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Guide, non comandanti

In un libro appena pubblicato, l’analisi della leadership e le indicazioni su come realizzarla

 

“La leadership è un processo collettivo, collaborativo e altruistico. È un fenomeno diffuso, con tanti leader al lavoro, non solo il capo”. È attorno a questa idea che si sviluppano molti successi nei più svariati ambiti, anche quelli d’impresa. Leadership, che non è la sintesi dell’uomo solo al comando, ma qualcosa di ben più complesso e forte. Oltre che affascinante. Ed è attorno alla leadership nelle sue varie manifestazioni che ragiona Gianluca Giansante con il suo “Leadership. Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti” appena pubblicato.

L’idea alla base del libro è quella appena espressa: la vera leadership è un’espressione collettiva. Partendo da questo assunto, Giansante inizia un cammino basato su varie fonti d’informazione è che tocca diverse tappe attraverso le quali viene costruito una sorta di “manuale del leader” utile a chi si ritrova a dover guidare un’impresa. Un manuale per mezzo del quale vengono fornite anche indicazioni concrete sui comportamenti da tenere e sulle cose da non fare. Chi legge, quindi, apprende dei tratti salienti dell’essere leader, del suo modo di intendere ciò che fa e i motivi di quello che fa, dell’importanza della condivisione e delle emozioni, della cooperazione e del consenso, delle motivazioni dell’azione e delle relazioni tra leader e potere. E non manca nemmeno la sottolineatura dei rischi ai quali il leader è sottoposto. Tutto viene trattato con un linguaggio comprensibile e per mezzo anche di risposte a domande solo in apparenza banali. Oltre che attraverso il racconto di esperienze come quelle di Gandhi, Malala Yousafzai, Marco Aurelio, Winston Churchill e altri ancora.

Scrive Giansante nelle sue conclusioni: “Il leader non è più solo ma è il membro di un gruppo e il suo compito principale non è comandare ma motivare le persone a collaborare verso un obiettivo comune”.

Leadership. Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti

Gianluca Giansante

Carocci editore, 2023

In un libro appena pubblicato, l’analisi della leadership e le indicazioni su come realizzarla

 

“La leadership è un processo collettivo, collaborativo e altruistico. È un fenomeno diffuso, con tanti leader al lavoro, non solo il capo”. È attorno a questa idea che si sviluppano molti successi nei più svariati ambiti, anche quelli d’impresa. Leadership, che non è la sintesi dell’uomo solo al comando, ma qualcosa di ben più complesso e forte. Oltre che affascinante. Ed è attorno alla leadership nelle sue varie manifestazioni che ragiona Gianluca Giansante con il suo “Leadership. Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti” appena pubblicato.

L’idea alla base del libro è quella appena espressa: la vera leadership è un’espressione collettiva. Partendo da questo assunto, Giansante inizia un cammino basato su varie fonti d’informazione è che tocca diverse tappe attraverso le quali viene costruito una sorta di “manuale del leader” utile a chi si ritrova a dover guidare un’impresa. Un manuale per mezzo del quale vengono fornite anche indicazioni concrete sui comportamenti da tenere e sulle cose da non fare. Chi legge, quindi, apprende dei tratti salienti dell’essere leader, del suo modo di intendere ciò che fa e i motivi di quello che fa, dell’importanza della condivisione e delle emozioni, della cooperazione e del consenso, delle motivazioni dell’azione e delle relazioni tra leader e potere. E non manca nemmeno la sottolineatura dei rischi ai quali il leader è sottoposto. Tutto viene trattato con un linguaggio comprensibile e per mezzo anche di risposte a domande solo in apparenza banali. Oltre che attraverso il racconto di esperienze come quelle di Gandhi, Malala Yousafzai, Marco Aurelio, Winston Churchill e altri ancora.

Scrive Giansante nelle sue conclusioni: “Il leader non è più solo ma è il membro di un gruppo e il suo compito principale non è comandare ma motivare le persone a collaborare verso un obiettivo comune”.

Leadership. Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti

Gianluca Giansante

Carocci editore, 2023

Forza e fragilità delle metropoli tra calo demografico e costo della vita

About Cities” è una rivista ben fatta, diretta da Fabio Brioschi e pubblicata da EuroMilano Servizi, impegnata da tempo a raccontare le mutazioni urbane e metropolitane, nella convinzione che proprio nelle città si condensino gran parte delle energie più sensibili ai temi dell’innovazione, del cambiamento, del miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita. “Sempre in movimento. Per parlare delle città e ascoltarne la voce” è il titolo dell’editoriale del nuovo numero. Che dà spazio ad analisi teoriche e racconti di esperienze sulla mobilità, la qualità della vita ma anche i contrasti e le contraddizioni che attraversano le vite dei cittadini (l’eco si ritrova anche in attività editoriali collegate alla rivista, come l’originale “Elementi di urbanistica noircurato da Gianni Biondillo, architetto per formazione e professione ma anche brillante scrittore appunto di noir che svelano l’anima cupa e criminale che si annida dietro le “mille luci” della Milano ricca, glamour e modaiola).

Ecco il punto: le città sono dense di potenzialità di sviluppo, anche sostenibile ma, contemporaneamente, segnate da grandi fragilità economiche e sociali che sollecitano profonde riflessioni politiche e culturali.

Per capire meglio, vale la pena leggere attentamente il “Focus” dedicato dall’Istat, ai primi di febbraio, ai “Profili delle città metropolitane” in cui le due parole che abbiamo appena ricordato, “potenzialità” e “fragilità” sono le principali chiavi di lettura dei fenomeni analizzati.

Il Focus approfondisce i dati che riguardano le 14 città metropolitane, nate secondo le indicazioni della riforma del Titolo V della Costituzione e della legge n. 56 del 7 aprile 2014, e cioè Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania e Cagliari (troppe, dicono i critici, notando che solo quattro superano i 2 milioni di abitanti: Roma con oltre 4milioni, Milano con oltre 3milioni, poi Napoli con quasi 3 e Torino).

Se ne indicano primati e cadute. Torino è la più estesa (6.827 km quadrati), Genova la più “vecchia” (269 anziani ogni 100 giovani) e Napoli la più giovane (130 anziani ogni 100 giovani). Bologna è la più istruita (42 laureati ogni 100 residenti) e con maggiore propensione femminile al lavoro (51 donne ogni 100), Milano quella con il più alto reddito per abitante (23.202 euro) e la più alta densità imprenditoriale (106 unità locali ogni mille abitanti, per un totale di 346mila imprese) ma anche con la maggiore produttività del lavoro (valore aggiunto per addetto, pari a 71,2mila euro), mentre Catania ha il reddito per abitante più basso (9.844 euro), Messina la produttività minore (29,2 mila euro) e Palermo il livello occupazionale minore (49% il tasso di occupazione tra i 25 e i 64 anni). Roma è quella che negli ultimi vent’anni ha avuto la maggiore crescita della popolazione, il 14% in più.

Leggere bene i dati Istat ci indica comunque alcune tendenze di fondo: oltre 21 milioni vivono nelle aree metropolitane, mentre la maggior parte degli italiani preferiscono città medie, paesi e borghi, caratterizzando così un territorio a forte urbanizzazione diffusa e con una struttura produttiva allargata “all’ombra dei campanili”, come sosteneva un grande storico dell’economia, Carlo Maria Cipolla. Una struttura particolare, che consente all’economia flessibilità, creatività, produttività e competitività, facendo leva su una cultura diffusa del “bello e ben fatto”.

