni migliori della cultura italiana e dunque internazionale: il Rinascimento. Una sintesi, appunto, tra scienza e creatività artistica. Tra il sapere, il saper fare e il far sapere. Tra il viaggio nella conoscenza e il suo racconto. Una sorprendente “cultura politecnica” che rilancia nel tempo della modernità la saggezza greca del kalos kai agathos, una bellezza non solo estetica ma soprattutto capace di “produrre armonia” (per usare le parole di Papa Francesco all’incontro in Vaticano con gli artisti). Una civiltà delle macchine che si declina in arte. Un umanesimo che apre le porte all’intraprendenza e all’industriosità.

La mostra di dodici di quei disegni del “Codice Atlantico” leonardesco, che è stata inaugurata martedì 20 giugno alla Public Library “Martin Luther King” di Washington (un’architettura esemplare, firmata da Ludwig Mies van der Rohe, per uno spazio “public”, aperto e accessibile a tutti) ha ogni giorno una lunga fila di visitatori, tra cui moltissimi bambini, cui sono dedicati tavoli e installazioni per giocare seguendo i disegni di Leonardo. E il suo titolo, “Immaginare il futuro”, rivela bene il valore di una esposizione, la prima negli Usa, che si muove lungo le strade perennemente incrociate tra conoscenza storica e fantasia progettuale, tra radici dei saperi e impegno a esplorarne nuove dimensioni (ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa).
Una mostra da “avvenire della memoria”, insomma. Nella piena consapevolezza della lezione di uno dei maggiori storici del Novecento, Fernand Braudel: “Essere stati è condizione per essere”.

La mostra è stata organizzata dalla Confindustria presieduta da Carlo Bonomi, con il sostegno di grandi aziende italiane (Intesa San Paolo, Ita Airwais, 24Ore Cultura, Dolce&Gabbana, Dompè, Pirelli e Trenitalia) proprio per dare al grande pubblico americano una rappresentazione efficace delle qualità delle nostre imprese su un mercato quanto mai esigente e competitivo. E il suo carattere illustrativo centra una caratteristica di fondo del nostro panorama economico: il nesso strettissimo tra fare impresa e fare cultura, il ruolo di un “umanesimo industriale” che si qualifica come vantaggio produttivo e, appunto, competitivo, l’importanza di insistere sui “valori” (bellezza, qualità, attenzione alle persone, etica d’impresa e dunque sostenibilità ambientale e sociale) anche per produrre “valore” economico.
Le “macchine” raffigurate nei dodici disegni di Leonardo esposti a Washington (escavatrici, strutture idrauliche, congegni per il volo come una prefigurazione di un elicottero o di un’ala d’aereo) dicono tutto questo: creatività e sperimentazione, nuovi equilibri da immaginare e tecniche sofisticare d’ingegneria.
Conoscenza in movimento. Come quella che connota il miglior “made in Italy”, la sua originale “empatia creatrice” (l’espressione è di Franco Ferrarotti) che in molti casi sa tenere insieme mercato e società, produttività e inclusione sociale.

Le conversazioni che si intrecciano a Washington davanti alle opere leonardesche tra persone dell’impresa, della diplomazia, della politica e della cultura testimoniano anche l’importanza di approfondire una discussione che viene avanti, da qualche tempo, sia negli Usa che in Europa, sui rapporti tra conoscenze scientifiche e umanistiche e sulla necessità di insistere su un’articolata multidisciplinarietà dei saperi. Sulla necessità di competenze sempre più approfondite e dunque “verticali” nelle varie discipline. Ma anche e soprattutto sulle relazioni tra mondi culturali diversi. Dando maggiore spazio alla diffusione della cultura scientifica. Ma in relazione con le dimensioni dell’umanesimo. Per una sempre migliore “cultura politecnica”. Leonardo, appunto, ne è efficace testimone.
C’è un allarme, infatti, da tenere in considerazione. Viene proprio dagli Usa. E se ne fa interprete, tra gli altri, Nathan Heller, studioso di tecnologia e scrittore di casa sulle pagine del “New Yorker”: “Crollano ovunque le iscrizioni universitarie agli studi umanistici. E’ un errore che pagheremo” (“La Stampa”, 25 giugno).
Le università, infatti, insistono sulle materie scientifiche, ottenendo, anche dal mondo dell’impresa, finanziamenti crescenti. I giovani si iscrivono in cerca di una formazione tecnologica “utile” per lavoro ben remunerati: “Le facoltà umanistiche rischiano di non attirare gli studenti migliori. E’ un fenomeno reale. Ed è pericoloso”, sostiene Heller.
D’altronde, sono gli sviluppi del mondo digitale e dell’Intelligenza Artificiale a chiedere una formazione complessa, che si ponga non solo il problema del “come fare” ma soprattutto quello del “senso” delle cose che si fanno, degli aspetti etici e sociali dell’evoluzione scientifica, delle regolazioni, delle decisioni politiche e culturali da prendere di fronte alle nuove frontiere tecnologiche. Per capire. Scegliere. Conoscere le conseguenze senza cedere al mito di un “progresso” considerato sempre e comunque positivo e vantaggioso per tutti. Senza, cioè, rischiare di “far oscurare l’umano da ciò che non lo è”, per dirla con Heller. E senza dimenticare le dimensioni della persona, la sua “interiorità”. Con uno sguardo sul mondo, cioè, non semplicemente “economicista”.

Queste considerazioni hanno peso anche nella discussione in corso, proprio in Italia, sulla necessità di dare più peso alle lauree Stem (l’acronimo anglosassone che indica scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) di cui le imprese soffrono la carenza. Discussione essenziale, sul tema delle conoscenze e delle competenze utili allo sviluppo economico. Ma, probabilmente, discussione che ha bisogno di qualche considerazione più approfondita. Insistendo sui saperi umanistici.
Già una decina di anni fa l’Assolombarda, presieduta all’epoca da Gianfelice Rocca, aveva insistito sulla necessità di aggiungere a Stem la lettera “a” di “arts”, le discipline umanistiche: la letteratura, la filosofia, l’estetica, le arti visive. Per arrivare da Stem a Steam. Un radicale miglioramento per la cultura e la formazione.
La questioni è sempre più attuale (come sanno bene, per esempio, pure i Politecnici di Milano e Torino, dove si studia accuratamente filosofia). Proprio di fronte alle nuove frontiere dell’Intelligenza Artificiale. E alle considerazioni di chi sostiene che un algoritmo vada scritto non solo da ingegneri e matematici, ma anche da cyberscienziati, neuropsichiatri, filosofi, economisti, sociologici, giuristi e letterati. Un algoritmo che tenga conto di significati molteplici, questioni di senso, temi etici e sociali, regole e intrecci tra diritti e doveri. Intelligenza artificiale in mani umane. Con la consapevolezza umanissima del senso del limite (le storie recenti, dalla crisi finanziaria alla pandemia e alla guerra ce lo hanno ricordato, imponendoci di guardare in faccia alla nostra fragilità).
Riflettere sulla scienza e le conoscenze di Leonardo sulla centralità della persona umana nell’arte e nella scienza, può suggerire, ancora oggi, utili considerazioni.

Il re della gomma

Innovare con attenzione e senza crisi

Una ricerca tra diritto e organizzazione d’impresa delinea un approccio diverso all’innovazione

Innovare e innovare. Dettato cruciale per ogni impresa che voglia crescere. Percorso obbligato, dunque, ma anche denso di difficoltà. Problemi che, in molti casi, hanno posto l’impresa di fronte al rischio di fallire. Questione di scelte da compiere con attenzione, e di una cultura d’impresa che deve fare i conti con una complessità crescente della realtà dentro e fuori la propria organizzazione. Regole da rispettare, quindi. Anche dal punto di vista giuridico oltre che organizzativo. Per questo vale la fatica di leggere “Crisi d’impresa e innovazione tecnologica” l’intervento di Serenella Sabina Luchena apparso recentemente sulla rivista di diritto ed economia dell’impresa dell’Università di Bari.