Il Nord del paese, nel suo insieme, è più dinamico economicamente. E lì si condensano le maggiori opportunità di cambiamento. Ma è anche l’area geografica con maggiori livelli di invecchiamento: una situazione che in prospettiva apre gravi questioni politiche, economiche e di tenuta della sostenibilità del welfare.

Per quel che riguarda il declino demografico in corso nel paese, le aree metropolitane ne risentono meno (-1,5% nel 2030, rispetto a -1,8% medio dell’Italia) ma con posizioni fortemente diverse tra loro: Bologna (+2,9%) e Milano (+2,5%, con addirittura un +7% nel capoluogo) manterranno una crescita demografica, Roma perderà appena lo 0,1%, mentre Napoli perderà il 2,8% e Messina addirittura il 6%.

Lavoro, impresa e istruzione fanno da traino per attrarre popolazione giovane e attiva. Ma, secondo altre indagini e inchieste giornalistiche, l’attrattività di Milano, per esempio, deve fare i conti con problemi sempre più rilevanti che riguardano i servizi, la disponibilità di abitazioni a prezzi accessibili (“Case, Milano perde la classe media”, titola il “Corriere della Sera” del 20 febbraio; “Abitare a Milano, un incubo da far impallidire Orwell”, calca la mano “L’Espresso” del 29 gennaio), il costo della vita, le possibilità reali di integrazione. Fragilità, appunto, anche in un contesto di cambiamento positivo, di sviluppo.

Lo studio dell’Istat, un’analisi statistica, non ne fa oggetto di considerazione specifica. Ma proprio la lettura dei dati, tra prospettive di crescita e nodi irrisolti delle questioni sociali, indica che la questione da affrontare, a livello di governo nazionale e di amministrazioni regionali e comunali, è  quella delle opportunità di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

Se le città e le aree metropolitane sono quelle in cui le tendenze attuali dell’economia della conoscenza indicano una prospettiva di partecipazione attiva e produttiva alle principali trasformazioni economiche e sociali, è proprio qui che vanno giocare le carte di un “cambio di paradigma” dei valori dell’economia. Per una economia circolare, civile, più giusta ed equilibrata. Discutere “about cities”, insomma, significa discutere di qualità della vita, della produzione, del lavoro, dei consumi, della convivenza civile. Di un nuovo e migliore spirito di comunità, di collaborazione e di “competizione”. Ricordando appunto che “competizione” viene da “cum” e “petere”: ricercare insieme un buon destino comune.

(foto Getty Images)

About Cities” è una rivista ben fatta, diretta da Fabio Brioschi e pubblicata da EuroMilano Servizi, impegnata da tempo a raccontare le mutazioni urbane e metropolitane, nella convinzione che proprio nelle città si condensino gran parte delle energie più sensibili ai temi dell’innovazione, del cambiamento, del miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita. “Sempre in movimento. Per parlare delle città e ascoltarne la voce” è il titolo dell’editoriale del nuovo numero. Che dà spazio ad analisi teoriche e racconti di esperienze sulla mobilità, la qualità della vita ma anche i contrasti e le contraddizioni che attraversano le vite dei cittadini (l’eco si ritrova anche in attività editoriali collegate alla rivista, come l’originale “Elementi di urbanistica noircurato da Gianni Biondillo, architetto per formazione e professione ma anche brillante scrittore appunto di noir che svelano l’anima cupa e criminale che si annida dietro le “mille luci” della Milano ricca, glamour e modaiola).

Ecco il punto: le città sono dense di potenzialità di sviluppo, anche sostenibile ma, contemporaneamente, segnate da grandi fragilità economiche e sociali che sollecitano profonde riflessioni politiche e culturali.

Per capire meglio, vale la pena leggere attentamente il “Focus” dedicato dall’Istat, ai primi di febbraio, ai “Profili delle città metropolitane” in cui le due parole che abbiamo appena ricordato, “potenzialità” e “fragilità” sono le principali chiavi di lettura dei fenomeni analizzati.

Il Focus approfondisce i dati che riguardano le 14 città metropolitane, nate secondo le indicazioni della riforma del Titolo V della Costituzione e della legge n. 56 del 7 aprile 2014, e cioè Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania e Cagliari (troppe, dicono i critici, notando che solo quattro superano i 2 milioni di abitanti: Roma con oltre 4milioni, Milano con oltre 3milioni, poi Napoli con quasi 3 e Torino).

Se ne indicano primati e cadute. Torino è la più estesa (6.827 km quadrati), Genova la più “vecchia” (269 anziani ogni 100 giovani) e Napoli la più giovane (130 anziani ogni 100 giovani). Bologna è la più istruita (42 laureati ogni 100 residenti) e con maggiore propensione femminile al lavoro (51 donne ogni 100), Milano quella con il più alto reddito per abitante (23.202 euro) e la più alta densità imprenditoriale (106 unità locali ogni mille abitanti, per un totale di 346mila imprese) ma anche con la maggiore produttività del lavoro (valore aggiunto per addetto, pari a 71,2mila euro), mentre Catania ha il reddito per abitante più basso (9.844 euro), Messina la produttività minore (29,2 mila euro) e Palermo il livello occupazionale minore (49% il tasso di occupazione tra i 25 e i 64 anni). Roma è quella che negli ultimi vent’anni ha avuto la maggiore crescita della popolazione, il 14% in più.

Leggere bene i dati Istat ci indica comunque alcune tendenze di fondo: oltre 21 milioni vivono nelle aree metropolitane, mentre la maggior parte degli italiani preferiscono città medie, paesi e borghi, caratterizzando così un territorio a forte urbanizzazione diffusa e con una struttura produttiva allargata “all’ombra dei campanili”, come sosteneva un grande storico dell’economia, Carlo Maria Cipolla. Una struttura particolare, che consente all’economia flessibilità, creatività, produttività e competitività, facendo leva su una cultura diffusa del “bello e ben fatto”.

Il Nord del paese, nel suo insieme, è più dinamico economicamente. E lì si condensano le maggiori opportunità di cambiamento. Ma è anche l’area geografica con maggiori livelli di invecchiamento: una situazione che in prospettiva apre gravi questioni politiche, economiche e di tenuta della sostenibilità del welfare.

Per quel che riguarda il declino demografico in corso nel paese, le aree metropolitane ne risentono meno (-1,5% nel 2030, rispetto a -1,8% medio dell’Italia) ma con posizioni fortemente diverse tra loro: Bologna (+2,9%) e Milano (+2,5%, con addirittura un +7% nel capoluogo) manterranno una crescita demografica, Roma perderà appena lo 0,1%, mentre Napoli perderà il 2,8% e Messina addirittura il 6%.

Lavoro, impresa e istruzione fanno da traino per attrarre popolazione giovane e attiva. Ma, secondo altre indagini e inchieste giornalistiche, l’attrattività di Milano, per esempio, deve fare i conti con problemi sempre più rilevanti che riguardano i servizi, la disponibilità di abitazioni a prezzi accessibili (“Case, Milano perde la classe media”, titola il “Corriere della Sera” del 20 febbraio; “Abitare a Milano, un incubo da far impallidire Orwell”, calca la mano “L’Espresso” del 29 gennaio), il costo della vita, le possibilità reali di integrazione. Fragilità, appunto, anche in un contesto di cambiamento positivo, di sviluppo.

Lo studio dell’Istat, un’analisi statistica, non ne fa oggetto di considerazione specifica. Ma proprio la lettura dei dati, tra prospettive di crescita e nodi irrisolti delle questioni sociali, indica che la questione da affrontare, a livello di governo nazionale e di amministrazioni regionali e comunali, è  quella delle opportunità di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

Se le città e le aree metropolitane sono quelle in cui le tendenze attuali dell’economia della conoscenza indicano una prospettiva di partecipazione attiva e produttiva alle principali trasformazioni economiche e sociali, è proprio qui che vanno giocare le carte di un “cambio di paradigma” dei valori dell’economia. Per una economia circolare, civile, più giusta ed equilibrata. Discutere “about cities”, insomma, significa discutere di qualità della vita, della produzione, del lavoro, dei consumi, della convivenza civile. Di un nuovo e migliore spirito di comunità, di collaborazione e di “competizione”. Ricordando appunto che “competizione” viene da “cum” e “petere”: ricercare insieme un buon destino comune.

(foto Getty Images)

La luce in fabbrica: il Polo industriale Pirelli di Settimo Torinese

Nato a fine anni Cinquanta per rifornire di pneumatici e accessori la vicina Fiat, dal 2011 lo stabilimento di Settimo Torinese è uno dei poli produttivi più avanzati del Gruppo Pirelli dal punto di vista tecnologico e ambientale. Esteso su una area di 250.000 mq, con una capacità produttiva di 3,5 milioni di pneumatici all’anno, Settimo Torinese è un emblema della fabbrica 4.0, grazie alla digitalizzazione del processo produttivo e al sistema Next Mirs, una linea di produzione completamente robotizzata, dalla estrema flessibilità, in grado di produrre pneumatici ad alto contenuto tecnologico per soddisfare le specifiche esigenze di ogni costruttore.  Anche dal punto di vista della sostenibilità, del rispetto per l’ambiente e della cura per la persona il Polo rappresenta un’eccellenza. Al Polo per la prima volta la luce entra in una fabbrica di pneumatici, persino nei luoghi che dovrebbero restare bui, come la sala mescole. Una speciale copertura dell’edificio in grado di filtrare la luce naturale consente infatti di illuminare gli ambienti bloccando i raggi del sole.

La luce inonda anche la Spina, il corpo centrale posto al centro dei due settori dello stabilimento e progettata dall’architetto Renzo Piano: un edificio di andamento rettilineo lungo 400 metri “formato da dodici corpi di fabbrica in carpenteria metallica sollevati da terra, anelli di una collana rilegati da una lunga passerella vetrata in quota che li attraversa” – si legge sul sito della Fondazione Renzo Piano – e collegato allo stabilimento, da una parte e dall’altra, da camminamenti coperti. La Spina, che ospita gli uffici e la Direzione della fabbrica, la biblioteca, la sala mensa, i locali adibiti a spogliatoi, risponde ai più avanzati criteri di sostenibilità e pone al centro le persone: dal sistema di illuminazione naturale a quello di isolamento termico, dagli spazi di aggregazione e incontro alla particolare cura per la progettazione del suo inserimento paesaggistico. La copertura della Spina è un elemento complesso e tecnologicamente avanzato: controlla l’irraggiamento solare, alloggia pannelli fotovoltaici e solari termici e presenta ai lati degli elementi frangisole permeabili all’acqua, nelle zone sopra gli alberi. Lungo la Spina corre infatti un viale alberato ornato da circa 450 ciliegi, ai quali si aggiungono ampi spazi verdi vicino ai parcheggi e il rimboschimento dei lati sud, est e ovest dello stabilimento con varie specie di pioppi.

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Nato a fine anni Cinquanta per rifornire di pneumatici e accessori la vicina Fiat, dal 2011 lo stabilimento di Settimo Torinese è uno dei poli produttivi più avanzati del Gruppo Pirelli dal punto di vista tecnologico e ambientale. Esteso su una area di 250.000 mq, con una capacità produttiva di 3,5 milioni di pneumatici all’anno, Settimo Torinese è un emblema della fabbrica 4.0, grazie alla digitalizzazione del processo produttivo e al sistema Next Mirs, una linea di produzione completamente robotizzata, dalla estrema flessibilità, in grado di produrre pneumatici ad alto contenuto tecnologico per soddisfare le specifiche esigenze di ogni costruttore.  Anche dal punto di vista della sostenibilità, del rispetto per l’ambiente e della cura per la persona il Polo rappresenta un’eccellenza. Al Polo per la prima volta la luce entra in una fabbrica di pneumatici, persino nei luoghi che dovrebbero restare bui, come la sala mescole. Una speciale copertura dell’edificio in grado di filtrare la luce naturale consente infatti di illuminare gli ambienti bloccando i raggi del sole.

La luce inonda anche la Spina, il corpo centrale posto al centro dei due settori dello stabilimento e progettata dall’architetto Renzo Piano: un edificio di andamento rettilineo lungo 400 metri “formato da dodici corpi di fabbrica in carpenteria metallica sollevati da terra, anelli di una collana rilegati da una lunga passerella vetrata in quota che li attraversa” – si legge sul sito della Fondazione Renzo Piano – e collegato allo stabilimento, da una parte e dall’altra, da camminamenti coperti. La Spina, che ospita gli uffici e la Direzione della fabbrica, la biblioteca, la sala mensa, i locali adibiti a spogliatoi, risponde ai più avanzati criteri di sostenibilità e pone al centro le persone: dal sistema di illuminazione naturale a quello di isolamento termico, dagli spazi di aggregazione e incontro alla particolare cura per la progettazione del suo inserimento paesaggistico. La copertura della Spina è un elemento complesso e tecnologicamente avanzato: controlla l’irraggiamento solare, alloggia pannelli fotovoltaici e solari termici e presenta ai lati degli elementi frangisole permeabili all’acqua, nelle zone sopra gli alberi. Lungo la Spina corre infatti un viale alberato ornato da circa 450 ciliegi, ai quali si aggiungono ampi spazi verdi vicino ai parcheggi e il rimboschimento dei lati sud, est e ovest dello stabilimento con varie specie di pioppi.

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“Riflettere i moti del cielo”:
un grattacielo per Pirelli

“La totale finestratura di cristallo legata in alluminio rifletterà i moti del cielo”. Con queste parole l’architetto Carlo De Carli descrive sulle pagine della Rivista Pirelli l’aspetto che avrà la facciata della nuova sede della Pirelli progettata da Gio Ponti e Giuseppe Valtolina con il contributo di Pierluigi Nervi e Arturo Danusso. Inaugurato nel 1960, il Grattacielo Pirelli è l’edificio più alto, in quell’epoca, di Milano e d’Europa, e la sua facciata è una vetrata continua in alluminio e cristallo di 9.500 metri quadrati: un curtain wall che ricopre l’edificio in corrispondenza dei vuoti lasciati tra le strutture verticali, fino a rivestire completamente il 31° piano dell’edificio, dal quale è possibile godere di una vista mozzafiato su tutta la città.

Una pianta larga 18,5 metri e lunga circa 70 metri che va assottigliandosi alle estremità, con un rapporto tra larghezza e altezza (127 metri) estremamente ridotto rispetto ad altri grattacieli, e mai sperimentato in edifici in cemento armato. Una struttura con funzione portante e nello stesso tempo di contrasto all’azione del vento, con le torri degli ascensori e dei servizi al centro. Una disposizione che consente di non avere spazi inutilizzati: gli ambienti sono ampi, luminosi, funzionali, grazie anche alla sottile parete-finestra che separa l’interno dall’esterno, che di giorno riflette “i moti del cielo” e di notte illumina l’edificio di luce propria, facendo stagliare il Pirellone nello skyline di Milano.