Lo studio cerca, in particolare, le correlazioni tra i diversi gradi di innovazione tecnologica, la teoria e la prassi di gestione delle crisi d’impresa. Il ragionamento di Luchena parte da una constatazione. “Il rapporto esistente tra innovazione tecnologica ed esercizio dell’attività d’impresa – viene precisato -, assume oggi una rilevanza sempre maggiore. A tal riguardo è possibile individuare due diversi profili d’interazione: l’uno, in cui l’innovazione tecnologica entra nello svolgimento dell’attività produttiva, rappresentando essa stessa l’oggetto dell’attività d’impresa; l’altro, in cui essa s’inserisce nella struttura organizzativa imprenditoriale, incidendo sui processi decisionali della governance”. La domanda che viene posta concerne il grado di relazione tra l’innovazione e la possibilità di crisi dell’impresa così come la natura dei meccanismi per prevenirla.

Un’attenta organizzazione “dell’arrivo” dell’innovazione tecnologica nell’impresa, è il messaggio che arriva dalla ricerca. Un’organizzazione che implica il riesame attento della struttura stessa dell’azienda e del suo bilancio, anche secondo i canoni delle crisi d’impresa. Un fatto organizzativo ma anche culturale che l’intervento di Serenella Sabina Luchena aiuta a comprendere con precisione.

Crisi d’impresa e innovazione tecnologica

Serenella Sabina Luchena

“I battelli del Reno. Rivista on-Line di diritto ed economia dell’impresa”, Università degli studi di Bari, 2023

Una ricerca tra diritto e organizzazione d’impresa delinea un approccio diverso all’innovazione

Innovare e innovare. Dettato cruciale per ogni impresa che voglia crescere. Percorso obbligato, dunque, ma anche denso di difficoltà. Problemi che, in molti casi, hanno posto l’impresa di fronte al rischio di fallire. Questione di scelte da compiere con attenzione, e di una cultura d’impresa che deve fare i conti con una complessità crescente della realtà dentro e fuori la propria organizzazione. Regole da rispettare, quindi. Anche dal punto di vista giuridico oltre che organizzativo. Per questo vale la fatica di leggere “Crisi d’impresa e innovazione tecnologica” l’intervento di Serenella Sabina Luchena apparso recentemente sulla rivista di diritto ed economia dell’impresa dell’Università di Bari.

Lo studio cerca, in particolare, le correlazioni tra i diversi gradi di innovazione tecnologica, la teoria e la prassi di gestione delle crisi d’impresa. Il ragionamento di Luchena parte da una constatazione. “Il rapporto esistente tra innovazione tecnologica ed esercizio dell’attività d’impresa – viene precisato -, assume oggi una rilevanza sempre maggiore. A tal riguardo è possibile individuare due diversi profili d’interazione: l’uno, in cui l’innovazione tecnologica entra nello svolgimento dell’attività produttiva, rappresentando essa stessa l’oggetto dell’attività d’impresa; l’altro, in cui essa s’inserisce nella struttura organizzativa imprenditoriale, incidendo sui processi decisionali della governance”. La domanda che viene posta concerne il grado di relazione tra l’innovazione e la possibilità di crisi dell’impresa così come la natura dei meccanismi per prevenirla.

Un’attenta organizzazione “dell’arrivo” dell’innovazione tecnologica nell’impresa, è il messaggio che arriva dalla ricerca. Un’organizzazione che implica il riesame attento della struttura stessa dell’azienda e del suo bilancio, anche secondo i canoni delle crisi d’impresa. Un fatto organizzativo ma anche culturale che l’intervento di Serenella Sabina Luchena aiuta a comprendere con precisione.

Crisi d’impresa e innovazione tecnologica

Serenella Sabina Luchena

“I battelli del Reno. Rivista on-Line di diritto ed economia dell’impresa”, Università degli studi di Bari, 2023

Unica Italia

L’ultimo libro di Salvatore Rossi è una limpida istantanea sul nostro Paese

La buona impresa si costruisce con la conoscenza. E questa si crea con la consapevolezza del contesto in cui si opera e di quanto accaduto: le basi per affacciarsi al futuro in modo corretto. Servono però strumenti affidabili per sapere. E’ il caso di “Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia”, ultima fatica letteraria di Salvatore Rossi -, economista, già direttore generale di banca d’Italia e adesso presidente di Telecom -, che in poco meno di duecento limpide e vivaci pagine dipinge i tratti di quel paese unico al mondo, pieno di problemi ma anche di risorse, che è, appunto, l’Italia.

Espressione di un’identità geografica ma anche di una civiltà unica al mondo – risultato di un sommarsi di peculiarità altrettanto inimitabili -, il nostro Paese viene descritto da Rossi sulla base di alcuni elementi narrativi e con un linguaggio comprensibile ma mai banale e inesatto.

L’autore cerca di rispondere ad una domanda. Che posto occupa l’Italia nel mondo d’oggi? Per ricercare una risposta si può guardare alle condizioni dell’economia, che assorbono, tra l’altro, molta parte delle energie dei popoli, e dalle quali si può anche ricostruire la loro identità. E’ quanto fa Salvatore Rossi che, appunto, racconta l’economia italiana a confronto con le grandi potenze mondiali. E lo fa attraverso i dati, ma anche con riflessioni di carattere storico e politico attraverso una serie di passaggi: le imprese, la globalizzazione, i conflitti, le relazioni economiche internazionali. A caratterizzare tutto il libro è, poi, la vivacità del linguaggio, che fa ragionare raccontando.

Tutto con un filo conduttore tra il presente e il passato, in particolare quel passato in cui si sviluppò un’economia che coniugava il bello con l’utile, l’arte con l’innovazione, l’eleganza con la tecnologia. Ed è proprio qui il punto forte di Rossi: ritrovare quel filo conduttore, potrebbe essere la chiave per tornare protagonisti di un mondo che sembra oggi richiedere proprio ciò che il nostro paese sa fare meglio.

Salvatore Rossi cerca di rispondere ad un interrogativo: un nuovo Rinascimento italiano è possibile? E ci riesce.

Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia

Salvatore Rossi

Il Mulino, 2023

L’ultimo libro di Salvatore Rossi è una limpida istantanea sul nostro Paese

La buona impresa si costruisce con la conoscenza. E questa si crea con la consapevolezza del contesto in cui si opera e di quanto accaduto: le basi per affacciarsi al futuro in modo corretto. Servono però strumenti affidabili per sapere. E’ il caso di “Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia”, ultima fatica letteraria di Salvatore Rossi -, economista, già direttore generale di banca d’Italia e adesso presidente di Telecom -, che in poco meno di duecento limpide e vivaci pagine dipinge i tratti di quel paese unico al mondo, pieno di problemi ma anche di risorse, che è, appunto, l’Italia.

Espressione di un’identità geografica ma anche di una civiltà unica al mondo – risultato di un sommarsi di peculiarità altrettanto inimitabili -, il nostro Paese viene descritto da Rossi sulla base di alcuni elementi narrativi e con un linguaggio comprensibile ma mai banale e inesatto.

L’autore cerca di rispondere ad una domanda. Che posto occupa l’Italia nel mondo d’oggi? Per ricercare una risposta si può guardare alle condizioni dell’economia, che assorbono, tra l’altro, molta parte delle energie dei popoli, e dalle quali si può anche ricostruire la loro identità. E’ quanto fa Salvatore Rossi che, appunto, racconta l’economia italiana a confronto con le grandi potenze mondiali. E lo fa attraverso i dati, ma anche con riflessioni di carattere storico e politico attraverso una serie di passaggi: le imprese, la globalizzazione, i conflitti, le relazioni economiche internazionali. A caratterizzare tutto il libro è, poi, la vivacità del linguaggio, che fa ragionare raccontando.