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“La totale finestratura di cristallo legata in alluminio rifletterà i moti del cielo”. Con queste parole l’architetto Carlo De Carli descrive sulle pagine della Rivista Pirelli l’aspetto che avrà la facciata della nuova sede della Pirelli progettata da Gio Ponti e Giuseppe Valtolina con il contributo di Pierluigi Nervi e Arturo Danusso. Inaugurato nel 1960, il Grattacielo Pirelli è l’edificio più alto, in quell’epoca, di Milano e d’Europa, e la sua facciata è una vetrata continua in alluminio e cristallo di 9.500 metri quadrati: un curtain wall che ricopre l’edificio in corrispondenza dei vuoti lasciati tra le strutture verticali, fino a rivestire completamente il 31° piano dell’edificio, dal quale è possibile godere di una vista mozzafiato su tutta la città.

Una pianta larga 18,5 metri e lunga circa 70 metri che va assottigliandosi alle estremità, con un rapporto tra larghezza e altezza (127 metri) estremamente ridotto rispetto ad altri grattacieli, e mai sperimentato in edifici in cemento armato. Una struttura con funzione portante e nello stesso tempo di contrasto all’azione del vento, con le torri degli ascensori e dei servizi al centro. Una disposizione che consente di non avere spazi inutilizzati: gli ambienti sono ampi, luminosi, funzionali, grazie anche alla sottile parete-finestra che separa l’interno dall’esterno, che di giorno riflette “i moti del cielo” e di notte illumina l’edificio di luce propria, facendo stagliare il Pirellone nello skyline di Milano.

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Architetture industriali “leggere”: la Bicocca di ieri e di oggi

“Un ambiente comodo, piacevole, accogliente, bello”. E la possibilità di ospitare 800 commensali alla volta e di servire fino a seimila pasti al giorno. Questi i requisiti richiesti nel 1955 all’architetto Giulio Minoletti e all’ingegner Cesare Chiodi per la nuova mensa impiegati dello stabilimento Pirelli di Milano Bicocca, come racconta l’articolo della Rivista Pirelli dal titolo “Una mensa di fabbrica”. I progettisti centrano in pieno l’obiettivo e nel 1957 realizzano un ambiente nel quale estetica, funzionalità e comfort si fondono perfettamente. L’edificio è una “scatola” trasparente, con l’interno diviso in due campate, una più bassa riservata alle cucine e al banco di distribuzione – con il sistema di self service introdotto per la prima volta in Italia – e una più alta e larga destinata alla grande sala da pranzo, inondata di luce da una parete vetrata che occupa l’intera facciata: “tra il soffitto e le centinaia di persone che sul pavimento di gomma si muovono fra i tavoli rossi e le sedie gialle non ci sono che aria e luce, quasi non c’è rumore”, si legge ancora nell’articolo firmato da Giuseppe Trevisani.

Negli stessi anni entra in funzione nel quartiere la torre di oltre quaranta metri che, raffreddando l’acqua, rifornisce di vapore la centrale termoelettrica realizzata nel dopoguerra per rendere autonoma la fabbrica Pirelli dal punto di vista energetico. Oltre trent’anni dopo la torre che dal 1950 svetta nel cielo della Bicocca viene completamente ripensata dall’architetto Vittorio Gregotti, vincitore del concorso per la riqualificazione dell’area. La torre diventa così il centro dell’edificio dell’Headquarters del Gruppo, che la racchiude come un elemento prezioso all’interno di una teca. Un cubo di 50 x 50 metri articolato su 10 piani ingloba la torre, con tre lati destinati agli uffici e un quarto lato, come nel caso della mensa di Minoletti e Chiodi, chiuso da un’enorme vetrata, che apre l’edificio verso la Bicocca e la città e dalla quale la torre può essere ammirata anche dall’esterno. La facciata costituisce l’elemento più prestigioso e complesso dell’edificio, un unicum in Italia: una vetrata sospesa di 1.700 metri quadrati, agganciata in alto a una trave in acciaio. Anche i lati Nord e Sud, che ospitano la maggior parte degli uffici, sono interamente vetrati verso la corte interna e la torre, lasciata libera all’interno della “teca” e raggiungibile tramite alcuni passaggi aerei.

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“Un ambiente comodo, piacevole, accogliente, bello”. E la possibilità di ospitare 800 commensali alla volta e di servire fino a seimila pasti al giorno. Questi i requisiti richiesti nel 1955 all’architetto Giulio Minoletti e all’ingegner Cesare Chiodi per la nuova mensa impiegati dello stabilimento Pirelli di Milano Bicocca, come racconta l’articolo della Rivista Pirelli dal titolo “Una mensa di fabbrica”. I progettisti centrano in pieno l’obiettivo e nel 1957 realizzano un ambiente nel quale estetica, funzionalità e comfort si fondono perfettamente. L’edificio è una “scatola” trasparente, con l’interno diviso in due campate, una più bassa riservata alle cucine e al banco di distribuzione – con il sistema di self service introdotto per la prima volta in Italia – e una più alta e larga destinata alla grande sala da pranzo, inondata di luce da una parete vetrata che occupa l’intera facciata: “tra il soffitto e le centinaia di persone che sul pavimento di gomma si muovono fra i tavoli rossi e le sedie gialle non ci sono che aria e luce, quasi non c’è rumore”, si legge ancora nell’articolo firmato da Giuseppe Trevisani.

Negli stessi anni entra in funzione nel quartiere la torre di oltre quaranta metri che, raffreddando l’acqua, rifornisce di vapore la centrale termoelettrica realizzata nel dopoguerra per rendere autonoma la fabbrica Pirelli dal punto di vista energetico. Oltre trent’anni dopo la torre che dal 1950 svetta nel cielo della Bicocca viene completamente ripensata dall’architetto Vittorio Gregotti, vincitore del concorso per la riqualificazione dell’area. La torre diventa così il centro dell’edificio dell’Headquarters del Gruppo, che la racchiude come un elemento prezioso all’interno di una teca. Un cubo di 50 x 50 metri articolato su 10 piani ingloba la torre, con tre lati destinati agli uffici e un quarto lato, come nel caso della mensa di Minoletti e Chiodi, chiuso da un’enorme vetrata, che apre l’edificio verso la Bicocca e la città e dalla quale la torre può essere ammirata anche dall’esterno. La facciata costituisce l’elemento più prestigioso e complesso dell’edificio, un unicum in Italia: una vetrata sospesa di 1.700 metri quadrati, agganciata in alto a una trave in acciaio. Anche i lati Nord e Sud, che ospitano la maggior parte degli uffici, sono interamente vetrati verso la corte interna e la torre, lasciata libera all’interno della “teca” e raggiungibile tramite alcuni passaggi aerei.

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 “L’umana impresa. La fabbrica degli attori”

Il progetto di formazione teatrale a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli entra nel vivo

Ha preso il via nel mese di dicembre 2022 il progetto di formazione teatrale “L’umana impresa. La fabbrica degli attori” a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli. L’indagine, in forma teatrale, prenderà le mosse dalla riflessione su alcuni termini comuni sia alla cultura di impresa sia all’attività artistica: visione, identità, trasformazione, ricerca, per considerare poi la capacità umana di creare manufatti e storie, prodotti materiali e immateriali, fino ad arrivare a toccare la questione del rapporto tra uomo e macchina.