Tutto con un filo conduttore tra il presente e il passato, in particolare quel passato in cui si sviluppò un’economia che coniugava il bello con l’utile, l’arte con l’innovazione, l’eleganza con la tecnologia. Ed è proprio qui il punto forte di Rossi: ritrovare quel filo conduttore, potrebbe essere la chiave per tornare protagonisti di un mondo che sembra oggi richiedere proprio ciò che il nostro paese sa fare meglio.

Salvatore Rossi cerca di rispondere ad un interrogativo: un nuovo Rinascimento italiano è possibile? E ci riesce.

Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia

Salvatore Rossi

Il Mulino, 2023

Symbola, l’effetto positivo delle “imprese coesive”: sono sostenibili, esportano e crescono di più e meglio

Felicità d’Italia”, scrive Piero Bevilacqua, professore di Storia contemporanea all’università di Roma, in un libro, appena pubblicato da Laterza, raccontando di “paesaggio, arte, musica, cibo” e cioè di quelle caratteristiche originali che segnano la nostra società e dunque anche l’economia e le capacità di crescita culturale e civile. Agricoltura e biodiversità, dunque. Alimentazione (il successo della “dieta mediterranea” diventata paradigma internazionale è una conferma). Bellezza diffusa delle città e dei borghi. Creatività (le pagine che il libro dedica alla canzone napoletana sono quanto mai affascinanti). E una tradizione civile e cooperativa che ha inciso sui modelli di crescita e sviluppo.

Un ritratto positivo ben documentato. Non ignaro, naturalmente, di ombre, difficoltà, contraddizioni. Ma segnato, comunque, da uno spirito di collaborazione, da un impegno riformista e da uno sguardo attento ai cambiamenti che migliorano la qualità della vita, personale e collettiva.

Cooperazione come valore, dunque. Senza dimenticare l’attenzione ricorrente, nella saggistica capace di valorizzare un buon “racconto d’Italia”, alle origini della parola “competizione”, dal latino cum e petere: andare insieme verso la realizzazione di un desiderio, di un progetto comune.

Sono riflessioni che tornano in mente leggendo appunto le pagine di Bevilacqua ma anche i risultati del recente Meeting internazionale sulla Fraternità promosso a Roma, il 10 giugno, dalla Fondazione Fratelli Tutti per riflettere sul messaggio dell’Enciclica “Laudato Si’” di Papa Francesco e sulla qualità e la sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo (con la partecipazione di trenta premi Nobel e, per l’Italia, di esponenti del mondo economico, culturale e del “terzo settore”): “La fraternità si conferma come fondamento per una economia circolare e collaborativa, a misura d’uomo, attenta a sanare squilibri e ingiustizie evidenziate dalla stagione più frenetica e rapace della globalizzazione”, commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e coordinatore del gruppo di lavoro italiano.

L’Europa e l’Italia, appunto, con le culture diffuse che tengono insieme competitività e solidarietà, intraprendenza individuale e sistemi di welfare, produttività e inclusione sociale, hanno un ruolo e una responsabilità fondamentali, nel “cambio di paradigma” economico sempre più necessario.

Questi temi risuonano anche nel Rapporto annuale di “Coesione e su Competizione”, promosso da Fondazione Symbola, Unioncamere e Intesa Sanpaolo  e che sarà discusso al Seminario estivo di Symbola in programma nello fine settimana a Mantova, con un’attenzione concentrata su “la forza del Territorio nella Transizione Verde”.

Cosa dice il Rapporto, guardando all’economia? “La coesione nelle imprese migliora il legame e il radicamento nelle comunità e nei territori, accresce il senso di appartenenza e la soddisfazione di vita dei dipendenti (nel 2020 le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale sono cresciute del 19,5%), il coinvolgimento e il dialogo con i clienti, rafforza le relazioni di filiera e distrettuali (le imprese ricadenti nei distretti secondo il monitor di Intesa Sanpaolo negli ultimi anni hanno visto crescere la produttività più delle imprese non distrettuali), generando effetti positivi sulla competitività”.

Sono “coesive”, appunto, le imprese che “hanno aperto la ricerca oltre il perimetro aziendale, collaborando con università, artisti, designer per accelerare l’innovazione o scoprire nuove applicazioni di materiali e prodotti. Imprese che insieme al terzo settore hanno rafforzato le proprie comunità, migliorando la conoscenza dei territori in cui operano e ingaggiando la società civile in progetti sociali o ambientali. Storie di imprese che hanno approfondito dialogo e ascolto con i propri clienti al punto da arrivare a co-produrre con loro, intercettando tendenze e bisogni della comunità, che diventa testimonial consapevole e portavoce dei valori dell’azienda”. E ancora: “Imprese che hanno trovato nella banca il partner ideale per riorganizzare e rafforzare la propria filiera, migliorando le proprie performance, quelle dei fornitori e dell’ente di credito. Imprese che hanno aumentato il valore dell’azienda coinvolgendo i lavoratori negli obiettivi di business, o che hanno creato per loro un ambiente migliore dove convivono sviluppo professionale e bilanciamento con la vita privata, coltivando i propri talenti e acquisendone nuovi grazie alla cura e all’attenzione del personale”.

Imprese, insomma, “alleate con le istituzioni per potenziare i servizi locali ed essere più attrattive nell’ingaggiare professionisti, o per rendere più facile il loro insediamento nel territorio, co-investendo insieme in progettualità di interesse per la comunità. Imprese diventate più competitive alleandosi con altre imprese, che siano della filiera o addirittura competitor, per dare vita e ecosistemi di qualità, sostenibili e più resilienti oppure per scambiare materie prime e conoscenze aumentando insieme il fatturato”.

Le imprese coesive crescono a confronto con gli anni precedenti: la quota 2022 è pari al 43%, superiore a quella del 2020 (37%, anno certamente “anomalo” condizionato pesantemente dall’esplosione della pandemia) e a quella del 2018 (32%). La coesione – rileva ancora il Rapporto – cresce non solo come quota di imprese coinvolte, ma anche per il numero di relazioni medie delle imprese, anch’esso in aumento: in sostanza crescono le imprese coesive nonostante si “alzi l’asticella” del livello medio delle relazioni.

I vantaggi, per le imprese coesive, sono evidenti. Sulla crescita dimensionale (per il 2023 sono il 55,3% quelle che stimano aumenti di fatturato rispetto al 2022, contro il 42,3% delle altre), per l’occupazione (34,1% di indicazioni di incremento nel 2023 rispetto al 24,8% delle altre imprese) e per le esportazioni (42,7% contro 32,5%). E questi andamenti distintivi si confermano anche per le previsioni 2024.

Il Rapporto Symbola conferma la propensione al “green” delle imprese coesive, tra le quali quasi due su tre hanno investito o investiranno in sostenibilità ambientale (62,1%, mentre per le altre imprese il valore è 33,2%) e che nel 16,9% (altre imprese: 8,8%) hanno messo in atto attività di rendicontazione di sostenibilità (bilancio sociale, di sostenibilità, rating ESG, ecc.).

Anche dal punto di vista della transizione digitale, le imprese coesive nel 46,9% dei casi hanno adottato o stanno adottando tecnologie digitali nel periodo 2022-2024 (la quota è del 24,4% nelle altre imprese) e in tre casi su quattro hanno introdotto o stanno introducendo nello stesso periodo innovazioni (nelle altre imprese non si arriva alla metà del totale).

Le imprese coesive “credono più delle altre nel nostro Paese: se guardiamo al backshoring, misurato attraverso la crescita della quota di fornitori italiani locali o extraregionali, nei prossimi tre anni riguarderà il 26,4% delle imprese coesive rispetto al 19,5% delle altre. E l’alta qualità dei prodotti è ancor più che per le altre imprese il principale criterio di selezione dei fornitori (83,8% contro 76,9%)”.

Con i suoi numeri e le sue storie – sostiene Realacci – “questo Rapporto conferma, come afferma il Manifesto di Assisi, che ‘non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia’ e che la coesione è essenziale per costruire un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più capace di futuro”.

(Foto Getty images)

Felicità d’Italia”, scrive Piero Bevilacqua, professore di Storia contemporanea all’università di Roma, in un libro, appena pubblicato da Laterza, raccontando di “paesaggio, arte, musica, cibo” e cioè di quelle caratteristiche originali che segnano la nostra società e dunque anche l’economia e le capacità di crescita culturale e civile. Agricoltura e biodiversità, dunque. Alimentazione (il successo della “dieta mediterranea” diventata paradigma internazionale è una conferma). Bellezza diffusa delle città e dei borghi. Creatività (le pagine che il libro dedica alla canzone napoletana sono quanto mai affascinanti). E una tradizione civile e cooperativa che ha inciso sui modelli di crescita e sviluppo.

Un ritratto positivo ben documentato. Non ignaro, naturalmente, di ombre, difficoltà, contraddizioni. Ma segnato, comunque, da uno spirito di collaborazione, da un impegno riformista e da uno sguardo attento ai cambiamenti che migliorano la qualità della vita, personale e collettiva.

Cooperazione come valore, dunque. Senza dimenticare l’attenzione ricorrente, nella saggistica capace di valorizzare un buon “racconto d’Italia”, alle origini della parola “competizione”, dal latino cum e petere: andare insieme verso la realizzazione di un desiderio, di un progetto comune.

Sono riflessioni che tornano in mente leggendo appunto le pagine di Bevilacqua ma anche i risultati del recente Meeting internazionale sulla Fraternità promosso a Roma, il 10 giugno, dalla Fondazione Fratelli Tutti per riflettere sul messaggio dell’Enciclica “Laudato Si’” di Papa Francesco e sulla qualità e la sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo (con la partecipazione di trenta premi Nobel e, per l’Italia, di esponenti del mondo economico, culturale e del “terzo settore”): “La fraternità si conferma come fondamento per una economia circolare e collaborativa, a misura d’uomo, attenta a sanare squilibri e ingiustizie evidenziate dalla stagione più frenetica e rapace della globalizzazione”, commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e coordinatore del gruppo di lavoro italiano.

L’Europa e l’Italia, appunto, con le culture diffuse che tengono insieme competitività e solidarietà, intraprendenza individuale e sistemi di welfare, produttività e inclusione sociale, hanno un ruolo e una responsabilità fondamentali, nel “cambio di paradigma” economico sempre più necessario.

Questi temi risuonano anche nel Rapporto annuale di “Coesione e su Competizione”, promosso da Fondazione Symbola, Unioncamere e Intesa Sanpaolo  e che sarà discusso al Seminario estivo di Symbola in programma nello fine settimana a Mantova, con un’attenzione concentrata su “la forza del Territorio nella Transizione Verde”.

Cosa dice il Rapporto, guardando all’economia? “La coesione nelle imprese migliora il legame e il radicamento nelle comunità e nei territori, accresce il senso di appartenenza e la soddisfazione di vita dei dipendenti (nel 2020 le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale sono cresciute del 19,5%), il coinvolgimento e il dialogo con i clienti, rafforza le relazioni di filiera e distrettuali (le imprese ricadenti nei distretti secondo il monitor di Intesa Sanpaolo negli ultimi anni hanno visto crescere la produttività più delle imprese non distrettuali), generando effetti positivi sulla competitività”.

Sono “coesive”, appunto, le imprese che “hanno aperto la ricerca oltre il perimetro aziendale, collaborando con università, artisti, designer per accelerare l’innovazione o scoprire nuove applicazioni di materiali e prodotti. Imprese che insieme al terzo settore hanno rafforzato le proprie comunità, migliorando la conoscenza dei territori in cui operano e ingaggiando la società civile in progetti sociali o ambientali. Storie di imprese che hanno approfondito dialogo e ascolto con i propri clienti al punto da arrivare a co-produrre con loro, intercettando tendenze e bisogni della comunità, che diventa testimonial consapevole e portavoce dei valori dell’azienda”. E ancora: “Imprese che hanno trovato nella banca il partner ideale per riorganizzare e rafforzare la propria filiera, migliorando le proprie performance, quelle dei fornitori e dell’ente di credito. Imprese che hanno aumentato il valore dell’azienda coinvolgendo i lavoratori negli obiettivi di business, o che hanno creato per loro un ambiente migliore dove convivono sviluppo professionale e bilanciamento con la vita privata, coltivando i propri talenti e acquisendone nuovi grazie alla cura e all’attenzione del personale”.

Imprese, insomma, “alleate con le istituzioni per potenziare i servizi locali ed essere più attrattive nell’ingaggiare professionisti, o per rendere più facile il loro insediamento nel territorio, co-investendo insieme in progettualità di interesse per la comunità. Imprese diventate più competitive alleandosi con altre imprese, che siano della filiera o addirittura competitor, per dare vita e ecosistemi di qualità, sostenibili e più resilienti oppure per scambiare materie prime e conoscenze aumentando insieme il fatturato”.

Le imprese coesive crescono a confronto con gli anni precedenti: la quota 2022 è pari al 43%, superiore a quella del 2020 (37%, anno certamente “anomalo” condizionato pesantemente dall’esplosione della pandemia) e a quella del 2018 (32%). La coesione – rileva ancora il Rapporto – cresce non solo come quota di imprese coinvolte, ma anche per il numero di relazioni medie delle imprese, anch’esso in aumento: in sostanza crescono le imprese coesive nonostante si “alzi l’asticella” del livello medio delle relazioni.

I vantaggi, per le imprese coesive, sono evidenti. Sulla crescita dimensionale (per il 2023 sono il 55,3% quelle che stimano aumenti di fatturato rispetto al 2022, contro il 42,3% delle altre), per l’occupazione (34,1% di indicazioni di incremento nel 2023 rispetto al 24,8% delle altre imprese) e per le esportazioni (42,7% contro 32,5%). E questi andamenti distintivi si confermano anche per le previsioni 2024.

Il Rapporto Symbola conferma la propensione al “green” delle imprese coesive, tra le quali quasi due su tre hanno investito o investiranno in sostenibilità ambientale (62,1%, mentre per le altre imprese il valore è 33,2%) e che nel 16,9% (altre imprese: 8,8%) hanno messo in atto attività di rendicontazione di sostenibilità (bilancio sociale, di sostenibilità, rating ESG, ecc.).

Anche dal punto di vista della transizione digitale, le imprese coesive nel 46,9% dei casi hanno adottato o stanno adottando tecnologie digitali nel periodo 2022-2024 (la quota è del 24,4% nelle altre imprese) e in tre casi su quattro hanno introdotto o stanno introducendo nello stesso periodo innovazioni (nelle altre imprese non si arriva alla metà del totale).

Le imprese coesive “credono più delle altre nel nostro Paese: se guardiamo al backshoring, misurato attraverso la crescita della quota di fornitori italiani locali o extraregionali, nei prossimi tre anni riguarderà il 26,4% delle imprese coesive rispetto al 19,5% delle altre. E l’alta qualità dei prodotti è ancor più che per le altre imprese il principale criterio di selezione dei fornitori (83,8% contro 76,9%)”.

Con i suoi numeri e le sue storie – sostiene Realacci – “questo Rapporto conferma, come afferma il Manifesto di Assisi, che ‘non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia’ e che la coesione è essenziale per costruire un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più capace di futuro”.