Sei giovani ventenni selezionati fra i neodiplomati delle Accademie d’arte drammatica di Milano avranno il compito di raccontare, partendo dalla memoria e dall’esperienza raccolta nell’Archivio Storico Pirelli, come le imprese che nascono da una visione, dall’idea della società che sogniamo, possono essere il motore del cambiamento. Grazie alla forza comunicativa e all’immediatezza del teatro e utilizzando dialoghi, monologhi, scene corali e video, i giovani attori parleranno di scienza, ricerca, tecniche di produzione, relazioni creative tra le persone e toccheranno temi come la sostenibilità, l’economia, la lotta alle disuguaglianze, la tutela ambientale. E allo stesso tempo consolideranno il loro talento di creatori di storie, prodotti immateriali la cui finalità è da sempre quella di attribuire significati a tutto ciò che ci circonda, alle esperienze vissute, a quello che ancora ci aspetta.

Tre le fasi di realizzazione del progetto: la prima, conclusasi nel mese di dicembre, è stata dedicata alla progettazione e alla selezione degli attori; la seconda fase si è concentrata sulla formazione e sulla ricerca: quattro settimane di lavoro intensivo al Teatro Franco Parenti guidati dal regista Stefano de Luca per approfondire le tecniche dell’arte scenica e tradurre in situazioni teatrali l’indagine sul valore del lavoro, sull’impresa industriale, commerciale e artistica. Le visite all’Archivio Storico conservato in Fondazione Pirelli e la visita ai laboratori di Ricerca e Sviluppo di Pirelli sono state profondamente utili per comprendere meglio alcune tematiche e aspetti della cultura d’impresa.

La terza e ultima fase del progetto è dedicata alla messa in scena dello spettacolo. Due gli appuntamenti: martedì 28 marzo 2023 ha avuto luogo uno spettacolo interattivo dedicato agli studenti delle scuole secondarie di II grado e alle università, che sono stati coinvolti e stimolati dalla compagnia a esprimersi sui temi dello spettacolo, portando nuovi spunti e approfondimenti. Il secondo appuntamento, aperto a tutto il pubblico, nella serata di lunedì 3 aprile 2023: un’occasione, per condividere il valore sociale del teatro.

Spettacolo
L’UMANA IMPRESA
LA FABBRICA DEGLI ATTORI
È diretto da Stefano de Luca
con
Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti,
Claudia Grassi, Edoardo Rivoira, Emilia Tiburzi

Informazioni e prenotazioni
Per la partecipazione allo spettacolo del 3 aprile collegarsi al sito

https://teatrofrancoparenti.it/spettacolo/lumana-impresa/

Per informazioni: 02 59995206 / biglietteria@teatrofrancoparenti.it
Teatro Franco Parenti – Via Pier Lombardo 14 – 20135 Milano

Vi aspettiamo

(foto della Gallery di Ilaria Maggioni e Andrea Salafia)

Il progetto di formazione teatrale a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli entra nel vivo

Ha preso il via nel mese di dicembre 2022 il progetto di formazione teatrale “L’umana impresa. La fabbrica degli attori” a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli. L’indagine, in forma teatrale, prenderà le mosse dalla riflessione su alcuni termini comuni sia alla cultura di impresa sia all’attività artistica: visione, identità, trasformazione, ricerca, per considerare poi la capacità umana di creare manufatti e storie, prodotti materiali e immateriali, fino ad arrivare a toccare la questione del rapporto tra uomo e macchina.

Sei giovani ventenni selezionati fra i neodiplomati delle Accademie d’arte drammatica di Milano avranno il compito di raccontare, partendo dalla memoria e dall’esperienza raccolta nell’Archivio Storico Pirelli, come le imprese che nascono da una visione, dall’idea della società che sogniamo, possono essere il motore del cambiamento. Grazie alla forza comunicativa e all’immediatezza del teatro e utilizzando dialoghi, monologhi, scene corali e video, i giovani attori parleranno di scienza, ricerca, tecniche di produzione, relazioni creative tra le persone e toccheranno temi come la sostenibilità, l’economia, la lotta alle disuguaglianze, la tutela ambientale. E allo stesso tempo consolideranno il loro talento di creatori di storie, prodotti immateriali la cui finalità è da sempre quella di attribuire significati a tutto ciò che ci circonda, alle esperienze vissute, a quello che ancora ci aspetta.

Tre le fasi di realizzazione del progetto: la prima, conclusasi nel mese di dicembre, è stata dedicata alla progettazione e alla selezione degli attori; la seconda fase si è concentrata sulla formazione e sulla ricerca: quattro settimane di lavoro intensivo al Teatro Franco Parenti guidati dal regista Stefano de Luca per approfondire le tecniche dell’arte scenica e tradurre in situazioni teatrali l’indagine sul valore del lavoro, sull’impresa industriale, commerciale e artistica. Le visite all’Archivio Storico conservato in Fondazione Pirelli e la visita ai laboratori di Ricerca e Sviluppo di Pirelli sono state profondamente utili per comprendere meglio alcune tematiche e aspetti della cultura d’impresa.

La terza e ultima fase del progetto è dedicata alla messa in scena dello spettacolo. Due gli appuntamenti: martedì 28 marzo 2023 ha avuto luogo uno spettacolo interattivo dedicato agli studenti delle scuole secondarie di II grado e alle università, che sono stati coinvolti e stimolati dalla compagnia a esprimersi sui temi dello spettacolo, portando nuovi spunti e approfondimenti. Il secondo appuntamento, aperto a tutto il pubblico, nella serata di lunedì 3 aprile 2023: un’occasione, per condividere il valore sociale del teatro.

Spettacolo
L’UMANA IMPRESA
LA FABBRICA DEGLI ATTORI
È diretto da Stefano de Luca
con
Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti,
Claudia Grassi, Edoardo Rivoira, Emilia Tiburzi

Informazioni e prenotazioni
Per la partecipazione allo spettacolo del 3 aprile collegarsi al sito

https://teatrofrancoparenti.it/spettacolo/lumana-impresa/

Per informazioni: 02 59995206 / biglietteria@teatrofrancoparenti.it
Teatro Franco Parenti – Via Pier Lombardo 14 – 20135 Milano

Vi aspettiamo

(foto della Gallery di Ilaria Maggioni e Andrea Salafia)

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Cultura della collaborazione come strumento di sviluppo

Una indagine pubblicata da Banca d’Italia dimostra l’efficacia della collaborazione tra sistema della produzione e della ricerca

Collaborare per crescere meglio, trovare nuovi prodotti e nuovi mercati. Condizione che vale anche nelle relazioni tra imprese e mondo della ricerca. E indicatore importante anche di una cultura d’impresa e del produrre più alta e diversa della media.

È importante però comprendere bene relazioni, vincoli e risultati del connubio tra mondo della ricerca e mondo della produzione. E a questo serve, tra le molte, la ricerca condotta da Daniela Bragoli, Flavia Cortelezzi e Massimiliano Rigon e pubblicata nella collana dei “Temi di discussione” di Banca d’Italia.