(Foto Getty images)

La Biblioteca Tecnico-Scientifica Pirelli: libri che raccontano storie di innovazione

Esplorando gli scaffali della Biblioteca Tecnico-Scientifica Pirelli si può tornare indietro nel tempo, scoprendo testi scritti alla fine dell’Ottocento, ai primi del Novecento e poi ancora lungo tutto il secolo scorso fino ad arrivare ai primi anni Duemila. Le monografie e i periodici qui raccolti documentano lo sviluppo tecnologico dell’azienda, mostrandoci anche come si formavano gli ingegneri Pirelli che studiavano questi volumi per approfondire le loro conoscenze sulla gomma, i pneumatici e i cavi elettrici. Col tempo furono gli stessi ingegneri a firmare ricerche, testi, atti di convegni e annotazioni, che divennero nel tempo pilastri per la formazione delle generazioni successive.

Come i numerosi testi scritti da Emanuele Jona, ingegnere del Politecnico di Torino, specializzatosi presso l’Istituto Montefiore di Liegi. Jona rimase a lavorare in Pirelli per 33 anni, e questa collaborazione portò l’azienda a diventare una delle più avanzate a livello europeo nel campo dell’elettrotecnica, in particolare nel settore dei cavi sottomarini, grazie anche alla nave posacavi “Città di Milano” sulla quale Jona si imbarcava personalmente per seguirne le operazioni. Tra i testi conservati in biblioteca possiamo trovare importanti trattati sull’argomento e relazioni sulle missioni navali da lui portate a compimento, come la nota sulla “Telefonia oceanica” del 1896, il discorso di apertura del congresso sullo “Sviluppo dell’elettrotecnica in Italia nell’ultimo decennio”, che si tenne nel 1906, il volume del 1913 “I cavi sottomarini dall’Italia alla Libia” o ancora “Le vie sottomarine dell’Italia” del 1919.

Continuando a scorrere tra i volumi salta subito all’occhio un’altra figura storica dell’azienda: l’ingegner Luigi Emanueli, figlio di uno dei collaboratori di Jona che seguì le orme del padre, laureandosi in ingegneria industriale elettrotecnica ed entrando in Pirelli nel 1907, dove lavorò per molti anni allo sviluppo del settore cavi. Si deve proprio a Emanueli una delle più importanti invenzioni del campo: il “Cavo Emanueli”, un cavo isolato con carta impregnata di olio fluido, in grado di eliminare in partenza le dissipazioni di energia. Tra i suoi più importanti scritti conservati nella nostra Biblioteca Tecnico-Scientifica troviamo diverse relazioni tecniche e atti di convegni internazionali, come il volume “Ricerche sperimentali sulle perdite del dielettrico” del 1913 o “Occluded gas in very high-voltage cables: some experimental results obtained in the Pirelli laboratories in Italy” del 1926. Per approfondire questa importante figura e il suo ruolo nel campo dell’elettrotecnica un testo di grande interesse è “Luigi Emanueli e lo sviluppo dei cavi ad alta tensione”, scritto da Paolo Gazzana Priaroggia, uno dei suoi più stretti collaboratori. Questi e molti altri volumi sono ancora oggi consultati da ingegneri e ricercatori che vogliano approfondire i loro studi su pneumatici, gomma, fisica, chimica e cavi elettrici. Un sapere che si tramanda di generazione in generazione, attraverso i secoli.

Esplorando gli scaffali della Biblioteca Tecnico-Scientifica Pirelli si può tornare indietro nel tempo, scoprendo testi scritti alla fine dell’Ottocento, ai primi del Novecento e poi ancora lungo tutto il secolo scorso fino ad arrivare ai primi anni Duemila. Le monografie e i periodici qui raccolti documentano lo sviluppo tecnologico dell’azienda, mostrandoci anche come si formavano gli ingegneri Pirelli che studiavano questi volumi per approfondire le loro conoscenze sulla gomma, i pneumatici e i cavi elettrici. Col tempo furono gli stessi ingegneri a firmare ricerche, testi, atti di convegni e annotazioni, che divennero nel tempo pilastri per la formazione delle generazioni successive.

Come i numerosi testi scritti da Emanuele Jona, ingegnere del Politecnico di Torino, specializzatosi presso l’Istituto Montefiore di Liegi. Jona rimase a lavorare in Pirelli per 33 anni, e questa collaborazione portò l’azienda a diventare una delle più avanzate a livello europeo nel campo dell’elettrotecnica, in particolare nel settore dei cavi sottomarini, grazie anche alla nave posacavi “Città di Milano” sulla quale Jona si imbarcava personalmente per seguirne le operazioni. Tra i testi conservati in biblioteca possiamo trovare importanti trattati sull’argomento e relazioni sulle missioni navali da lui portate a compimento, come la nota sulla “Telefonia oceanica” del 1896, il discorso di apertura del congresso sullo “Sviluppo dell’elettrotecnica in Italia nell’ultimo decennio”, che si tenne nel 1906, il volume del 1913 “I cavi sottomarini dall’Italia alla Libia” o ancora “Le vie sottomarine dell’Italia” del 1919.

Continuando a scorrere tra i volumi salta subito all’occhio un’altra figura storica dell’azienda: l’ingegner Luigi Emanueli, figlio di uno dei collaboratori di Jona che seguì le orme del padre, laureandosi in ingegneria industriale elettrotecnica ed entrando in Pirelli nel 1907, dove lavorò per molti anni allo sviluppo del settore cavi. Si deve proprio a Emanueli una delle più importanti invenzioni del campo: il “Cavo Emanueli”, un cavo isolato con carta impregnata di olio fluido, in grado di eliminare in partenza le dissipazioni di energia. Tra i suoi più importanti scritti conservati nella nostra Biblioteca Tecnico-Scientifica troviamo diverse relazioni tecniche e atti di convegni internazionali, come il volume “Ricerche sperimentali sulle perdite del dielettrico” del 1913 o “Occluded gas in very high-voltage cables: some experimental results obtained in the Pirelli laboratories in Italy” del 1926. Per approfondire questa importante figura e il suo ruolo nel campo dell’elettrotecnica un testo di grande interesse è “Luigi Emanueli e lo sviluppo dei cavi ad alta tensione”, scritto da Paolo Gazzana Priaroggia, uno dei suoi più stretti collaboratori. Questi e molti altri volumi sono ancora oggi consultati da ingegneri e ricercatori che vogliano approfondire i loro studi su pneumatici, gomma, fisica, chimica e cavi elettrici. Un sapere che si tramanda di generazione in generazione, attraverso i secoli.

“Immaginando il futuro. Leonardo da Vinci: l’anima del genio italiano”, a Washington la mostra organizzata da Confindustria con il sostegno di Pirelli

Verrà inaugurata domani presso la Central Public Library di Washington D.C. la mostra monografica “Immaginando il futuro. Leonardo da Vinci: l’anima del genio italiano”, organizzata da Confindustria con la main partnership di Pirelli.

Sono molteplici le connessioni tra Pirelli e Leonardo da Vinci: basti pensare che nel 1920 Leonardo è protagonista una campagna pubblicitaria della P lunga: un suo ritratto mostra “La miglior gomma per disegno”, come recita lo slogan associato alle gomme per cancellare, prodotte dall’azienda a partire dal 1875. L’influenza vinciana è evidente anche negli affreschi della Bicocca degli Arcimboldi, edificio quattrocentesco oggi luogo istituzionale del Gruppo, che dà il nome al quartiere in cui ha sede l’Headquarters Pirelli. La “Sala dei Nodi”, infatti, presenta un motivo decorativo che si rifà al mudéjar, tipico elemento dell’ultima fase dell’Andalusia araba, spesso utilizzato nelle opere di Leonardo da Vinci, come il celebre Codice Atlantico.

È proprio il Codice Atlantico al centro della mostra curata per Confindustria dal Direttore della Pinacoteca Ambrosiana Monsignor Rocca, che sarà aperta al pubblico nella biblioteca dedicata a Martin Luther King fino al 20 agosto 2023. L’esposizione porterà per la prima volta nella capitale USA il Codice con una selezione di 12 tavole originali, custodite in Italia dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. La raccolta completa, datata il 1478 e il 1519, contiene schizzi e disegni preparatori per opere pittoriche, ricerche di matematica, geometria, astronomia e ottica, meditazioni filosofiche, favole e ricette gastronomiche, architettura militare e civile, ma anche progetti di macchine belliche e civili e marchingegni per il volo, firmati da uno dei più grandi geni dell’umanità, universalmente riconosciuto come simbolo del talento e del saper fare italiano.

Il progetto si sviluppa in 3 fasi, tra l’Italia e gli Stati Uniti: il 7 giugno si è tenuta una conferenza stampa di lancio presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, con avvio del piano di comunicazione multimediale; dal 20 giugno al 20 agosto sono previste l’inaugurazione e l’apertura della mostra a Washington; da settembre a dicembre 2023 sono in programma in Italia eventi di presentazione della mostra e appuntamenti sui contenuti e i temi del progetto. Con l’obiettivo di contribuire a diffondere nel mondo lo spirito imprenditoriale e la cultura d’impresa come motore della crescita economica, sociale e civile di ogni Paese. Una cultura politecnica che da sempre caratterizza l’identità della Pirelli, e che riecheggia nell’opera e nell’ingegno di Leonardo.

Verrà inaugurata domani presso la Central Public Library di Washington D.C. la mostra monografica “Immaginando il futuro. Leonardo da Vinci: l’anima del genio italiano”, organizzata da Confindustria con la main partnership di Pirelli.

Sono molteplici le connessioni tra Pirelli e Leonardo da Vinci: basti pensare che nel 1920 Leonardo è protagonista una campagna pubblicitaria della P lunga: un suo ritratto mostra “La miglior gomma per disegno”, come recita lo slogan associato alle gomme per cancellare, prodotte dall’azienda a partire dal 1875. L’influenza vinciana è evidente anche negli affreschi della Bicocca degli Arcimboldi, edificio quattrocentesco oggi luogo istituzionale del Gruppo, che dà il nome al quartiere in cui ha sede l’Headquarters Pirelli. La “Sala dei Nodi”, infatti, presenta un motivo decorativo che si rifà al mudéjar, tipico elemento dell’ultima fase dell’Andalusia araba, spesso utilizzato nelle opere di Leonardo da Vinci, come il celebre Codice Atlantico.

È proprio il Codice Atlantico al centro della mostra curata per Confindustria dal Direttore della Pinacoteca Ambrosiana Monsignor Rocca, che sarà aperta al pubblico nella biblioteca dedicata a Martin Luther King fino al 20 agosto 2023. L’esposizione porterà per la prima volta nella capitale USA il Codice con una selezione di 12 tavole originali, custodite in Italia dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. La raccolta completa, datata il 1478 e il 1519, contiene schizzi e disegni preparatori per opere pittoriche, ricerche di matematica, geometria, astronomia e ottica, meditazioni filosofiche, favole e ricette gastronomiche, architettura militare e civile, ma anche progetti di macchine belliche e civili e marchingegni per il volo, firmati da uno dei più grandi geni dell’umanità, universalmente riconosciuto come simbolo del talento e del saper fare italiano.

Il progetto si sviluppa in 3 fasi, tra l’Italia e gli Stati Uniti: il 7 giugno si è tenuta una conferenza stampa di lancio presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, con avvio del piano di comunicazione multimediale; dal 20 giugno al 20 agosto sono previste l’inaugurazione e l’apertura della mostra a Washington; da settembre a dicembre 2023 sono in programma in Italia eventi di presentazione della mostra e appuntamenti sui contenuti e i temi del progetto. Con l’obiettivo di contribuire a diffondere nel mondo lo spirito imprenditoriale e la cultura d’impresa come motore della crescita economica, sociale e civile di ogni Paese. Una cultura politecnica che da sempre caratterizza l’identità della Pirelli, e che riecheggia nell’opera e nell’ingegno di Leonardo.

Multimedia

Images

Fondazione Pirelli Educational: un anno alla scoperta del “mondo oltre la gomma”

Terminate le lezioni scolastiche, si conclude anche il programma didattico 2022-2023 di Fondazione Pirelli Educational “Quando la cultura fa il pneumatico”. Webinar, laboratori online e in presenza, visite alla Fondazione Pirelli e al quartiere Bicocca: oltre 3.500 studenti provenienti da istituti scolastici e universitari di tutta Italia e d’Europa ci hanno seguiti alla scoperta della cultura d’impresa di Pirelli.

Le scuole primarie hanno potuto compiere, grazie al laboratorio A spasso per Milano, un viaggio virtuale per le vie del capoluogo lombardo, attraverso indovinelli e mappe da disegnare, scoprendo così, tra passato e presente, alcuni luoghi simbolo della città.

Con il laboratorio Dalla pista alla strada gli studenti delle scuole secondarie di I grado hanno conosciuto i più importanti campioni delle competizioni sportive su due e quattro ruote e si sono avvicinati al mondo della robotica attraverso la costruzione e la programmazione di un’auto da corsa da testare insieme ai compagni di classe.
Il forte impegno di Pirelli nel campo della sostenibilità è stato al centro del percorso Per andare veloci ci vuole tempo, che ha evidenziato come ci sia un lungo processo di ricerca e sviluppo in termini di materiali dietro la realizzazione di un pneumatico. Grazie a un progetto fotografico ispirato agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, i ragazzi hanno potuto riflettere sul fondamentale ruolo di ognuno di noi nella salvaguardia del pianeta.

I laboratori legati al Premio Campiello Junior, Viaggiare con le parole e Scriviamo il cinema!, dedicati rispettivamente agli studenti della scuola primaria e secondaria di I grado, hanno stimolato la passione dei ragazzi per i libri, tra quiz e letture svolte insieme, portandoli a cimentarsi con la creazione di una cartolina e con la scrittura di una breve sceneggiatura cinematografica.

Tra i percorsi più richiesti rivolti alla scuola secondaria di II grado Una questione di stile, dedicato alla storia della comunicazione visiva di Pirelli, che ha permesso agli studenti di conoscere i rapporti dell’azienda con i grandi fotografi, designer, registi e grafici internazionali ideatori di straordinarie campagne pubblicitarie che sono state d’ispirazione nella realizzazione di una GIF animata.
I ragazzi hanno potuto sperimentare la propria creatività nella creazione di un podcast con Raccontare la ricerca e l’innovazione, approfondendo la storia del pneumatico fino alle principali novità introdotte nei laboratori di Ricerca e Sviluppo, tra materie prime innovative, testing virtuale e industria 4.0.
E ancora L’architettura rende visibili i cambiamenti del mondo, attraverso cui le scuole hanno scoperto il legame tra Pirelli e alcune delle grandi firme internazionali dell’architettura, e, stimolati dalle visite virtuali ad alcuni edifici significativi per l’azienda, hanno potuto progettare un luogo di lavoro “ideale” per il futuro.

L’estate sta per iniziare ma i nostri progetti non si fermano qui. In programma per l’anno scolastico 2023-2024 tante novità da scoprire!
Vuoi partecipare alla presentazione online del nuovo programma didattico che si terrà lunedì 25 settembre 2023? Clicca qui.