“Innovazione delle imprese e cooperazione con le università. Nuove evidenze da un’indagine sulle imprese italiane”, ha l’obiettivo di studiare l’effetto della collaborazione con le università sull’innovazione delle imprese italiane, distinguendo tra le innovazioni puramente tecnologiche oppure organizzative e quelle congiunte (sia tecnologiche sia organizzative). Tenendo conto che l’analisi utilizza i dati rilevati nel 2007 e nel 2010 dall’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) condotta dalla Banca d’Italia, le indicazioni che ne emergono sono comunque importanti per comprendere come si muovono i rapporti tra produzione e ricerca. Dopo aver sintetizzato la letteratura esistente e analizzato la serie dei dati a disposizione, gli autori arrivano ad una serie di considerazioni finali. Prima di tutto che la cooperazione con le università spinge le imprese ad adottare innovazioni che siano congiuntamente tecnologiche e organizzative, riconosciute in letteratura come le più efficaci se valutate in termini di risultati di mercato. Poi che le imprese che non hanno collaborazioni con le università, invece, tendono a realizzare innovazioni puramente tecnologiche. Tecnologia e organizzazione sono, tuttavia, gli elementi vincenti per innescare un percorso di espansione virtuosa e solida, soprattutto in un momento complesso come questo.

Innovazione delle imprese e cooperazione con le università. Nuove evidenze da un’indagine sulle imprese italiane

Daniela Bragoli, Flavia Cortelezzi e Massimiliano Rigon
Banca d’Italia, Temi di discussione, febbraio 2023

Una indagine pubblicata da Banca d’Italia dimostra l’efficacia della collaborazione tra sistema della produzione e della ricerca

Collaborare per crescere meglio, trovare nuovi prodotti e nuovi mercati. Condizione che vale anche nelle relazioni tra imprese e mondo della ricerca. E indicatore importante anche di una cultura d’impresa e del produrre più alta e diversa della media.

È importante però comprendere bene relazioni, vincoli e risultati del connubio tra mondo della ricerca e mondo della produzione. E a questo serve, tra le molte, la ricerca condotta da Daniela Bragoli, Flavia Cortelezzi e Massimiliano Rigon e pubblicata nella collana dei “Temi di discussione” di Banca d’Italia.

“Innovazione delle imprese e cooperazione con le università. Nuove evidenze da un’indagine sulle imprese italiane”, ha l’obiettivo di studiare l’effetto della collaborazione con le università sull’innovazione delle imprese italiane, distinguendo tra le innovazioni puramente tecnologiche oppure organizzative e quelle congiunte (sia tecnologiche sia organizzative). Tenendo conto che l’analisi utilizza i dati rilevati nel 2007 e nel 2010 dall’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) condotta dalla Banca d’Italia, le indicazioni che ne emergono sono comunque importanti per comprendere come si muovono i rapporti tra produzione e ricerca. Dopo aver sintetizzato la letteratura esistente e analizzato la serie dei dati a disposizione, gli autori arrivano ad una serie di considerazioni finali. Prima di tutto che la cooperazione con le università spinge le imprese ad adottare innovazioni che siano congiuntamente tecnologiche e organizzative, riconosciute in letteratura come le più efficaci se valutate in termini di risultati di mercato. Poi che le imprese che non hanno collaborazioni con le università, invece, tendono a realizzare innovazioni puramente tecnologiche. Tecnologia e organizzazione sono, tuttavia, gli elementi vincenti per innescare un percorso di espansione virtuosa e solida, soprattutto in un momento complesso come questo.

Innovazione delle imprese e cooperazione con le università. Nuove evidenze da un’indagine sulle imprese italiane

Daniela Bragoli, Flavia Cortelezzi e Massimiliano Rigon
Banca d’Italia, Temi di discussione, febbraio 2023

L’industria è sconosciuta per i giovani, serve un nuovo racconto dell’impresa

I giovani italiani conoscono ben poco dell’industria. E comunque non la ritengono un posto in cui andare volentieri a lavorare. Il dato, inquietante se si pensa che siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa subito dopo la Germania, emerge da un’indagine promossa da Federmeccanica, realizzata dal “Monitor sul lavoro” guidato da Daniele Marini, autorevole sociologo del lavoro, con Community Research Analysis. Dei 1.200 intervistati (un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 18 anni in su), alla domanda di aggiungere un aggettivo alla parola “industria” la maggioranza (218 risposte, il 18,2%) ha detto “non so”: non è in grado cioè di esprimere un qualsiasi parere. Al secondo posto, ecco l’aggettivo “obsoleta” (61 risposte). Al terzo posto, “produttiva” (56 risposte) e al quarto, ecco il termine “sfruttamento” (38 risposte). Commenta Marini: “La narrazione di cosa rappresenti davvero la manifattura, nell’Italia di oggi, è uscita dallo schema cognitivo dei giovani”. “L’industria? Una sconosciuta”, sintetizza Dario Di Vico, che ha analizzato i dati sul “Corriere della Sera” (20 febbraio).

Da dove nascono questi giudizi? La maggioranza degli intervistati (45,4%) dichiara di avere maturato una valutazione sulla base della propria esperienza diretta di lavoratore o di discussioni con colleghi di lavoro. Il 54% si affida a informazioni avute innanzitutto dai mezzi di informazione tradizionali (Tv, quotidiani, radio per il 20%) e poi da social media e internet (soprattutto tra le giovani generazioni) e dalle “discussioni con familiari e amici”.

Un dato più confortante, in questo panorama di scarsa consapevolezza del peso reale dei soggetti economici, sta comunque nella fatto che la maggioranza degli intervistati (55,2%) auspichi sostegni per le imprese “perché contribuiscono alla crescita del paese e delle persone”. Un parere forte, apparentemente in contrasto con i tanti “non so” di cui abbiamo detto e che risulta ancora più netto tra i laureati (63,8%), gli studenti (67,8%) e chi fa un lavoro manuale (56,4%). Una quota di popolazione da valorizzare, approfondendone i giudizi.

La ricerca contiene altre interessanti considerazioni sul valore assegnato alla qualità del lavoro, all’importanza dell’equilibrio con la vita privata e alla “buona reputazione dell’impresa”, all’inclinazione a cambiare lavoro per questioni legate alla retribuzione e alla soddisfazione professionale e all’idea che “influencer e bloggher valgano più di artigiani, commercianti e insegnanti”.

Un mondo in evoluzione, dunque, soprattutto dopo le fratture sociali e le rivelazioni delle fragilità personali nella stagione del Covid. E a cui continuare a dare la massima attenzione, considerando soprattutto le inclinazioni delle generazioni più giovani.

Che l’industria non goda di un diffuso favore sociale non è, naturalmente, una novità. Era emerso con evidenza, per esempio, da una indagine Ipsos del 2009 sulle nuove generazioni e la manifattura in occasione della pubblicazione del libro “Orgoglio industriale” edito da Mondadori (“Preferisco dire che lavoro in un call center o in una boutique di moda che non in fabbrica”, era la sintesi). Gli orientamenti negativi erano stati confermati, l’anno successivo, da un analogo sondaggio sempre di Ipsos per Assolombarda. Poi, gli effetti della Grande Crisi finanziaria del 2009-2011, rivalutando l’economia reale, avevano cambiato parzialmente in positivo la percezione.

Adesso l’indagine promossa da Federmeccanica, proprio quando l’industria manifatturiera ha fatto da locomotiva della sorprendente crescita dell’economia italiana nel ‘21-‘22 costringe innanzitutto il mondo dell’impresa ma anche altri attori sociali e politici a riflettere sulle immagini prevalenti nel mondo del lavoro e nelle aspettative di ragazze e ragazzi, per rafforzare gli asset fondamentali dello sviluppo sostenibile.