Terminate le lezioni scolastiche, si conclude anche il programma didattico 2022-2023 di Fondazione Pirelli Educational “Quando la cultura fa il pneumatico”. Webinar, laboratori online e in presenza, visite alla Fondazione Pirelli e al quartiere Bicocca: oltre 3.500 studenti provenienti da istituti scolastici e universitari di tutta Italia e d’Europa ci hanno seguiti alla scoperta della cultura d’impresa di Pirelli.

Le scuole primarie hanno potuto compiere, grazie al laboratorio A spasso per Milano, un viaggio virtuale per le vie del capoluogo lombardo, attraverso indovinelli e mappe da disegnare, scoprendo così, tra passato e presente, alcuni luoghi simbolo della città.

Con il laboratorio Dalla pista alla strada gli studenti delle scuole secondarie di I grado hanno conosciuto i più importanti campioni delle competizioni sportive su due e quattro ruote e si sono avvicinati al mondo della robotica attraverso la costruzione e la programmazione di un’auto da corsa da testare insieme ai compagni di classe.
Il forte impegno di Pirelli nel campo della sostenibilità è stato al centro del percorso Per andare veloci ci vuole tempo, che ha evidenziato come ci sia un lungo processo di ricerca e sviluppo in termini di materiali dietro la realizzazione di un pneumatico. Grazie a un progetto fotografico ispirato agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, i ragazzi hanno potuto riflettere sul fondamentale ruolo di ognuno di noi nella salvaguardia del pianeta.

I laboratori legati al Premio Campiello Junior, Viaggiare con le parole e Scriviamo il cinema!, dedicati rispettivamente agli studenti della scuola primaria e secondaria di I grado, hanno stimolato la passione dei ragazzi per i libri, tra quiz e letture svolte insieme, portandoli a cimentarsi con la creazione di una cartolina e con la scrittura di una breve sceneggiatura cinematografica.

Tra i percorsi più richiesti rivolti alla scuola secondaria di II grado Una questione di stile, dedicato alla storia della comunicazione visiva di Pirelli, che ha permesso agli studenti di conoscere i rapporti dell’azienda con i grandi fotografi, designer, registi e grafici internazionali ideatori di straordinarie campagne pubblicitarie che sono state d’ispirazione nella realizzazione di una GIF animata.
I ragazzi hanno potuto sperimentare la propria creatività nella creazione di un podcast con Raccontare la ricerca e l’innovazione, approfondendo la storia del pneumatico fino alle principali novità introdotte nei laboratori di Ricerca e Sviluppo, tra materie prime innovative, testing virtuale e industria 4.0.
E ancora L’architettura rende visibili i cambiamenti del mondo, attraverso cui le scuole hanno scoperto il legame tra Pirelli e alcune delle grandi firme internazionali dell’architettura, e, stimolati dalle visite virtuali ad alcuni edifici significativi per l’azienda, hanno potuto progettare un luogo di lavoro “ideale” per il futuro.

L’estate sta per iniziare ma i nostri progetti non si fermano qui. In programma per l’anno scolastico 2023-2024 tante novità da scoprire!
Vuoi partecipare alla presentazione online del nuovo programma didattico che si terrà lunedì 25 settembre 2023? Clicca qui.

Multimedia

Images

Il Codice di Leonardo in mostra a Washington, ambasciatore dell’industria italiana di qualità

La forza delle imprese italiane sui mercati globali sta nella loro “cultura politecnica”, nella capacità cioè di fondare la competitività dei loro prodotti su una miscela originale di saperi umanistici e conoscenze scientifiche: gusto della bellezza e sofisticata innovazione tecnologica, qualità e sostenibilità ambientale e sociale, applicazioni della digital economy e senso della misura (il “saper fare su misura” che riguarda non solo la moda e l’arredamento, ma soprattutto gli impianti industriali e le macchine utensili, la robotica e la componentistica aerospaziale, le produzioni di lusso dei cantieri navali e l’automotive, la chimica fine e la farmaceutica di precisione, i materiali speciali e la meccatronica, etc.). I dati dell’export lo confermano: abbiamo chiuso il ’22 con 650 miliardi di valore, un record e nel ’23 ci avviamo ad avere un’industria manifatturiera in cui per la prima volta la domanda estera sorpasserà quella interna e rappresenterà più della metà del giro d’affari complessivo (“Affari&Finanza” de “la Repubblica”, 12 giugno, su previsioni di Prometeia e Servizio Studi Intesa San Paolo).

Una “cultura politecnica” progettuale e produttiva, dunque. O anche, per dirla diversamente, un “umanesimo industriale” da rafforzare e rilanciare.

Sta in questo quadro la scelta, fatta da Confindustria, di promuovere l’esposizione di 12 tavole del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci a Washington, alla Martin Luther King Memorial Library, dal 20 giugno al 20 agosto, con una mostra intitolata “Immaginando il futuro. Leonardo, l’anima del genio italiano”, curata da monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (dov’è conservato, appunto, il Codice leonardesco) e sostenuta da grandi imprese di rilievo internazionale (Intesa San Paolo, Ita, 24Ore Cultura, Dolce e Gabbana, Dompé, Pirelli e Trenitalia).

Diplomazia culturale e straordinaria riprova di competenza tecnica (con i disegni dedicati alle macchine, agli ingranaggi, all’arte del volo). Senso dell’equilibrio e della bellezza. E testimonianza di un ingegno che sorregge nel tempo l’intraprendenza. Cultura del progetto. E ingegneria d’avanguardia. Memoria d’una spinta creativa quanto mai visionaria eppur fertile di cambiamenti reali (le opere delle chiuse e dei canali di trasporto, secondo appunto i disegni di Leonardo). E attitudine all’innovazione. Una straordinaria capacità di scrivere “una storia al futuro”. E dunque un insegnamento aperto al resto del mondo: il genio d’origine italiano ha un sapore universale. E l’impresa sa farsene ancora una volta interprete. Con la “leva di una cultura che sa creare ponti”, come sostiene il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Domenica” de “Il Sole24Ore”, 11 giugno).

Un ponte è anche l’apertura, contestuale all’inaugurazione della mostra, di una sede di Confindustria a Washington, che arricchisce la serie delle sedi estere, da Bruxelles a Singapore e ad altre in corso di definizione. “Diplomazia di sistema”, dicono in Confindustria. Strutture di sostegno all’impegno delle nostre imprese sui mercati internazionali.

Sono tutte iniziative e valutazioni strategiche da tenere ben presenti, quando si parla di valorizzazione del “made in Italy” e di scelte di politica industriale che potenzino il vero cardine di sviluppo del sistema Paese, in prospettiva europea e internazionale: l’industria di qualità. Un’industria che è già stata protagonista della sorprendente ripresa post Covid del ‘21/’22 (una crescita complessiva del Pil di quasi l’11%) e che in questo primo periodo del ’23 mostra però segni di difficoltà, come conseguenza della recessione tedesca, del costo dell’energia e delle conseguenze delle tensioni internazionali.

“La manifattura è a rischio competitività”, avverte infatti il Centro Studi Confindustria (10 giugno), rilevando anche la scarsa produttività generale italiana che mette in difficoltà le imprese, il carico del fisco, gli scarsi margini per i capitali investiti, le difficoltà a reperire mano d’opera qualificata, etc.

C’è un’industria, comunque, da rilanciare, usando con intelligenza ed efficacia i fondi del Pnrr per finanziare la twin transition ambientale e digitale e le infrastrutture materiali e immateriali necessarie alla nostra competitività (dalle reti high tech alla formazione indispensabile per “l’economia della conoscenza” e per l’utilizzo degli studenti dell’Intelligenza Artificiale).