Per quel che riguarda la cultura d’impresa e le rappresentanze industriali, insomma, è necessario insistere nella costruzione di un nuovo e migliore racconto dell’impresa stessa, a cominciare dall’intensificazione del rapporto con scuole e università (come fa per esempio da anni l’Aspen Institute Italia con l’iniziativa “Una bella impresa” fondata su incontri tra imprenditori e studenti degli istituti superiori in tutta Italia). Da un intervento su salari, stipendi e condizioni professionali. E da un rafforzamento della rappresentazione dei valori positivi dell’intraprendenza, dell’innovazione, della ricerca scientifica, delle opportunità di miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita offerte dalle nuove tecnologie nella twin transition ambientale e digitale. Insistendo sulla “fabbrica bella”, produttiva e sostenibile, come orizzonte di possibilità di crescita e di affermazione personale, sociale, culturale. Una sfida che proprio l’industria Italiana di qualità è in grado di giocare bene.

(foto Getty Images)

I giovani italiani conoscono ben poco dell’industria. E comunque non la ritengono un posto in cui andare volentieri a lavorare. Il dato, inquietante se si pensa che siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa subito dopo la Germania, emerge da un’indagine promossa da Federmeccanica, realizzata dal “Monitor sul lavoro” guidato da Daniele Marini, autorevole sociologo del lavoro, con Community Research Analysis. Dei 1.200 intervistati (un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 18 anni in su), alla domanda di aggiungere un aggettivo alla parola “industria” la maggioranza (218 risposte, il 18,2%) ha detto “non so”: non è in grado cioè di esprimere un qualsiasi parere. Al secondo posto, ecco l’aggettivo “obsoleta” (61 risposte). Al terzo posto, “produttiva” (56 risposte) e al quarto, ecco il termine “sfruttamento” (38 risposte). Commenta Marini: “La narrazione di cosa rappresenti davvero la manifattura, nell’Italia di oggi, è uscita dallo schema cognitivo dei giovani”. “L’industria? Una sconosciuta”, sintetizza Dario Di Vico, che ha analizzato i dati sul “Corriere della Sera” (20 febbraio).

Da dove nascono questi giudizi? La maggioranza degli intervistati (45,4%) dichiara di avere maturato una valutazione sulla base della propria esperienza diretta di lavoratore o di discussioni con colleghi di lavoro. Il 54% si affida a informazioni avute innanzitutto dai mezzi di informazione tradizionali (Tv, quotidiani, radio per il 20%) e poi da social media e internet (soprattutto tra le giovani generazioni) e dalle “discussioni con familiari e amici”.

Un dato più confortante, in questo panorama di scarsa consapevolezza del peso reale dei soggetti economici, sta comunque nella fatto che la maggioranza degli intervistati (55,2%) auspichi sostegni per le imprese “perché contribuiscono alla crescita del paese e delle persone”. Un parere forte, apparentemente in contrasto con i tanti “non so” di cui abbiamo detto e che risulta ancora più netto tra i laureati (63,8%), gli studenti (67,8%) e chi fa un lavoro manuale (56,4%). Una quota di popolazione da valorizzare, approfondendone i giudizi.

La ricerca contiene altre interessanti considerazioni sul valore assegnato alla qualità del lavoro, all’importanza dell’equilibrio con la vita privata e alla “buona reputazione dell’impresa”, all’inclinazione a cambiare lavoro per questioni legate alla retribuzione e alla soddisfazione professionale e all’idea che “influencer e bloggher valgano più di artigiani, commercianti e insegnanti”.

Un mondo in evoluzione, dunque, soprattutto dopo le fratture sociali e le rivelazioni delle fragilità personali nella stagione del Covid. E a cui continuare a dare la massima attenzione, considerando soprattutto le inclinazioni delle generazioni più giovani.

Che l’industria non goda di un diffuso favore sociale non è, naturalmente, una novità. Era emerso con evidenza, per esempio, da una indagine Ipsos del 2009 sulle nuove generazioni e la manifattura in occasione della pubblicazione del libro “Orgoglio industriale” edito da Mondadori (“Preferisco dire che lavoro in un call center o in una boutique di moda che non in fabbrica”, era la sintesi). Gli orientamenti negativi erano stati confermati, l’anno successivo, da un analogo sondaggio sempre di Ipsos per Assolombarda. Poi, gli effetti della Grande Crisi finanziaria del 2009-2011, rivalutando l’economia reale, avevano cambiato parzialmente in positivo la percezione.

Adesso l’indagine promossa da Federmeccanica, proprio quando l’industria manifatturiera ha fatto da locomotiva della sorprendente crescita dell’economia italiana nel ‘21-‘22 costringe innanzitutto il mondo dell’impresa ma anche altri attori sociali e politici a riflettere sulle immagini prevalenti nel mondo del lavoro e nelle aspettative di ragazze e ragazzi, per rafforzare gli asset fondamentali dello sviluppo sostenibile.

Per quel che riguarda la cultura d’impresa e le rappresentanze industriali, insomma, è necessario insistere nella costruzione di un nuovo e migliore racconto dell’impresa stessa, a cominciare dall’intensificazione del rapporto con scuole e università (come fa per esempio da anni l’Aspen Institute Italia con l’iniziativa “Una bella impresa” fondata su incontri tra imprenditori e studenti degli istituti superiori in tutta Italia). Da un intervento su salari, stipendi e condizioni professionali. E da un rafforzamento della rappresentazione dei valori positivi dell’intraprendenza, dell’innovazione, della ricerca scientifica, delle opportunità di miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita offerte dalle nuove tecnologie nella twin transition ambientale e digitale. Insistendo sulla “fabbrica bella”, produttiva e sostenibile, come orizzonte di possibilità di crescita e di affermazione personale, sociale, culturale. Una sfida che proprio l’industria Italiana di qualità è in grado di giocare bene.

(foto Getty Images)

Cultura del produrre con le ali

In un libro appena pubblicato la storia dell’industria aeronautica italiana

 

Alta tecnologia. E una grande capacità imprenditoriale. Voglia di futuro. E sforzo di guardare oltre gli orizzonti. L’industria aeronautica italiana è stata ed è tutto questo. Un esempio di cultura del produrre in un comparto complesso, spesso sottoposto agli effetti della storia e delle relazioni internazionali. Senza dire delle guerre. Passato e futuro, passando per il presente, dell’industria aeronautica italiana è raccontato da Francesca Fauri nel suo “Storia dell’industria aeronautica italiana. Dai primi velivoli a oggi” appena dato alle stampe.

Due appaiono essere le condizioni descritte da Fauri nel suo saggio: precocità e discontinuità. Perché, spiega l’autrice, la storia di questo comparto industriale ha un inizio precoce e un andamento discontinuo. Tutto sull’onda degli accadimenti nazionali e internazionali. Così, la Prima guerra mondiale fu un’occasione di sviluppo e di emancipazione dalla dipendenza estera. Il periodo tra le due guerre rappresentò poi un’ulteriore occasione di crescita per arrivare alla fine del secondo conflitto mondiale di fronte alla distruzione pressoché totale degli impianti. Tutto complicato dal divieto di costruire aeromobili previsto dal Trattato di pace, dalla preferenza per l’importazione di aerei alleati e dalla negazione dell’assistenza internazionale. Costi politici che si trasformarono in oneri economici dai quali faticosamente e coraggiosamente l’industria aeronautica italiana emerse nel lungo dopoguerra fino a Finmeccanica e alla nascita di Leonardo.

Ma il libro di Fauri (che insegna Storia economica e History of the World Economy and Migration nell’Università di Bologna), è da leggere non solo per la narrazione dei fatti materiali, quanto piuttosto per quella delle persone. Imprenditori pionieri e visionari (il caso raccontato per esteso è quello di Gianni Caproni e del suo gruppo), che hanno davvero segnato la storia non solo dell’industria del loro comparto. Esempi di ingegno e di calcolato rischio. Esempi un po’ per tutti. Leggere il libro di Francesca Fauri, è così un buon modo per addentrarsi in una particolare cultura d’impresa troppo spesso poco conosciuta.

Storia dell’industria aeronautica italiana. Dai primi velivoli a oggi

Francesca Fauri

il Mulino, 2023

In un libro appena pubblicato la storia dell’industria aeronautica italiana

 

Alta tecnologia. E una grande capacità imprenditoriale. Voglia di futuro. E sforzo di guardare oltre gli orizzonti. L’industria aeronautica italiana è stata ed è tutto questo. Un esempio di cultura del produrre in un comparto complesso, spesso sottoposto agli effetti della storia e delle relazioni internazionali. Senza dire delle guerre. Passato e futuro, passando per il presente, dell’industria aeronautica italiana è raccontato da Francesca Fauri nel suo “Storia dell’industria aeronautica italiana. Dai primi velivoli a oggi” appena dato alle stampe.

Due appaiono essere le condizioni descritte da Fauri nel suo saggio: precocità e discontinuità. Perché, spiega l’autrice, la storia di questo comparto industriale ha un inizio precoce e un andamento discontinuo. Tutto sull’onda degli accadimenti nazionali e internazionali. Così, la Prima guerra mondiale fu un’occasione di sviluppo e di emancipazione dalla dipendenza estera. Il periodo tra le due guerre rappresentò poi un’ulteriore occasione di crescita per arrivare alla fine del secondo conflitto mondiale di fronte alla distruzione pressoché totale degli impianti. Tutto complicato dal divieto di costruire aeromobili previsto dal Trattato di pace, dalla preferenza per l’importazione di aerei alleati e dalla negazione dell’assistenza internazionale. Costi politici che si trasformarono in oneri economici dai quali faticosamente e coraggiosamente l’industria aeronautica italiana emerse nel lungo dopoguerra fino a Finmeccanica e alla nascita di Leonardo.

Ma il libro di Fauri (che insegna Storia economica e History of the World Economy and Migration nell’Università di Bologna), è da leggere non solo per la narrazione dei fatti materiali, quanto piuttosto per quella delle persone. Imprenditori pionieri e visionari (il caso raccontato per esteso è quello di Gianni Caproni e del suo gruppo), che hanno davvero segnato la storia non solo dell’industria del loro comparto. Esempi di ingegno e di calcolato rischio. Esempi un po’ per tutti. Leggere il libro di Francesca Fauri, è così un buon modo per addentrarsi in una particolare cultura d’impresa troppo spesso poco conosciuta.

Storia dell’industria aeronautica italiana. Dai primi velivoli a oggi

Francesca Fauri

il Mulino, 2023

“La luce nelle architetture dell’industria” due percorsi guidati di Fondazione Pirelli per MuseoCity 2023

Fondazione Pirelli rinnova la sua partecipazione per il settimo anno consecutivo a MuseoCity, la manifestazione promossa dal Comune di Milano che dal 3 al 5 marzo 2023 coinvolgerà istituzioni e musei della città e anche alcune realtà fuori dai confini milanesi, con due iniziative che si svolgeranno il 3 marzo 2023, di cui una dedicata ai ragazzi.

Progettare la luce: Pirelli e l’architettura dei luoghi di lavoro

Ore 16.00 e 19.00 (due turni di vista – durata 60 minuti circa)

Una visita guidata dedicata alle architetture più rappresentative della Pirelli di ieri e di oggi. Attraverso i documenti d’archivio storici e contemporanei conservati in Fondazione i visitatori potranno scoprire la modernissima mensa aziendale degli anni Cinquanta progettata da Giulio Minoletti, il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti, capolavoro dell’architettura milanese, l’Headquarters di Bicocca disegnato da Vittorio Gregotti che ingloba la ex torre di raffreddamento dello stabilimento, la “fabbrica bella” Pirelli di Settimo Torinese firmata da Renzo Piano e gli spazi rinnovati dello stabilimento Pirelli di Bollate.

Per iscriversi è necessario compilare il form a questo link. La prenotazione all’evento è obbligatoria e fino a esaurimento posti. Le iscrizioni si chiuderanno mercoledì 1° marzo 2023.

La luce nei luoghi di Pirelli: realizza una scatola magica

Laboratorio per ragazzi tra gli 8 e gli 11 anni

Ore 17.30 (durata 90 minuti circa)

Cos’hanno in comune una torre di raffreddamento, un altissimo grattacielo e una fabbrica circondata da colorati alberi di ciliegio? È la forte presenza della luce che le inonda, rendendo questi luoghi ancora più belli e accoglienti. Dopo aver visitato la Fondazione Pirelli, nel laboratorio i bambini potranno creare una “scatola magica” che si attiva grazie alla luce per poter proiettare i loro disegni.

Per iscriversi è necessario compilare il form a questo link. La prenotazione all’evento è obbligatoria e fino a esaurimento posti. Le iscrizioni si chiuderanno mercoledì 1° marzo 2023.

Ingresso visitatori: Fondazione Pirelli, Viale Sarca 220, Milano.

Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo visite@fondazionepirelli.org.

Fondazione Pirelli rinnova la sua partecipazione per il settimo anno consecutivo a MuseoCity, la manifestazione promossa dal Comune di Milano che dal 3 al 5 marzo 2023 coinvolgerà istituzioni e musei della città e anche alcune realtà fuori dai confini milanesi, con due iniziative che si svolgeranno il 3 marzo 2023, di cui una dedicata ai ragazzi.

Progettare la luce: Pirelli e l’architettura dei luoghi di lavoro

Ore 16.00 e 19.00 (due turni di vista – durata 60 minuti circa)

Una visita guidata dedicata alle architetture più rappresentative della Pirelli di ieri e di oggi. Attraverso i documenti d’archivio storici e contemporanei conservati in Fondazione i visitatori potranno scoprire la modernissima mensa aziendale degli anni Cinquanta progettata da Giulio Minoletti, il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti, capolavoro dell’architettura milanese, l’Headquarters di Bicocca disegnato da Vittorio Gregotti che ingloba la ex torre di raffreddamento dello stabilimento, la “fabbrica bella” Pirelli di Settimo Torinese firmata da Renzo Piano e gli spazi rinnovati dello stabilimento Pirelli di Bollate.

Per iscriversi è necessario compilare il form a questo link. La prenotazione all’evento è obbligatoria e fino a esaurimento posti. Le iscrizioni si chiuderanno mercoledì 1° marzo 2023.

La luce nei luoghi di Pirelli: realizza una scatola magica

Laboratorio per ragazzi tra gli 8 e gli 11 anni

Ore 17.30 (durata 90 minuti circa)

Cos’hanno in comune una torre di raffreddamento, un altissimo grattacielo e una fabbrica circondata da colorati alberi di ciliegio? È la forte presenza della luce che le inonda, rendendo questi luoghi ancora più belli e accoglienti. Dopo aver visitato la Fondazione Pirelli, nel laboratorio i bambini potranno creare una “scatola magica” che si attiva grazie alla luce per poter proiettare i loro disegni.

Per iscriversi è necessario compilare il form a questo link. La prenotazione all’evento è obbligatoria e fino a esaurimento posti. Le iscrizioni si chiuderanno mercoledì 1° marzo 2023.

Ingresso visitatori: Fondazione Pirelli, Viale Sarca 220, Milano.

Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo visite@fondazionepirelli.org.

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