Viviamo, infatti, una difficile stagione di modifica delle ragioni di scambio e di “ri-globalizzazione selettiva”, una vera e propria “riconfigurazione dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale” (la definizione è sul sito de “lavoce.info”). Di ridefinizione delle catene del valore, più corte ed efficienti rispetto ai mercati di sbocco dei prodotti finiti (il re-shoring) ma anche di ristrutturazione degli scambi in blocchi che condividono gli stessi valori: l’economia di mercato, la democrazia economica e politica (il friends-shoring, caro soprattutto all’amministrazione Usa).

Proprio in un contesto così competitivo e selettivo, è interesse dell’economia e dell’impresa italiana qualificare i prodotti e i servizi, tenendo aperti i canali commerciali con la Cina, l’India, il Brasile e gli altri paesi del cosiddetto Global South (guardando con estrema attenzione anche all’Africa) ma anche puntando sulle aree in cui più si apprezzano le nostre produzioni a maggior valore aggiunto: gli altri paesi della Ue e gli Usa, usando dunque con intelligenza le opportunità offerte dal “corridoio Nafta” di libero scambio (Usa, Canada, Mexico, dove parecchie imprese italiane ed europee hanno aperto stabilimenti con alto livello produttivo).

Sono tempi, insomma, in cui le scelte strategiche degli insediamenti (in chiave local for local, di prossimità ai mercati, cioè) hanno bisogno di politiche di sostegno e di accompagnamento. A cominciare da quelle Ue.

Ecco perché mettere in gioco tutti gli strumenti necessari allo sviluppo. Visioni d’impresa. Investimenti per l’innovazione. Sguardo internazionale sulla base di robuste radici territoriali, su filiere e piattaforme produttive. E diplomazia. Economica e culturale. Leonardo, appunto, ne è ottimo ambasciatore.

La forza delle imprese italiane sui mercati globali sta nella loro “cultura politecnica”, nella capacità cioè di fondare la competitività dei loro prodotti su una miscela originale di saperi umanistici e conoscenze scientifiche: gusto della bellezza e sofisticata innovazione tecnologica, qualità e sostenibilità ambientale e sociale, applicazioni della digital economy e senso della misura (il “saper fare su misura” che riguarda non solo la moda e l’arredamento, ma soprattutto gli impianti industriali e le macchine utensili, la robotica e la componentistica aerospaziale, le produzioni di lusso dei cantieri navali e l’automotive, la chimica fine e la farmaceutica di precisione, i materiali speciali e la meccatronica, etc.). I dati dell’export lo confermano: abbiamo chiuso il ’22 con 650 miliardi di valore, un record e nel ’23 ci avviamo ad avere un’industria manifatturiera in cui per la prima volta la domanda estera sorpasserà quella interna e rappresenterà più della metà del giro d’affari complessivo (“Affari&Finanza” de “la Repubblica”, 12 giugno, su previsioni di Prometeia e Servizio Studi Intesa San Paolo).

Una “cultura politecnica” progettuale e produttiva, dunque. O anche, per dirla diversamente, un “umanesimo industriale” da rafforzare e rilanciare.

Sta in questo quadro la scelta, fatta da Confindustria, di promuovere l’esposizione di 12 tavole del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci a Washington, alla Martin Luther King Memorial Library, dal 20 giugno al 20 agosto, con una mostra intitolata “Immaginando il futuro. Leonardo, l’anima del genio italiano”, curata da monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (dov’è conservato, appunto, il Codice leonardesco) e sostenuta da grandi imprese di rilievo internazionale (Intesa San Paolo, Ita, 24Ore Cultura, Dolce e Gabbana, Dompé, Pirelli e Trenitalia).

Diplomazia culturale e straordinaria riprova di competenza tecnica (con i disegni dedicati alle macchine, agli ingranaggi, all’arte del volo). Senso dell’equilibrio e della bellezza. E testimonianza di un ingegno che sorregge nel tempo l’intraprendenza. Cultura del progetto. E ingegneria d’avanguardia. Memoria d’una spinta creativa quanto mai visionaria eppur fertile di cambiamenti reali (le opere delle chiuse e dei canali di trasporto, secondo appunto i disegni di Leonardo). E attitudine all’innovazione. Una straordinaria capacità di scrivere “una storia al futuro”. E dunque un insegnamento aperto al resto del mondo: il genio d’origine italiano ha un sapore universale. E l’impresa sa farsene ancora una volta interprete. Con la “leva di una cultura che sa creare ponti”, come sostiene il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Domenica” de “Il Sole24Ore”, 11 giugno).

Un ponte è anche l’apertura, contestuale all’inaugurazione della mostra, di una sede di Confindustria a Washington, che arricchisce la serie delle sedi estere, da Bruxelles a Singapore e ad altre in corso di definizione. “Diplomazia di sistema”, dicono in Confindustria. Strutture di sostegno all’impegno delle nostre imprese sui mercati internazionali.

Sono tutte iniziative e valutazioni strategiche da tenere ben presenti, quando si parla di valorizzazione del “made in Italy” e di scelte di politica industriale che potenzino il vero cardine di sviluppo del sistema Paese, in prospettiva europea e internazionale: l’industria di qualità. Un’industria che è già stata protagonista della sorprendente ripresa post Covid del ‘21/’22 (una crescita complessiva del Pil di quasi l’11%) e che in questo primo periodo del ’23 mostra però segni di difficoltà, come conseguenza della recessione tedesca, del costo dell’energia e delle conseguenze delle tensioni internazionali.

“La manifattura è a rischio competitività”, avverte infatti il Centro Studi Confindustria (10 giugno), rilevando anche la scarsa produttività generale italiana che mette in difficoltà le imprese, il carico del fisco, gli scarsi margini per i capitali investiti, le difficoltà a reperire mano d’opera qualificata, etc.

C’è un’industria, comunque, da rilanciare, usando con intelligenza ed efficacia i fondi del Pnrr per finanziare la twin transition ambientale e digitale e le infrastrutture materiali e immateriali necessarie alla nostra competitività (dalle reti high tech alla formazione indispensabile per “l’economia della conoscenza” e per l’utilizzo degli studenti dell’Intelligenza Artificiale).

Viviamo, infatti, una difficile stagione di modifica delle ragioni di scambio e di “ri-globalizzazione selettiva”, una vera e propria “riconfigurazione dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale” (la definizione è sul sito de “lavoce.info”). Di ridefinizione delle catene del valore, più corte ed efficienti rispetto ai mercati di sbocco dei prodotti finiti (il re-shoring) ma anche di ristrutturazione degli scambi in blocchi che condividono gli stessi valori: l’economia di mercato, la democrazia economica e politica (il friends-shoring, caro soprattutto all’amministrazione Usa).

Proprio in un contesto così competitivo e selettivo, è interesse dell’economia e dell’impresa italiana qualificare i prodotti e i servizi, tenendo aperti i canali commerciali con la Cina, l’India, il Brasile e gli altri paesi del cosiddetto Global South (guardando con estrema attenzione anche all’Africa) ma anche puntando sulle aree in cui più si apprezzano le nostre produzioni a maggior valore aggiunto: gli altri paesi della Ue e gli Usa, usando dunque con intelligenza le opportunità offerte dal “corridoio Nafta” di libero scambio (Usa, Canada, Mexico, dove parecchie imprese italiane ed europee hanno aperto stabilimenti con alto livello produttivo).

Sono tempi, insomma, in cui le scelte strategiche degli insediamenti (in chiave local for local, di prossimità ai mercati, cioè) hanno bisogno di politiche di sostegno e di accompagnamento. A cominciare da quelle Ue.

Ecco perché mettere in gioco tutti gli strumenti necessari allo sviluppo. Visioni d’impresa. Investimenti per l’innovazione. Sguardo internazionale sulla base di robuste radici territoriali, su filiere e piattaforme produttive. E diplomazia. Economica e culturale. Leonardo, appunto, ne è ottimo ambasciatore.

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?